Ambientalisti vandali allo sportello Eni di Roma

Azione dimostrativa agli sportelli di Energy Store Eni di San Giovanni a Roma. Attivisti di "Ultima generazione" imbrattano le vetrine, prendendole a picconate.

Il 13 aprile scorso la sede Eni è stata presa di mira da ambientalisti; appena 24 ore prima, la protesta era avvenuta presso la sede di piazzale Enrico Mattei.

A San Giovanni gli attivisti di “Ultima Generazione” hanno imbrattato la vetrina del locale con la scritta “Eni criminale”. La protesta è continuata con l’esposizione di cartelli con varie scritte fuori al locale. I giovani attivisti sono stati identificati dai carabinieri e accompagnati in caserma. L’azione vuole avere un valore simbolico contro le trivellazioni autorizzate dal governo Draghi.

Le ragioni di “Ultima Generazione”: Il governo Draghi aveva promesso una riduzione dello sfruttamento e più investimenti su gas e petrolio, prendendosi l’impegno di costruire impianti per energie rinnovabili. Con la guerra in Ucraina Eni ha un ruolo sempre più centrale nel trovare canali di fonti fossili.

Gli attivisti chiedono di interrompere la corsa ai fossili, e in alternativa aumentare gli investimenti in fonti rinnovabili. Altre richieste riguardano la cancellazione di nuove trivellazioni per la ricerca di gas naturale, procedere a un incremento di energia solare e creare nuovi posti di lavoro per gli operai dell’industria fossile, proprio nelle fonti rinnovabili.

L’ambientalismo ha poco a che fare con il vandalismo, infatti, gli atti contro le vetrate degli Energy Store non sono affatto una protesta civile, ma una violenza nei confronti di aziende private, legate all’Eni da contratti di franchising. Per questo motivo, al di là delle ragioni, gli attivisti non hanno colpito Eni, ma hanno danneggiato locali di società private, non responsabili delle scelte dell’Eni e del governo.

Le associazioni ambientaliste hanno tutto il diritto di protestare, ma con manifestazioni pacifiche, avanzando proposte, sedendosi ai tavoli istituzionali.

Oggi, l’Italia sta pagando scelte sbagliate; i Governi, infatti, per troppi anni, hanno delegato Eni per ciò che riguarda l’energia. L’Ente nazionale idrocarburi ha semplicemente salvaguardato solo i suoi affari, e ancora oggi, insieme con altre industrie del fossile, spinge contro la transizione ecologica.

Perfino una buona parte dei fondi europei sarà impiegata nel fossile, come spesso gli ambientalisti denunciano. Negli ultimi tempi abbiamo visto il Governo e in particolare il Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, recarsi in paesi africani per chiedere più gas, accompagnato dall’Amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. Ancora una volta, e nonostante i buoni propositi e l’entrata in vigore del nuovo Ministero della Transizione ecologica non si punta sul rinnovabile. Nemmeno una guerra con tutte le conseguenze può essere l’occasione migliore per cercare l’indipendenza energetica, attraverso scelte più giuste per l’ambiente? Davvero contano solo gli interessi?

Eni ha responsabilità enormi riguardo alla politica energetica degli ultimi anni. La dipendenza dal gas russo rischia di diventare un peso troppo grande per industrie, imprese e per tutta l’economia nazionale.

Sulle discutibili attività di Eni non ci sono dubbi; molti movimenti ambientalisti, primo fra tutti Greenpeace hanno spesso denunciato l’Ente, costretto ad affrontare sempre nuove accuse in tribunale, soprattutto da parte di paesi che hanno subito danni irreversibili all’ambiente. Eni sta pagando, ma a quanto pare non abbastanza.  

Sembra assurdo che nel 2022, chi ci governa non riesca ancora a imparare nessuna lezione. Basti pensare alla recente Cop26 e a Biden che arriva a Roma scortato da 85 auto (con altrettanti emissioni Co2) per parlare di lotta all’inquinamento.

E cosa dire della protesta (solo sui Social) all’ultimo Festival di Sanremo, contro l’operazione di Greenwashing di Eni. Gli attivisti avevano evidenziato l’ipocrisia di Eni, che si presentava come sponsor al festival della canzone, decantando le sue scelte green, lavandosi la faccia, ma con la coscienza sporca.

Le aziende che operano negli idrocarburi possono presentarsi come protettrici della biodiversità, nonostante le loro attività estrattive continuino a causare la distruzione degli ecosistemi su cui ricadono le loro concessioni, come per esempio nel Delta del Niger o in Mozambico. Sono tante le devastazioni in giro per il mondo di cui l’industria del fossile si macchia, ed è arrivato davvero il momento di cambiare rotta.

Oggi, con un’orribile guerra che si svolge a pochi chilometri dal nostro paese, ci meravigliamo della mancata lungimiranza di chi ci ha governato, dello squallore con cui alcuni umani venerano il dio denaro.

Alla luce di questi fatti, e dell’inequivocabile responsabilità di alcuni, sono ancora e solo i cittadini a dover pagare il prezzo più alto e a trovarsi davanti all’ennesima scelta: Pace o condizionatore. Come se le stagioni che si susseguono fossero una colpa, come se i superprofitti e l’avidità di pochi fossero il peccato originale di tutti. E come se una guerra tanto insensata quanto atroce dovesse ricadere solo su vittime innocenti.

Giovanna Angelino   
©Corriere di San Nicola