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NICOLA CIARAMELLA  
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"TuttoSanNicola
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fondata e diretta 
da
Nicola Ciaramella  

PROSSIMAMENTE ON LINE


I LIBRI DI ANTONIO SERINO
Tutti gli scritti del saggista cattolico sannicolese
(Tutta la produzione letteraria è pubblicata su ©Corriere di San Nicola)

VIDEOFOTOTECA 


Documenti filmati e fotografati per la storia e per l'attualità 


-di Biagio Pace- 

FARMACIE MINUTO x MINUTO




 

I turni di
GENNAIO 2025

San Nicola la Strada
e
Caserta

 


IL VADEMECUM DELLA RACCOLTA DEI RIFIUTI


Tutto quanto bisogna sapere sulla raccolta dei rifiuti a San Nicola la Strada

 

VINCENZO SALZILLO, PIANISTA

Tutta la carriera artistica del talento musicale sannicolese
(a cura del ©Corriere di San Nicola)

NAPOLI NEL CUORE


Tutta la storia dell'evento promosso da Alfonso Moccia narrata ed immortalata dal Corriere di San Nicola

LA STORIA DELLA PROTEZIONE CIVILE DI SAN NICOLA LA STRADA 
Fiero di averla narrata ed immortalata sin dal primo giorno sulle pagine del Corriere di San Nicola. 
Onorato di essere il giornalista più titolato a parlare di questa grandissima squadra. 
Nicola Ciaramella

STORIA DEL CORPO DELLA POLIZIA MUNICIPALE DI SAN NICOLA LA STRADA 
Fu istituito nel 1990. Le carriere dei sei comandanti che sinora lo hanno guidato.

OGNI CITTADINO PUO' SALVARE UN CITTADINO
Tutti gli articoli del "Corriere di San Nicola" sul progetto
"SAN NICOLA LA STRADA CARDIOPROTETTA"

IO NON RISCHIO 

Cosa sapere e cosa fare PRIMADURANTEDOPO un terremoto

-Buone pratiche di protezione civile a cura anche del Nucleo della Protezione Civile di San Nicola la Strada-

 

IL MIO REGALO ALLA MIA CITTA'

Dipingi on line la "tua" città"
Un “clic" quotidiano cominciato mercoledì 9 febbraio 2005...


Una città, il cuore, la mente...


L'


"Ode alla mia città"


composta da


Nicola Ciaramella


PAOLO CONTE, PILOTA 
(TUTTO sulla carriera del
 piccolo grande fenomeno del motociclismo casertano)

Una LUCE sempre accesa su DON ORESTE
Gruppo Facebook "DON ORESTE NON E’ ANDATO VIA”: continua, senza pause, l’iniziativa creata da Nicola Ciaramella per mantenere sempre vivo il ricordo dello scomparso amatissimo parroco di Santa Maria della Pietà.

L'ANGOLO DELLA POESIA

 

 


Versi inediti di poeti lettori del Corriere di San Nicola

29.ma Festa del Tesseramento dell’Associazione N.S. di Lourdes 

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Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione.Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione. 1

FELICI DI OFFRIRE LE NOSTRE FOTO AEREE

 

 

Il nostro GRAZIE a quanti hanno scelto le nostre immagini dall'alto di San Nicola la Strada quali icone di siti internet e di gruppi facebook locali

TUTTO IL "DISSESTO FINANZIARIO" MOMENTO X MOMENTO 
Come si giunse al giorno più nero della storia amministrativa sannicolese e chi nulla fece per evitarlo 

San Nicola la Strada SEMPRE nel cuore
...Una bellissima iniziativa per tutti i sannicolesi...

PERCORSO QUARESIMALE CON LA SANTA SINDONE 
I VIDEO dei cinque incontri del programma promosso da Don Antimo Vigliotta e dal Prof. Luciano Lanotte

"Giovani e Chiesa a confronto: quale religione?"

In esclusiva sul “Corriere di San Nicola” il quarto libro del saggista sannicolese ANTONIO SERINO: “Viaggio nelle difficoltà, nelle possibilità di dialogo e nelle prospettive di confronto tra due realtà complementari ma fondamentali per la società”. 
-PARTE PRIMA-



Nell’aprile del 2021, Antonio Serino ci autorizzò, in esclusiva, a pubblicare, a puntate, “WORKING PROGRESS”, il suo primo lavoro letterario (una “raccolta di riflessioni che non costituiscono e né vogliono auto valutarsi in alcun modo quale strumento su cui basarsi per eseguire analisi sociologiche, psicologiche o, per di più psico-religiose, ma hanno il solo scopo di contribuire o, se si vuole, di dar forza a far meglio comprendere come meditazioni e riflessioni, basate su concetti e principi fondamentali, in questo caso quelli cristiani, possano contribuire a trasformare la propria vita, migliorandola e, contemporaneamente, a portare benefici all’intera società".

Il 30 dicembre 2022, in occasione dell'incontro "Cara famiglia, ti amo" promosso ed organizzato dal giornalista Nicola Ciaramella (direttore del “Corriere di San Nicola”) nell'ambito delle manifestazioni relative all'XI Presepe Vivente dell'Associazione Cattolica N. S. di Lourdes, fu la volta della presentazione ufficiale del secondo libro del saggista sannicolese, dal titolo “CARA FAMIGLIA”, che dice tutto, spiega tutto e coinvolge tutti in un appassionante excursus sulla storia, sui valori e sullo “status” attuale della cellula primaria e vitale della società.

A luglio 2023, la sintesi delle lezioni e degli incontri tenuti da Serino nell’ambito delle attività del gruppo “FAMIGLIA BETANIA” di Santa Maria degli Angeli nel primo semestre dell’anno.

Settembre 2023. Glielo abbiamo sempre detto, sin dal primo momento, e glielo abbiamo ripetuto: “Caro Antonio, tu hai avuto da Qualcuno il dono prezioso di saper contribuire a diffondere le parole più belle, gli ideali più belli, quelli che sono stati creati per fare il mondo più bello. Hai l’obbligo, il dovere di non fermarti e di regalarlo agli altri”.

Siamo gioiosi, dunque, che il “Corriere di San Nicola” può pregiarsi di pubblicare, dopo i primi tre di cui abbiamo detto, il quarto libro di Antonio Serino. La nostra platea di lettori è vasta, possiamo anche noi contribuire a diffondere qualcosa di cosi bello.
Sì. Bello. Perché altri aggettivi non esistono. I paroloni d’occasione che spesso si usano quando non si sente dentro ciò che si dona, ci spaventano. Scegliamo l’umiltà. La semplicità. L’ amore. Bastano queste tre parole che sono stampate nel cuore e nell’animo di chi ha scritto questi libri per capire cosa può esserci dentro.
Lo abbiamo letto. Ora lo porgiamo a chi vorrà seguirci. Abbiamo chiesto all’autore, e subito ottenuto, di pubblicare sul nostro giornale “GIOVANI E CHIESA A CONFRONTO: QUALE RELIGIONE?” in diverse puntate. Non molte. Quante ne bastano per accendere l’animo dei …curiosi. Sì, perché, in fondo, se andiamo bene a vedere e a pensare, molti cristiani sono ancora tutti un po’ curiosi… La strada per raggiungere la certezza è per molti ancora lunga… Serino e noi, tutti granellini piccoli piccoli e quasi insignificanti della sabbia della fede, ci proviamo. La speranza che ci anima è tantissima. Non possiamo tenercela dentro. Non possiamo assolutamente permettere che si possa disperdere. Ciascuno di noi (Serino che scrive, il "Corriere di San Nicola" che diffonde) ha l’obbligo di dare il proprio contributo per far conoscere una cosa bella. Affinché essa possa assurgere ad alimento utile per tutti coloro che se ne vorranno cibare. 
Serino ci ha anche promesso che prossimamente ne parleremo in video conferenza. Per accorciare ancora di più la distanza tra il "narratore" ed il lettore. Proveremo anche a fare questo. Sperando di essere tutti all'altezza di questo delicato compito che appartiene ai volontari del dialogo.

(Nicola Ciaramella)

ANTONIO SERINO è nato a San Nicola la Strada, dove tuttora vive. E’ laureato in Scienze dell'Economia e Gestione delle Imprese. La sua esperienza formativa ha naturalmente matrice cattolica perché fin da piccolo la sua famiglia era composta da persone cattoliche, particolarmente attive nella parrocchia. Per questo motivo ha partecipato alle varie associazioni cattoliche presenti.
Ha mosso i primi passi nell’Azione Cattolica per poi passare alla vita della Parrocchia fino al Movimento Giovanile Missionario, promosso e curato dal carissimo Direttore Diocesano Don Antonio Pasquariello. In questo Movimento, unitamente a tanti altri amici, ha contribuito all’animazione locale mediante raccolte fondi, mostre di oggetti di artigianato africano, nonché attività oratoriali per bambini.
Ha fatto parte ed ancora annovera la sua presenza in associazioni culturali e religiose, in quanto fermo assertore che la coesione sia uno strumento basilare per la crescita sociale e solidale.
Da circa trent’anni è componente del Consiglio degli Affari Economici della Parrocchia, di cui conosce la difficile gestione economico patrimoniale.
Dal 2019 coordina il gruppo Famiglia Betania, fortemente voluto dal già parroco di Santa Maria degli Angeli, Don Franco Catrame, un insieme di famiglie che studia le esortazioni apostoliche firmate da Papa Francesco, necessarie alla famiglia di oggi per comprendere e vivere in un modo più consapevole la vita odierna.
Dal 2020 collabora con il "Corriere di San Nicola". 

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Ai miei cari genitori Ida e Saverio
che trasferendo sui figli
l’Amore ricevuto dal Padre 
hanno testimoniato la propria Fede
nel pieno rispetto del Vangelo 

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Presentazione

Il mondo giovanile, specie negli ultimi decenni, è tenuto sotto stretta sorveglianza per l’atteggiamento che adotta nei confronti del mondo dei matusa, verso le pubbliche istituzioni, verso il cosiddetto mondo civile, un atteggiamento a volte convulso ed inappropriato ma che manifesta tutto il proprio disappunto per come la controparte ostacoli impropriamente una normale evoluzione della società, anche se tante volte in contraddizione con sé stessa. A questa presa di coscienza purtroppo non fa eco l’adattamento dell’intero ceto sociale, cioè quella classe che dovrebbe prendere in seria valutazione le proposte avanzate, oltre a tutto quello che veniva presentato da queste nuove generazioni che rappresentavano un nuovo tipo di mentalità, o se vogliamo, un nuovo modo di concepire il vivere sociale. Questo genere di comportamento ha causato lo strappo, mai ricomposto e, a parere mio né mai più ricomponibile, tra le due diverse fazioni che continueranno, quindi, a fronteggiarsi per far prevalere la vittoria delle proprie idee. E’ pur vero che questo pensiero proviene da quel retaggio ultradecennale che nonostante tutte le dovute analisi sistematicamente condotte da studiosi di ogni cultura e paese, per valutare gli effetti degli sviluppi che le innovazioni proposte apportano alla via sociale corrente, nulla è riuscito a proporre per far sì che potesse sorgere una forma di intesa tra le parti. Questa evidente impossibilità di redigere piani e formule non ha certo bene influenzato la collettività visto che ancora oggi si evidenziano stalli di posizione, così come gli stessi enti istituzioni fanno fatica a intervenire. E così, scivolano nell’apatia assoluta anni e decenni di impasse, caratterizzati da grave immobilismo, di vistose difficoltà che ampliano sempre di più il gap provocato, con grave pregiudizio per quei pochi accenni di positività che di tanto in tanto appaiono all’orizzonte. Questo dichiarato gap generazione si è purtroppo diffuso in tutti i settori della vita comune e non poteva quindi non riflettersi anche in quello religioso, dove ormai da tempo regna indiscussa la volontà dei giovani di voler un posto ed una considerazione del tutto innovativa rispetto al passato, passando da uno stato passivo ad un livello di attesa di attività in cui poter manifestare apertamente il proprio livello di capacità di far fronte ad impegni cui finora i più adulti ne avevano disdegnato proporne la partecipazione. Ciò si è riflesso anche da parte della Chiesa che, conscia di simili discriminazioni, attraverso gli ultimi tre pontificati ha cercato di porre rimedio riponendo al centro della propria attenzione la questione giovanile ed i connessi tipi di problemi, che fossero di origine individuale, sociale, economica o altro ancora. Nel nostro iter istruttivo si è ritenuto quindi necessario ancora una volta rivedere le concezioni di base in materia di conflittualità generazionale o se vogliamo, di conflittualità istituzionale con gli Enti preposti. Nelle considerazioni che seguono si è cercato di valutare diversi aspetti della vita corrente in cui risaltano con maggiore frequenza questi dissapori, con l’evidente scopo di cercare e trovare rimedi per non cadere nell’abisso della indifferenza totale.

Antonio Serino  

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IL PANORAMA ODIERNO

  1. I FEDELI E LA CHIESA
  2. L’ARGOMENTO FEDE
  3. DISPERAZIONE E FELICITA’
  4. STUDI & RICERCHE
  5. LE RAGIONI DEL DISTACCO 


    I FEDELI E LA CHIESA 

    Molto spesso mi lascio attrarre dai modi che tanta gente, per la maggior parte sconosciuta, adotta nel suo atteggiamento quotidiano, evidenziando particolarità che solo una adeguata attenzione può farti annotare. Non è che interessi tanto cosa fa la gente ma ci si accorge che seguire l’andamento dei modi di fare di tanta gente rivela come gli atteggiamenti siano alquanto simili a seconda del ceto sociale, dell’attività professionale svolta, o di qualche altro parametro differenziale. In altre parole ci si rivela un mondo quasi simile per ogni esistenza umana e addirittura talvolta si ravvede anche una sorta di ciclicità, nel senso che tale caratteristica comportamentale si manifesta periodicamente, quasi come se fosse una prassi standardizzata, a seconda del tipo di persona che si osserva. E come sempre accade, naturalmente, tutto ciò che si nota può diventare strumento di studio utile ad ogni persona applicando le osservazioni fatte e gli aspetti positivi emergenti, in modo tale che il proprio comportamento ed i comportamenti adottati da ogni soggetto potranno assumere valenza fondamentale nel proprio modo di vivere. Può apparire strano ma a volte si possono apprendere cose che appaiono banali ma che rivestono basilare importanza o una certa peculiarità per il modo con cui viene ai nostri occhi. Così, ad esempio, una semplice discussione tra persone in tua presenza può diventare lo spunto per riflettere su come comportarsi in certe occasioni, oppure cosa poter o non poter dire, cosa poter o non poter fare per non suscitare permalosità nei confronti di terzi. Devo ammettere che, comunque, almeno personalmente questo genere di “apprendimento” è risultato molto propizio, in quanto mi ha dato l’opportunità di considerare circostanze che semmai, non avrei mai valutato come importanti per il mio modo di pensare. Scendendo nel particolare, e dato che visto che la maggior parte del tempo lo trascorro in ambito parrocchiale, ho avuto modo di constatare come sia tanto diverso l’atteggiamento che noi praticanti adottiamo nei vari momenti di vita ed in modo speciale tutto ciò che afferisce il mondo giovanile cattolico, con il proprio comportamento che la maggior parte di essi assume all’atto di interagire con la chiesa. Ne scaturisce così - e con non poca meraviglia da parte mia - che essi si apprestano a muoversi in modo irrituale, del tutto scontato, senza alcuna cognizione di cosa si stia per fare realmente oppure a come si dovrebbero comportare in quel contesto. Ovviamente non tutti si comportano in questo modo anzi, fortunatamente, tra di loro ce ne sono tantissimi che, consci di ciò che si accingono a fare, in quel momento si staccano dalle proprie personalità o dai soliti atteggiamenti personali per vestire i panni del fedele che si sottomette ad una realtà del tutto ignota ma riguardevole: ciò sottolinea lo stato di meditazione, rispettoso ed intimo, del tutto differente dagli altri che, invece, si apprestano senza alcun ritegno o senza alcuna vera riverenza ad entrare in contatto con quella struttura, particolare, che è la Chiesa. Questo momento di attenzione, a parere personale, merita una profonda considerazione che deve abbracciare non solo la relazione fedele – chiesa, quanto, piuttosto, la relazione fedele – religione. Il risultato di tale considerazione è l’ottenimento di un variegato mosaico in cui i tanti tasselli sono costituiti dai diversi temi e dalle fasi della vita interna alla parrocchia che rispecchiano il suo andamento quotidiano. La strada percorsa riflette l’approssimarsi alla chiesa, al comportamento da tenere, alle reazioni che possono verificarsi all’insorgere di problematiche che investono la propria personalità, alle necessità di apportare i dovuti correttivi affinché tutto il popolo interessato possa partecipare con cognizione alla vita interna della Chiesa. Ma se da un lato l’approssimarsi alla variegata tipologia di fedeli che si approcciano alle sacre mura è entusiasmante in quanto si scoprono dettagli che investono la sfera emotiva di chiunque, il nostro diretto coinvolgimento invece riguarda il settore giovanile, quello che in effetti desta più interesse per molteplici aspetti che vanno dalla concezione individuale a quella partecipativa alla realtà religiosa.

    L’obiettivo, quindi, è quello di seguire il cammino percorso dalla maggior parte dei giovani spinti fin da piccoli dai propri genitori a comportarsi in un certo modo nel contesto parrocchiale e che col passar del tempo viene sostituito dall’affiorare delle prime intuizioni e delle prime conoscenze in materia, che incontrano vere e proprie barriere a cui molto spesso, non riuscendo a dare un valido significato non meritevole di benevolo accoglimento, causano come naturale conseguenza il loro allontanamento da quella dura realtà che non li considera come dovrebbe. Si tratta ovviamente di motivazioni condotte per quanto si è avuto modo di osservare e notare, quindi rivestenti un significato prettamente soggettivo ma che possono offrire lo spunto per entrare ancora più a fondo nella valutazione e, quindi, dare l’opportunità di verificare il perché di simile atteggiamento, ovvero quale sia la preparazione o la formazione personale con cui ognuno è stato educato per affrontare nel proprio futuro il confronto con quel genere di rapporto. Come si avrà modo di riscontrare, gli argomenti sono talvolta abbastanza complicati, molte volte anche sottesi a congetture abbastanza difficili da comprendere e forse anche imprevedibili ma in definitiva conducono alla nuda realtà in quanto il vissuto quotidiano non è più soggettivato, non appartiene alla singola persona ma è condizionato dai tanti fattori esterni che ne alterano genuinità e   originalità. Non a caso lo scopo che qui ci si propone è quello di “guardarsi un po’ allo specchio” cioè rivedere noi stessi all’atto dell’approssimarci con la realtà parrocchiale, non intesa solamente come mura parrocchiale, ma anche e specialmente come insieme di relazioni ed interrelazioni con cui ci si pone in contatto. I ritagli ed i dettagli che emergono altro non sono che la routine che caratterizza il nostro atteggiamento nei confronti di questa realtà che, in definitiva, meriterebbe più considerazione e attenzione, specie per ciò che concerne la maturazione della personalità di ogni uomo dal punto di vista formativo e umano nel contesto religioso. Per avere maggiori informazioni, per poter dare più attenzione agli argomenti esaminati e per essere in grado di ottenere maggiori valutazioni si è ritenuto necessario differenziare la categoria dei fedeli “praticanti” in due tipologie, perché oggetti a diverse caratteristiche, come formazione culturale, estrazione sociale, ed atteggiamento personale. Può apparire banale o anacronistico ma il primo e significativo atteggiamento che va esaminato è quello che i giovani assumono all’atto del “contatto” con la struttura parrocchiale, la chiesa, e che consiste nel modo di porsi in modo coscienzioso tale che se non opportunamente considerato potrebbe pregiudicare l’atteggiamento da assumere in rapporto all’azione che ci si presta a compiere. Capita di notare infatti come talvolta, seguendo l’abitudinaria usanza, si entri in chiesa senza avere la percezione di dove realmente ci si stia recando. Non tutti, infatti, considerano la chiesa come la casa del Signore, ovvero il luogo sacro per eccellenza, il terreno santo su cui si dovrebbe camminare scalzi in segno di ossequio, ma è inteso semplicemente come un luogo come tanti altri, in cui si va – o ci si deve andare - solamente per partecipare a qualche rito, per assistere a qualche cerimonia, oppure recitare qualche preghiera o, infine, per partecipare a riunioni religiose di ogni genere. Niente di più sbagliato. Questo comportamento, divenuto nel corso del tempo abbastanza usuale nasconde invece la mancanza di vero tatto, l’assenza della consapevolezza di ciò che si sta compiendo. E' per questo motivo che se ci si ponesse il quesito prima di partire saremmo logicamente meno affannati a comportarci in modo incosciente e molto più adeguatamente preparati alla visita. Innanzitutto il vestiario: quante volte ci è capitato di vedere l’abbigliamento “molto inadeguato” che qualcuno ha indossato pur sapendo dove si stava recando? Quante volte abbiamo pensato se chi indossava quel capo di abbigliamento si fosse dapprima ammirato allo specchio prima di partire alla volta della Chiesa? Va detto e considerato certamente, che i famosi … tempi sono cambiati, e quindi anche le mode e vestiti hanno assunto altro significato nella società, ma ciò non vuol dire precludere il rispetto per il luogo ove ci si reca; così confrontando i tempi moderni con quelli andati, assistiamo ad una completa rivoluzione del modo di vestire, in particolare quello che capita nella giornata di domenica. Qualche annetto fa, per esempio, la domenica era considerata come il giorno in cui l’uomo si rivalutava, sia igienicamente che nella tenuta dell’abbigliamento, era quasi d’obbligo tenere una perfetta conciatura ed un abbigliamento da festa, il tutto completato da una spruzzata di profumo. Oggi assistiamo invece alla presentazione di tantissime persone che si danno al casual solo per figurare con tanto snobismo tra le piazze domenicali, con tanto di tuta sportiva o in tenuta alquanto ridotta. Effettivamente è venuta meno l’eleganza della domenica! Non assistiamo più alla preparazione cui destinavamo il fine settimana per l’arrivo della domenica. Non c’è più il fermento e l’ansia di aspettare il giorno dello svago, del divertimento della spensieratezza, del giorno in cui ci si veste in modo appropriato per esprimere tutta la nostra moda ed il modo di pensare in formato abbigliamento. Ho pensato che potrebbe essere utile ricorrere ad un semplice paragone dicendo che sapendo di andare a far visita ad un parente ci si vestirebbe in modo accurato, non appariscente, senza fronzoli, in linea con la casa della persona che ci ospita ed in rispetto delle stesse persone che ci attendono; ebbene, quando si va in chiesa spesso ci dimentichiamo che ci portiamo alla presenza di Dio, quindi saremo accolti in una reggia, a prescindere dalla fattezza, bellezza e dimensioni che assume. Tante volte vediamo in televisione che in occasione di visite ad esponenti delle case reali gli ospiti devono osservare un certo protocollo che racchiude un determinato tipo di abbigliamento, come pure il portamento e l’atteggiamento. Non è che i fedeli per andare in chiesa debbano vestire o comportarsi allo stesso modo, ma gli viene richiesto almeno che abbiano rispetto per il padrone di casa e della Sua importanza. Parimenti va considerato il comportamento e l’atteggiamento da assumere nel momento in cui si entra in chiesa: in pratica siamo entrati nella casa del Signore e, quindi, dobbiamo avere una condotta ed un comportamento ossequioso: perciò rispetto e silenzio. Si sa che in casa di altri la prima cosa da fare è quella di portarsi dal proprietario della casa e porgergli i più cordiali saluti: ebbene, in chiesa non c’è niente di diverso visto che il Tabernacolo rappresenta il luogo fisso in cui il proprietario aspetta sempre che i visitatori gli porgano i propri saluti, rappresentati dalle gesta di sentimento e devozione. Il Tabernacolo, è infatti il sito in cui è posto il Santissimo Sacramento, cioè il Trono in cui è posto il Signore Gesù e dove in pratica si assolve il motivo per cui ci si è recato in chiesa: pregare, invocare, chiedere la protezione. E’ il luogo più rappresentativo e prezioso della chiesa perché è il luogo in cui incontriamo Dio, cioè Colui a cui rivolgiamo l’ossequio che si porge mediante l’inchino, un semplice metodo di ossequio, ma che riveste proprio la particolare riconoscenza della maestà Divina che va rispettata solennemente. Tale forma di riverenza è riportata esplicitamente nei documenti cristiani dove sta infatti scritto che al nome di Gesù non esisterà ginocchio che non si piegherà in cielo, terra e sotto terra: questo identifica la portata della presenza verso cui ci dirigiamo. A qualcuno potrà risultare banale assumere questo genere di comportamento, forse perché lo si fa fin da piccoli, a volta anche in automatico talora quando siamo appena entrati nella chiesa: questo non è vero, perché ci hanno sempre impartito la lezione, ma non per questo ce ne hanno mai spiegato il perché e, quindi, per tutti è come se continuassimo a fare sempre la stessa cosa e con la stessa intenzione. Ed invece, ora assistiamo a scene del tutto opposte: si entra in chiesa parlottando con il vicino e ci si dirige direttamente a prendere posto nei banchi, ignorando completamente che c’è il... padrone di casa che aspetta di essere salutato! La cosa più brutta, purtroppo, cioè l’aggravante che ci pregiudica ancor più è che di tutto questo noi ne siamo già a conoscenza e questo avvalora l’indifferenza dell’atteggiamento posto all’approssimarsi in chiesa. Ed allora ci si domanda se abbiamo mai avuto modo di valutare questo atteggiamento, se sia una pura dimenticanza oppure rifletta il proprio modo di concepire il rapporto con Dio? E’ da questo momento che si inizia a porsi in esame, perché è dalle risposte che daremo a noi stessi che mostreremo la capacità di riflettere e porre rimedi alle nostre convinzioni. Infatti, si dice che il buongiorno si veda dal mattino e se questo è il modo con cui sviluppiamo il primo contatto con Dio, quale sarà il prosieguo? Sinceramente, mi è capitato di ascoltare tante persone, per la verità per lo più anziane, che esternano con disgusto e anche disprezzo questo modo di comportarsi perché essi si sentono comunque emotivamente coinvolti in questo “incontro” e perciò è come se oltre a Dio si offendesse anche la loro presenza. Quante volte eseguiamo queste cose senza alcun vero intendimento di ciò che si sta per fare; quante volte realmente ci si comporta in questo modo quasi in modo automatico, senza alcuna partecipazione della mente o del cuore. Ed allora ci si inizia a chiedere: perché vado in chiesa? Cosa mi spinge a recarmi in chiesa? Perché sono attratto dai riti o dalle cerimonie in chiesa? La chiesa in genere ci accoglie per la celebrazione dei Santi riti o per occasioni particolari di ricorrenza solenne per cui è doveroso essere presenti, ma a noi che stiamo cerando di conoscere le abitudini e le mancanze mostrate dal popolo dei fedeli, serve conoscere quali siano le effettive ragioni per cui si va in chiesa. Ecco che allora si scopre che c’è chi va in chiesa per la semplice partecipazione ai sacramenti, c’è chi per motivi strettamente personali, ritiene di portarsi alla presenza di Dio per invocarlo, cioè per richiedere la Sua paterna benedizione, chi ci va per chiedere discernimento per la risoluzione di qualche problema proprio o familiare, oppure per ottenerne la protezione o, infine, per esternare nella sua intimità, ciò che prova nel proprio animo e ne rende grazie presso il tabernacolo. Quindi, attraverso la preghiera l’uomo si accosta al proprio Dio per invocare, essere ascoltato e prestare la propria attenzione a ciò che lo Spirito Santo, mediante il dono della sapienza e dell’intelletto lo condurrà verso la spiegazione di ciò che ha chiesto. In questo lasso di parole abbiamo accostato il termine preghiera a quello della Fede, ed è più che doveroso visto che la preghiera è l’invocazione che parte dal cuore e col cuore si indirizza a Dio: si tratta quindi di una relazione che va al di là di un contatto fisico cioè è una componente quasi metafisica della vita di una persona in cui si esprime tutta la propria adesione a chi ha prestato la propria vita per gli altri. 


    L’ARGOMENTO FEDE 

    Vivere attivamente e coscienziosamente la propria fede oggi è certamente difficile, visto come si è circondati dalle influenze sociali, economiche e storiche. In Italia, in qualsiasi settore ci si muova, tra i credenti, i non credenti e tra quanti si prestano a fidelizzarsi con le diverse forme di religiosità la fede deve fare sempre i conti con la Chiesa cattolica che, seppur godente della forte partecipazione dei movimenti giovanili sia alle manifestazioni mondiali che agli eventi che stanno fortunatamente dando impulso all’attenzione dei giovani verso le materie religiose, non tiene però conto dell’enorme abisso rispetto al loro diretto coinvolgimento. Parlare di Fede alla maggior parte dei ragazzi e dei giovani infatti oggi è come trattare un argomento fondamentale nella concezione giovanile almeno per quanto riguarda gli interessi primari, visto che per loro la cosa più importante è quella di organizzarsi per programmare un futuro basato sull’indipendenza dalla famiglia, sull’autonomia economica che gli garantisca la possibilità di fare ciò che vuole, e di vivere una vita senza ostacoli, possibilmente costellata anche da qualche fortuna che allieta l’iter intrapreso. l rapporto con la fede e la religione non è abitualmente tra gli argomenti di discussione delle nuove generazioni, che nelle loro relazioni non dedicano troppo spazio alle questioni riguardanti lo stato esistenziale. Forse l’età dei giovani di oggi non consente di affrontare problematiche serie come quella in discussione o perché forse l’argomento all’ordine del giorno riflette una tematica molto seria quanto esistenziale che va al di là di semplici affermazioni concettuali, ma la maggior parte dei nostri giovani ritiene che allo stato attuale non ha alcuna posizione ufficiale nei confronti della fede e, quindi, di conseguenza, della religione. Per cui a ragione veduta, ogni singolo pensiero che potrebbe maturarsi configurerebbe una credenza che definiremmo occasionale, di tipo transitorio, riferita ad una fase della vita in cui ci si rivolge al soprannaturale solo in determinate circostanze in cui maturano condizioni o imprevisti a cui se ne richiede la partecipazione. Talvolta, addirittura, anche se il tema non è affrontato in modo sistematico o categorico gli stessi affermano che in quei momenti delicati il contatto con l’entità Dio è molto sentito e partecipato. Quindi, mentre da un lato i giovani ritengono la fede e perciò la religione come argomenti di una certa importanza, non vitale per il momento attuale della propria vita, non basilare per porre le basi di un rapporto confidenziale, duraturo nel tempo e magari continuativo, dall’altro lo identificano come il mezzo con cui poter rafforzare la propria interiorità e combattere le avversità della vita; dall’altro lo rappresentano come elemento di rassicurazione del proprio stato d’animo nei frangenti in cui essi si dedicano al confronto col divino. Il problema della fede, anche se non è al primo posto nei loro pensieri, matura in loro una decisa opinione su Dio senza peraltro riferirsi alla teologia: in realtà l'esistenza di un Dio risulterebbe indispensabile nella vita degli uomini, perché la Sua presenza rassicura l'uomo nei momenti del bisogno e lo conforta nei momenti del dolore. Il ricorren-te pensiero di Dio fornisce la linfa vitale alla profonda spiritualità dell’anima, perché è proprio l'anima dell'uomo, che cerca e desidera di avere un rapporto con Dio. Quando infatti questa convinzione viene meno e si avverte la nullità del proprio “io”, l’impossibilità di poter risolvere adeguatamente i propri guai e si ravvede perciò la necessità di chiedere aiuto e, specie allorquando la situazione diventa ancor più critica allora si ricorre alla necessità di chiedere a “qualcuno in particolare” un aiuto particolare perché si necessita di una “mano” particolare che gli risolva qualche problema di vitale importanza ... Allora ci domandiamo incresciosi: si vuole restare con Cristo e lo si vuole a disposizione per quando deve farci il miracolo personale? E’ in questa fase di disperazione che l’uomo mostra la propria vulnerabilità, è in questo momento che egli necessita di attenzione e di alta considerazione ma più che altro è in questi istanti che la sua fede deve sorreggerlo, dargli forza, coraggio. In altre parole deve porsi in esame di coscienza per valutare in qual stato si trovi la sua fede, come la fiammella del coraggio che è insita in ognuno di noi viene alimentata quotidianamente, e come intende per il futuro trattarla. Questa presa di coscienza induce a meditare su come l’argomento relativo alla Fede sia un po’ più profondo e scenda nel proprio intimo proprio nel momento in cui meno lo aspettiamo e ci fa abbastanza male perché cozza contro quei stereotipi sistemi di vita che finora hanno alleggerito la nostra condizione di vita. E man mano che si continua nella valutazione di queste posizioni si arriva sempre più impreparati al dunque fino a chiedersi: si crede in Dio, in Cristo, nella Chiesa? Sì, perché la nostra condotta di vita non può prescindere comunque, volendo o non volendo, dall’incrociare l’argomento Fede sul proprio cammino. E a seconda della risposta che si dà, all’atteggiamento portato di fronte a simile problematica si costruisce la propria identità di cristiano che porta alla conformazione della vita religiosa. Infatti è questa riflessione che ci introduce alla considerazione basilare secondo cui il cristiano non può far a meno di considerare che Cristo ha donato la sua vita, in un modo brutale, violento ed impensabile anche se si tratta di un martirio, per la redenzione dei peccati dell’uomo. Dalla Sua morte è scaturito il senso della donazione, dell’Amore infinito: chi può donare la propria vita per “ il bene “ di un altro? L’uomo ha abbastanza intelletto per capire che si tratta di vera, sacra ed infinita misericordia di Dio che ha concesso la Vita del proprio Figlio per salvare l’uomo dal peccato? Sono interrogativi che ci immettono in argomentazioni serie, ma indispensabili, specie per i tempi moderni. Stiamo parlando di Fede, che non vuol dire solo “credere” in Dio, “accettare” la Sua Parola, ma anche far proprio quel martirio, immedesimarsi nei valori per cui è stato effettuato. Ponendo simili quesiti ad un ragazzo ci risponderebbe subito che sono temi che andrebbero affrontati in famiglia, cioè laddove i propri genitori, seguendo l’indirizzo loro impartito dai propri genitori, dovrebbero dare spiegazioni più appropriate: niente di più sbagliato. Oggi la figura dei genitori è catalogata semplicemente come quella di capi della struttura familiare ma non anche quella di istruttori di vita e di comportamento, cosa che molto facilmente delegano alle istituzioni preposte per scopi e finalità. I genitori non sono più quelli cui ci rapportavamo per sapere, capire o carpire i tanti segreti della vita ma sono diventati solo compagni di viaggio che, isolatamente, affrontano l’iter procedurale della famiglia quali componenti come gli altri, moglie, figli e parentela varia. Questo, purtroppo, è un tema che ormai ha affossato l’ambiente famiglia, dove un tempo si viveva di pane e dottrina, di focolare e catechismo, dove si inculcavano i primi rudimenti religiosi che servivano ad aprire la strada alla frequentazione in Chiesa, alla partecipazione attiva alle varie fasi di vita parrocchiale. Nel corso del tempo, infatti, queste pratiche così istruttive hanno lasciato il posto alla “modernizzazione”, che succube della nuova mentalità di aggiornamento dei nuovi sistemi di vita (ved. Urbanizzazione, aggregazione sociale, ecc.) sono stati completamente stravolte. Così, mentre prima c’era un sistema di vita familiare in cui “si programmava” il ménage familiare della giornata, gli incontri o le visite del pomeriggio e della sera, adesso si lascia tutto all’iniziativa della comitiva, alle sue nuove e strane maniere di trascorrere il tempo non più all’insegna della conoscenza dei valori fondamentali della vita ma a quelle del divertimento, della stravaganza e del menefreghismo delle buone maniere. Nasce così lo sconforto del focolare, quel luogo tanto prezioso quanto oramai inutile: non risulta più indispensabile a far ritrovare i componenti della famiglia, non è più necessario per assistere alla recita di rosari o a raccontare fatti e fatterelli che segnavano i tempi passati arricchendo quelli nuovi con morali e significati. Oggi i figli vanno in cerca di liberazione, di autonomia, di quel senso di scollegamento con i limiti e doveri imposti. In questa fase accertiamo anche l’origine dello svuotamento delle chiese. I ragazzi e ancor di più i giovani non preferiscono la chiesa, il catechismo ed i momenti di preghiera a esperienze più allettanti, più divertenti e meno impegnative di quelle proposte da una monotonia dettata da vecchi “concetti” ritenuti sorpassati dalle nuove ideologie. Qui nasce anche la separazione tra chi sceglie la nuova strada e chi, invece, messo davanti alla scelta, preferisce optare per una esistenza più consapevole, quindi maturo per approfondire le tematiche che lo vedranno impegnato nel prossimo futuro. Ma poniamoci la domanda: perché fare una scelta di questo genere? Perché tralasciare gli insegnamenti ricevuti? O, al contrario, perché accettare una condotta più impegnata? Dal punto di vista di chi “lascia”, direi che vanno esaminate le opportune indicazioni ricevute in famiglia, fatte non solo di insegnamenti ma anche di esempio, di spiegazioni del perché di tante cose, come ad esempio continuare a vivere in tal modo, nonostante le avversità e le difficoltà che contrastano il vivere quotidiano di quella famiglia. In altre parole andrebbe esaminato il genere di educazione trasmesso, l’apertura a quesiti posti dai ragazzi, esempi riportati dall’adulto di turno, con chiari riferimenti, e poi la rassicurazione degli animi degli ascoltatori, ai quali si avrebbe dovuto far capire che non sempre il nuovo è buono, è bello, è migliore di quanto si ha. Dall’altra parte cioè per quelli che hanno preferito il “nuovo”, possiamo vagamente intuire che hanno fatto il passo cedendo alle lusinghe delle facilità con cui fare ciò che si voleva, oppure ottenere con estrema semplicità ciò che si desiderava. Questo vuol dire alienare la propria volontà alle condizioni imposte dalla società e, quindi, non sottoporsi a propri voleri ma a quelli degli altri. Quindi, in definitiva, per poter adeguatamente prendere in esame le varie circostanze, è necessario individuare il genere di educazione impartito ai propri figli. Anche oggi la regola non è da meno anche perché, per la maggior parte gli adolescenti sfuggono ad ogni tipo di assistenza, da quelle educative a quelle religiose, con grave difficoltà per i genitori, esasperati nei loro continui confronti. Così, laddove si prevedrebbe un lasso di tempo fertile per le nuove possibilità, specie per la Fede, là si riscontrano le maggiori difficoltà generazionali. Infatti, trascinati dai repentini cambiamenti del corpo, della mente e della coscienza i ragazzi si ritrovano di fronte a quella nuda realtà evidenziata nella domanda “Chi sono io?» in un contesto in cui la regola comunitaria è svanita mentre al suo posto si presentano le nuove imposizioni caratterizzate dalle mode dei vestiti, dei linguaggi, della musica ecc.) e diventa impellente il voltare l’attenzione all’autonomia. Sembrerebbe che la vita condotta dalle nuove generazioni non si basi essenzialmente su grandi valori ma semplicemente su concetti innovativi, attinenti libertà, desiderio, autonomia. Sono parametri che nel vissuto quotidiano caratterizzano ogni momento della giornata di qualsiasi giovane in cui il muoversi, lo scopo per cui si muove, e la modalità con cui egli si muove nascono solo ed esclusivamente dalla necessità di evadere dalla “preconfezionata” vita di famiglia. In tutto questo parafrasare, come si è avuto modo di riscontrare non è stato fatto finora accenno alle posizioni della Chiesa in merito al rapporto con i giovani ed in genere alle nuove generazioni, perché infatti, l’interesse mostrato dalla Chiesa alle nuove visioni proposte dai giovani è di spessore consistente perché è globale: va dalle conflittualità generazionali all’assistenza sociale, religiosa o comunitaria, dalle problematiche esistenziali a quelle che lo vedono protagonista dei cambiamenti climatici ecc. Non per altro si contano a decine le indagini condotte a livello internazionale per comprendere sempre ed al meglio le attitudini di questa larga fascia di umanità che rappresenta il futuro della società. Nel nostro caso, gli studi riportati con maggiore frequenza riguardano la partecipazione alla vita ecclesiale e le proposte formulate per correggere certuni fattori che si rivelano obsoleti nei rap-porti con i fedeli. Ed allora iniziamo a porci quesiti di questo genere: I giovani hanno ancora Fede? Come gestiscono il proprio rapporto con la Religione? Pregano? Di che tipo di religione hanno bisogno? In una ricerca condotta dall’Istituto di Ricerca Iard nel panorama dei giovani tra i 20 e 30 anni è emerso che solo il 52% si dichiara cristiano e di questo l’80% pur conservando effettivamente un rapporto intimo col sacro, ammette di non immedesimarsi in una configurazione religiosa quanto più aderente ad un rapporto personalizzato con il proprio Dio. Ciò denota come ci sia un fatto, un elemento o comunque un qualcosa che abbia notevolmente influito sulle credenze del giovane che, rimasto perturbato, ha deviato il proprio modo di concepire e trattare la religione. Il punto cruciale, e storicamente accertato, è che la rottura in quasi tutte le circostanze è dovuta come diretta conseguenza del confronto e /o scontro con le persone o le istituzioni che predispongono le politiche di aggregazione o di pastorale per i fedeli per trasmettere la Fede ma che, per colpe, contrasti o incompatibilità con le scelte adottate e che diremmo per ovvi motivi, non sono state più ritenute credibili, né per la loro stessa persona né tantomeno per poter programmare regole necessarie per dar fiducia al fedele. E’ il contesto familiare, ecclesiale, associativo che, quindi, da promotore diventa strumento di causa di quell’abbandono. Quindi, si nota come in definitiva il malcontento espresso dai giovani sia nei riguardi della religione della teologia o con Dio ma è solo una diretta imputazione delle responsabilità addossate a coloro che sono preposti a tale incarico. A ciò si aggiungano quelle futili notiziole che giungono dal mondo del gossip paesano per aggravare di più tale situazione, per cui che basta che un solo giovane abbia incolpato i suoi genitori o ricevuto informazioni non esaltanti sul conto del proprio parroco del perché non si ritenga più soddisfatto della necessità di Dio, che presentato come premuroso e misericordioso ad aprire le porte alla sua futura famiglia tale non si identifica realmente ed allora la convinzione del giovane fa sì che non baserà più le proprie convinzioni sui valori cristiani ma eventualmente solamente su quelle civili, abbandonando la solidità espressa dalla società cattolica fondatrice ed estenuante sostenitrice dei valori fondamentali di interi popoli. Questo modo di concepire la propria riluttanza alle argomentazioni che propongono stili e metodi diversi per riflettere e vivere secondo gli insegnamenti cristiani indurisce le mente e l’animo dei giovani che molto spesso vistisi pressati evadono dal proprio nucleo di appartenenza isolandosi in considerazioni erronee che gli cagioneranno l’indurimento dell’animo. Quindi, per poter comprendere appieno incamminiamoci nell’universo della introspezione personale giovanile, per capire le tante motivazioni che inducono il giovane a precludere le proprie speranze ad una vita serena o magari più consapevole delle proprie potenzialità. Le cronache di questi ultimi tempi consegnano alla storia vicende che hanno dell’incredibile: vite di giovani e ragazzi distrutte a causa di uno sfrenato modo di interpretare la propria libertà, che scendono negli abissi della loro anima per non saperne più risalire raggiungendo un livello di autodistruzione senza alcuna possibilità di redimersi. La voglia di non immedesimarsi nel predominante collettivo stagnante e il desiderio di voler vivere solo secondo la piena volontà, scevra di legami tradizionalistici, fanno sì che tante scelte fatte da gio-vani impetuosi vadano incontro alla sorte più proponibile che mai: l’abbandono a se stessi. E così cadono nel dimenticatoio degli affetti, delle risorse familiari e di quelle della propria comunità, laddove cioè potrebbero invece raccogliere i tesori di esperienze maestre di tanti altri che sono riusciti a saper coltivare le proprie ambizioni, raggiungendole. Tanti studiosi si dedicano alla valutazione della psiche che si ritorce nei ragazzi sventurati che sono colpiti da questa irrequietezza ma non riescono ad ottenere alcun risultato in quanto rapportar episodi di cronaca alle condizioni in cui versano i suoi protagonisti non è cosa di poco conto: si dice che l’uomo sia un vero e proprio mistero perché se è vero che le sue doti riescono a fornire una conoscenza sempre più analitica di se stesso e delle sue capacità, è pur vero che queste sue capacità non lo liberano dai legami che lo vincolano alla propria natura. Cosa potrebbe dare senso alla propria vita, quindi, per far sì’ che l’uomo possa risorgere da se stesso e rifondarsi una nuova anima? Forse la risposta non sta nella cruda realtà che lo circonda ma in una nuova visione, in un nuovo contesto che solo la presenza di Dio può rivelargli. La Sua Parola, comprende tante possibili variazioni socio comportamentali che si ripetono nel tempo e in tutti i luoghi. In essa è contemplata la possibilità non di adeguare la propria storia a quella di altri, ma di rivisitare la propria identità riscoprendo le vere bellezze che l’aspettano.  


    DISPERAZIONE E FELICITA’ 

    Proprio facendo riferimento a quanto è stato citato nel paragrafo precedente, vorrei sottolineare come talvolta la realtà mostri i propri lati oscuri, nonostante il ruolo ricoperto all’interno del contesto quotidiano. E’ la rappresentazione di un imprevisto stop alla propria verve, al proprio stile di vita che trascende, per scelta o per necessità, dalla valutazione dei propri valori dalla visione più soprannaturale per farsi assorbire quasi in automatico dalla routine solita. Quello che segue è un “incontro” registrato in un ambiente normale, quello del luogo di lavoro dove ho potuto vivere “dal vivo” la disperazione di un giovane, col quale avevo già da tempo discusso di problematiche religiose, di avvenimenti e partecipazioni in cui l’essenza individuale si riprende la propria originalità aderendo a cerimonie vive e stimolanti. Questo giovane era dapprima un fervente praticante ma poi, per scelta o per altri motivi ha abbandonato nel corso degli anni il rapporto non solo con la Chiesa ma anche e specialmente con Dio. L’occasione, in questa circostanza era stata data da un confronto circa l’apatia che caratterizza la vita dei giovani d’oggi in quanto non vivono appieno le potenzialità loro concesse e nemmeno si prestano ad ascoltare i consigli che gli vengono forniti da coloro che, invece, vivono esperienze più soddisfacenti ma che esulano dal loro modo di riflettere. Si è trattato quindi di un fortuito “incidente” sul luogo di lavoro che però mi ha lasciato il segno nella mente ma anche credo in quel giovane al quale ancora una volta avevo prospettato l’idea di come vivere la propria storia quotidiana in modo talmente diverso tale da poter ravvedersi. Come si noterà, il tutto configurava un atteggiamento verso la vita abbastanza superficiale, non proteso verso argomenti delicati o esistenziali che potrebbero, a parer mio, apportare significativi risultati positivi nell’esperienza umana e storica di ognuno di noi. E’ quanto accaduto allo scrivente in un normale giorno di lavoro e che ha realmente offerto l’opportunità di riflettere su come si possa vivere meglio affrontando le circostanze della nostra vita facendo riferimento semplicemente a quanto Dio ci ha consigliato di seguire. Un semplice incontro, fortuito, da cui è scaturito l’input per poter ragionare su cose che sono alla nostra portata ma che rifiutiamo per una presa di posizione solamente egoistica. Quel giovanissimo collega, dalla faccia corrucciata e seriosa, mi ha letteralmente sorpreso perché conoscevo da tempo la sua “verve” di barzellettiere e naturale attore comico. Mi sono allora preoccupato di chiedergli come mai avesse quella faccia triste, il tono della voce così basso e se gli fosse accaduto qualcosa di spiacevole. Nella sua risposta, che mi ha lasciato interdetto, mi ha detto che era già da un po’ di tempo che si sentiva stanco anzi di più, come fosse senza spirito, svuotato dell’energia che lo caratterizzava, che non avvertiva cioè il gusto di andare avanti anzi, tante volte le barzellette ed i raccontini cui si dedicava altro non erano che un paravento al proprio stato d’animo che, all’opposto, era di tutt’altro colore. Mi diceva che da tempo non aveva più un obiettivo da porsi, cose cui ambire, oppure scopi da raggiungere, cioè avvertiva la mancanza di un qualcosa che lo rivitalizzasse, che lo sorprendesse, che gli rendesse più gradevole il trascorrere della giornata che non fosse il solito tran tran quotidiano. In sintesi, non riusciva a ritagliarsi un pezzo della giornata da dedicare a qualcosa che non fosse quello che ha sempre fatto, e cioè niente. La sua giornata, come mi ha spiegato poi, passava di ora in ora vivacchiando su tempi dedicati a sciocchezze, veri e propri passatempi trascorsi a dire scemenze, a fare improvvisate senza senso, il tutto per scatenare un po’ di risate, di accennata ilarità. Oggi, invece, e dico anche stranamente, la sua “verve” era a secco di gag da inscenare, di barzellette che non facevano più ridere, ma anche di persone non disposte ad accettarlo per come si stava presentando. Mi è sembrato di assistere al decadimento di una star mai nata ma dotato delle caratteristiche di poterlo diventare. Mi ha rattristito vedere quella figura di maschiaccio che si stava autocommiserando ed ho cercato di stuzzicarlo con banalità che poi hanno ceduto il passo ad argomentazioni più serie e consone all’occasione; ho provato a dirgli che forse avrebbe dovuto porgere attenzione ad altri aspetti della vita, di interessarsi a cose forse più serie, di rivedere un poco il proprio modo di vivere, volgere l’attenzione a qualcosa di più edificante: di tutta risposta mi riferì che non era certamente il soggetto deputato a ciò cioè prestare attenzione per le problematiche del mondo, perché tanto il mondo non gli avrebbe mai risposto anzi, non lo conosceva nemmeno. La scena era imbarazzante: un uomo dalla grande ilarità abbattuto dalla inconsistenza della sua vita. Allora ho tralasciato il tema scherzoso su cui stavamo dilagando e gli ho piazzato altro genere di “provocazione” : gli ho chiesto se avesse mai provato a dirigere la sua attenzione a Dio, a rivolgersi mai a Lui chiedendogli di rivitalizzargli il cuore e l’animo, di “parlare” con Lui, presentandogli la sua amarezza, oppure di frequentare qualche sacerdote o un catechista, un operatore parrocchiale che gli potesse dedicare un po’ di attenzione, che gli proponesse un genere di vita diversa da quella finora praticata, in altre parole cambiare stile di vita. La risposta, per quanto banale, fa il suo effetto: non seguiva più la religione perché essa era diventata una cosa vecchia, che i contenuti che esprimeva erano talmente banali che risultavano inappropriati e non più corrispondenti ai tempi attuali tant’è che se Dio avesse avuto pietà delle sue condizioni lo avrebbe già “contattato”, gli si sarebbe già manifestato, quasi come se fosse colpa di Dio non averlo già consolato. A nulla sono valse le continue sollecitazioni a cui l’ho sottoposto, gli inviti ai nostri incontri parrocchiali che periodicamente abbiamo in chiesa, per rappresentargli che Dio non è solamente uno spettatore della nostra vita a cui Egli assiste in attesa di essere invocato, ma è tutta un’altra storia, di quelle che forse non ha mai ascoltato o mai avuto modo di apprezzare. Ma la pena provata dal collega era talmente esagerata che alla fine mi ha costretto a lasciarlo con la sua angoscia e la sua desolazione. Ma il mio cuore, invece, era sottoposto ad una forte sensazione. Era la dimostrazione di come noi uomini generalmente rapportiamo il nostro essere alla Fede: siamo felici quando tutto va bene e, perciò, possiamo fare a meno di Dio, della Sua presenza e di tutto ciò che invece potremmo beneficiare grazie al Suo misericordioso intervento; invece, nei momenti in cui ci sentiamo affranti, sfiduciati nei confronti della vita o ci rendiamo conto di essere impossibilitati ad affrontare particolari circostanze, allora “sfiduciamo” anche il nostro rapporto con Dio e tutto il resto, adducendo che la colpa non è imputabile direttamente a se stessi ma a chi dovrebbe invece intervenire per evitare che succedessero guai di ogni genere. Dov’era Dio quando è successo quella tragedia? Cosa stava facendo Dio quando si stava per compiere quel misfatto? Dov’era Dio nel momento in cui….. Ancora una volta l’uomo riesce o intende scaricare su Dio le proprie nefandezze solo che in questo caso il destinatario non è uno qualunque, ma l’Essere Supremo che presta la Sua attenzione in ogni istante della nostra vita per poter intervenire, su nostra richiesta-visto che ci ha anche molto democraticamente rilasciato il libero arbitrio – e che per nulla al mondo si sognerebbe di rendere difficile la vita al suo protetto. Quant’è invece più semplice per noi cristiani! Questo è un po’ il riepilogo dei tanti esami di coscienza che si pongono i giovani che appaiono sempre più forti ed imperturbabili ma, che alla fine, mostrano tutti i segni delle proprie debolezze. I grandi eroi abbandonano le loro certezze e le loro sicurezze perché ormai sono sfiduciati del proprio domani e non prevedono positività per l’imminente futuro. Ma la cosa più eclatante è la ritrosità con cui i giovani si estraniano alle nuove proposte che sono offerte tanto per rivitalizzare o ristabilire quel tessuto spirituale ormai in disuso. Personalmente in quell’istante ho capito quanto siamo fortunati noi cristiani nel prestare attenzione a queste vicissitudini e, in tale circostanza a me in particolare, perché mentre quell’amico, in quel periodo iniziava una fase critica della propria vita, io stavo vivendo una esperienza meravigliosa, ricca di significato e di serenità, perché stavo per partecipare ad un evento particolare in cui avrebbero partecipato una massa incredibile di giovani. In realtà avevamo organizzato nella nostra parrocchia, una speciale esposizione del SS. Sacramento, un po’ diversa da quella già fatta in tante altre occasioni. La partecipazione dei fedeli era stata abbastanza consistente e ciò dimostrava come, nonostante le avverse condizioni climatiche, ognuno voleva partecipare ad una celebrazione che non sia stata copia delle tante finora fatte. Ed in effetti, questa volta l’incontro con Cristo era stato organizzato per far sì che tutte le famiglie della parrocchia potessero partecipare in un rito fatto di preghiere e composto anche da meditazioni e ringraziamenti al Signore per averci donato lo Spirito con cui riconoscere la Sua vicinanza, la Sua protezione e la Sua infinita Misericordia. La partecipazione dei nuclei familiari parrocchiali, infatti, ha reso più significativa tale esposizione in quanto rappresentavano la presenza di un qualcosa che va al di là di ogni atto o fatto condotto nell’arco della giornata. E’ il riconoscimento della propria disponibilità ad un incontro proposto dalla presenza di Cristo che, presentandosi ancora una volta al Suo popolo, si rende tangibile per ogni necessità. Ovviamente, chi necessitava di altro genere di velleità non abbisognava di una simile “esperienza” e avrebbe potuto certamente rivolgersi a tutt’altre attenzioni, ma sicuramente non riceverà la giusta dose di felicità ed appagamento come è capitato a noi. Anche se quel tempo trascorso insieme a Gesù Sacramentato già ci ha reso felici, oggi, la circostanza di poter evidenziare la differenza con il vissuto dell’amico rendeva ancor più esaltante l’incontro serale. Allora viene da chiedersi: è proprio vero che Gesù ti riempie la vita, te la scombussola, te la rigira a suo piacimento al fine di procurarti solo felicità e serenità? Se così risulta, come diretta conseguenza, è anche vero che se ti dedichi con più cuore ad un tema semplice, come quello di vivere all’insegna del Vangelo, la tua vita si trasformerà in tal modo che non potrai mai più avere sintomi di depressione o malcontento, ma potrai assaporare il vero gusto della propria esistenza, unitamente a tutti coloro che come te celebrano la stessa vita. E’ questo il modo più essenziale per vivere e dimostrare la propria fede, è questo l’atteggiamento più naturale da assumere quando vogliamo far conoscere il proprio pensiero circa il senso religioso che ci siamo creati nl nostro mondo interiore. Questo è il concetto che viene sempre esternato dai giovani per i quali simili esperienze si riducono a spettacolarizzazioni nonché manifestazioni in cui ci si pone in mostra tanto per evidenziare solo una decadente marginalità. Ma la Chiesa, come sempre ripetiamo, è sempre attenta e confermando la propria modernità al passo con i tempi, cerca di offrire una capillare assistenza in particolare ai giovani per poterli indirizzare verso punti di riferimento che possano avvantaggiarli rispetto ad altri coetanei, inculcando loro la concezione più realistica e performante inerente la Fede. L’obiettivo principale degli operatori perciò dovrà essere quello di impartire il concetto base: ogni crisi, che sia familiare o direttamente inerente il fenomeno adolescenziale, deve essere istradata nel nucleo familiare o con la propria comunità, laddove le diverse problematiche devono essere esplorate e condivise con l’esposizione e l’effettivo interessamento da parte di tutti, perché i giovani non sono soli e né tali devono risultare. Anche Papa Francesco, che elogia spesso i giovani, premia il loro fiuto nel sapere riconoscere quel lato positivo di ogni criticità che non tutti gli adulti annoverano nel proprio DNA e se quel fiuto lo indirizzassero nella ricerca di Dio potrebbero trovare il senso della Verità che porta coraggio ed audacia nelle scelte; si può aver paura della vita e delle aspettative ma non della vita e della bellezza che essa può regalare ad ogni individuo. 


    STUDI & RICERCHE 

    La vicenda raccontata è realmente accaduta, le risultanze sono abbastanza obiettive ed evidenziano ciò che in definitiva si riscontra nel momento in cui ci interfacciamo con i giovani, e non è solo teoria. Infatti, recenti studi ed analisi condotte da ricercatori in diversi paesi hanno sottoposto per circa cinque anni a diversi formulari e questionari persone appartenenti alle più diverse classi sociali: giovani adulti, teenagers finanche a giovani pastori evangelici, ed i risultati sono alquanto eloquenti. Nel libro di David Kinnaman, presidente del Barna Group, dal titolo molto esaustivo: “Mi hai perso: perché i giovani cristiani lasciano e ripensano la Chiesa” si evidenzia come la Chiesa si è sempre più esposta esclusivamente ai giovani considerati più adulti mentre ha mostrato meno interesse verso quelli più reazionari. Al primo posto si evidenzia la super protezione della Chiesa: circa un quarto dei giovani, nell’arco di età fra i 18 e i 29 anni, hanno risposto che “i cristiani demonizzano tutto ciò che al di fuori della Chiesa”; per il 22 per cento le Chiese ignorano i problemi del mondo reale; mentre per il 18 per cento la propria Chiesa sembra troppo preoccupata per l’impatto negativo dei film, della musica e dei videogames. Secondo argomento verificato: molti giovani riconoscono che la loro esperienza del cristianesimo è molto generica, superficiale, poco intensa, addirittura il 33% del campione giovanile intervistato ha affermato che non partecipa attivamente in quanto “la Chiesa è noiosa”. La cosa più preoccupante, però, ci viene dal 20 per cento dei teenager che hanno espresso il proprio parere affermando che Dio è fuori dalla loro esperienza di chiesa. E man mano che si scivola nelle varie annotazioni si annota ad esempio come molti giovani adulti non apprezzano il modo in cui la Chiesa sembra opporsi alla scienza, che “i cristiani sembrano troppo fiduciosi nel fatto che conoscono tutte le risposte”, per cui di fatto sembra che il cristianesimo sia contro la scienza. Altra motivazione individuata dagli studi proposti dagli esaminandi circa l’allontanamento in questione sta nel fatto emozionale, nel senso che avvertono la Chiesa “poco amichevole" nei confronti di coloro che dubitano. Ovviamente, arriviamo al massimo della controtendenza quando tocchiamo tematiche molto “sentite” dal mondo giovanile, specie quello della sessualità. Il 17 per cento di giovani cristiani afferma di aver commesso errori e di sentirsi giudicati dalla Chiesa a causa di tali "errori”; inoltre, l’insegnamento della Chiesa sul controllo delle nascite e sul sesso “è antiquato”. La maggior parte degli abbandoni sono collegati a cambiamenti nella vita; il che può anche far supporre una certa superficialità nell’approccio alla fede. Quando i cambiamenti nella vita rimescolano le priorità e il tempo nelle vite dei giovani adulti, e quando è tempo di impegnarsi nella vita della Chiesa, molti non si sentono benvenuti e impegnati. Molti abbandoni però non sono definitivi; l’abbandono è temporaneo o parziale, ad esempio il 34 per cento ha deciso di tornare perché fermamente convinto di aver scelto bene mentre il 28 per cento invece perché ha “sentito” il richiamo della spiritualità. Volendo analizzare partendo da una visione più psicoanalitica sul mondo dei giovani e delle relazioni che essi intessano con la Religione in genere, invece, dobbiamo porre dei paletti obiettivi, in quanto il primo argomento o se vogliamo il primo tabù da evitare in tutti i modi è il porre le questioni inglobando le diverse tematiche da un punto di visto totalitario, procedendo quindi ad una generalizzazione del tutto. Ciò nonostante possiamo evidenziare come sussistano punti psicologici e sociologi in comune quando si tratta di esaminare l’atteggiamento dei giovani di tutto il mondo intero. L’enorme peso causato da liberalismo, globalizzazione, cambiamenti nei rapporti di coppia e nella famiglia, le diverse rappresentazioni della sessualità, l’influenza posta dal mondo della musica e della televisione, ma specie da quel mondo molto virtuale che è Internet condizionano ed unificano considerevolmente la mentalità giovanile di quasi tutti i paesi. I giovani oggi manifestano tante e variegate fragilità anche se si dichiarano sempre aperti e disponibili. Pur non sentendosi più prigionieri delle ideologie, come già le generazioni precedenti avevano indicato, essi tendono a raggiungere ideali incarnati nella verità inconfutabile e per questo pongono il proprio servizio nel contesto dell’interesse generale. Anche in questo caso vi sono stati studi ed analisi comportamentali che hanno esaminato giovani di età tra i 18 ed i 30 anni, vale a dire la fascia di età in cui i soggetti iniziano la fase post adolescenziale e cercano quindi di affermarsi con una propria linea autonoma, cercando l’affermazione di un proprio “io”. E’ vero che tanti giovani, per diversi motivi, cercano la propria strada lasciando anche prematuramente la propria famiglia di origine, ma è pur vero che tanti ricorrono sempre ed ancora alla famiglia di provenienza per cercare aiuto e risolvere questioni che possono apparire grossolane ma che per mancanza di esperienza poi si rivelano tutt’altro. Ma il modo di fare dei giovani trova dell’incredibile tant’è che addirittura essi tendono a mettersi in mostra evidenziando da un lato la propria capacità e dall’altro la necessità di voler trovare un proprio credo, anche religioso, uno spazio in cui riversare le proprie sensibilità e utile per crearsi la propria esistenza. Ma la gran parte di essi, al contrario, è molto lontana dalle preoccupazioni religiose ed adduce la colpa al fatto di non essere stata né sensibilizzata né educata in questo campo. Pur colpiti dal fenomeno del settarismo, dal terrorismo e dalla guerra, che diventano uno scenario inquietante in cui la religione comunque è coinvolta, specie quando si parla di integralismo religioso, i giovani cercano una propria ispirazione, imponendosi di imparare a vivere gli uni con gli altri. Nel porsi di fronte ad un concetto d’insieme così come quello posto dalla odierna società, che presenta dubbi, perplessità, immaturità, incoerenza ecc. tantissimi giovani si prestano a ricercare le varie alternative al sistema che lo ha già avuto componente, ma questa volta tali nuove opportunità lo pongono al centro di un interesse molto più diverso ed inconsistente, come quello della realtà virtuale, in cui essi esprimono la propria forza e coraggio affrontando situazioni e circostanze illogiche che non trovano alcun riscontro con la loro vita reale. Eppure di tanto in tanto essi affermano di voler trovare nella realtà una valida risposta ai propri bisogni nonostante ciò sia in netto contrasto con il loro modo di vivere e di approcciarsi alla società reale. Sono perciò molto generosi e solidali con i propri simili ma non condividono in toto le proprie esperienze, partecipano idealmente alle battaglie in cui riconoscono le proprie convinzioni, ma non si rendono pronti a offrire il proprio contributo per la soluzione a quei problemi. Quindi molte convinzioni, tante idee, ma poche adesioni. Un elemento molto eloquente in cui ravvisare la concezione del giovane che si allontana dalla Chiesa è quella secondo cui il momento storico della sua vita non sia quello deputato alla trasformazione di che trattasi e, perciò, non è da considerare impellente per la storia corrente e, perciò è da rinviare ad altra data da stabilire. Si parte dal presupposto che la durata della vita media dell’uomo si sia allungata per cui le problematiche che si oppongono al benessere della vita dovrebbero essere trascurate, vanno spostate in altre epoche future, mentre si dovrebbero sfruttare i giorni correnti per altre faccende ritenute più semplici da gestire e quindi meno impegnative. In questo contesto si nota come il periodo della giovinezza si possa identificare meglio con il periodo dell’indecisione o dell’immaturità. Molti giovani, in effetti, tendono a rinviare gli appuntamenti con i diversi punti della vita non sapendo se potranno continuare quel che hanno iniziato a fare mentre altri ancora vivono la gioventù non più come un tempo fine a se stessa ma come uno stato duraturo. Come ben fanno notare i psicoterapeuti, vi sono oggi giovani impegnati in processi di maturazione che richiedono più tempo in quanto sono caratterizzati da una condizione di moratoria, ossia una sospensione delle scadenze e degli obblighi legati al passaggio alla vita adulta. Quelli che non hanno particolarmente desiderio di diventare adulti non vivono la loro gioventù come una fase propedeutica all’’ingresso alla vita adulta, ma come un periodo di tempo che ha valore in sé e per sé. Nel passato invece, il periodo della giovinezza era vissuto in funzione della vita successiva e di un’esistenza autonoma: la gioventù era quindi una tappa preparatoria. Ai giorni nostri, la gioventù così prolungata provoca una certa indeterminatezza nelle scelte di vita. Alcuni preferiscono quindi rinviare le scelte definitive e ritardare di conseguenza l’ingresso nella vita adulta o nell’assunzione di impegni definitivi. Non interrogandosi sui loro problemi d’autonomia, non si sentono obbligati a fare scelte fondamentali. La necessità di conoscersi e di avere fiducia in sé è un’esigenza consona a quest’età. Ma sotto il peso degli enigmi irrisolti e degli insuccessi, il senso di sé può essere rimesso in discussione. All’improvviso il soggetto si sente più fragile, perché non è più in grado di assicurare, come nel passato, la propria continuità. Cerca quindi di essere se stesso e diventa molto sensibile a tutto ciò che non è autentico in lui. Sotto questo punto di vista la catechesi può aiutare i giovani a imparare ad amare la vita, a immagine di Cristo, che si è incarnato nel mondo rivelandoci che siamo chiamati da Dio alla vita e all’amore. Moltissimi giovani non danno la necessaria attenzione alla loro vita psicologica ed al loro intimo e per questo possono sentirsi a disagio nel provare sensazioni che non sanno identificare o, magari, cercarle al di fuori delle relazioni e delle attività umane.

    Ci troviamo sempre più di fronte a personalità impulsive che difficilmente si rendono conto che l’azione deve essere ripresa e mediata dalla riflessione. Poiché non dispongono di risorse interiori e culturali, né di un’adeguata capacità di ragionamento e magari nemmeno provano ad assaporare il gusto di tali valori, lamentano spesso di mancanza di concentrazione e di far fatica a impegnarsi a lungo in lavori intellettuali; dimostrando così la povertà della loro interiorità; addirittura la riflessione li turba e li disturba. Hanno bisogno di educare la propria volontà perché porli di fronte a interrogativi o a problemi da affrontare, li avvilisce. Specialmente tra i giovani adulti si evidenzia la mancanza di oggetti di identificazione affidabili e validi, atti a sviluppare materiale psichico in base al quale poter costruire la loro interiorità. Ma in questo caso andiamo a sbattere contro il problema della trasmissione nella società odierna: trasmissione culturale, morale e religiosa. La mancanza d’interiorità favorisce sistemi psicologici più avulsi all’ansia piuttosto che a rispondere alla pulsione che a impegnarsi nella formazione interiore. Ma la maggioranza dei giovani, se nella vita cerca ancoraggi per il proprio nutrimento interiore, lo fa di più secondo quanto percepisce soggettivamente quando invece potrebbe trovare migliore risposta facendo memoria delle grandi tradizioni religiose o morali, da cui resta relativamente distante. Molti di essi, infatti, basano il proprio modo di vivere su un criterio molto personalistico direi quasi narcisistico, in cui ciascuno deve bastare a se stesso e riportare tutto a se stesso, ispirandosi alle proprie emozioni e sensazioni piuttosto che ai principi della ragione, a una parola intellegibile come quella della fede cristiana e dei valori della vita. La catechesi, l’educazione al senso della preghiera e della vita liturgica e sacramentale possono far molto per aiutare i giovani ad appropriarsi della loro interiorità, del loro spazio psichico e fisico. I riti, le insegne e i simboli cristiani possono partecipare a questa costruzione interiore e proprio per questo sono tanto apprezzati dai giovani, con grande sorpresa degli adulti. La vita interiore si costituisce così in rapporto con una realtà e una presenza esterna. La Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa, svolge questo ruolo mettendo i giovani in relazione con Dio, che si incontra attraverso le mediazioni umane, inaugurate da Cristo e divenute così segni della sua presenza. Nella preghiera fiduciosa, guidata e sostenuta dalla Chiesa, si stabilisce un rapporto privilegiato tra Dio e coloro che Egli chiama a conoscerLo. 


    LE RAGIONI DEL DISTACCO 

    Prima di addentrarci nel mondo degli interrogativi, che costituiscono il punto di rottura e, quindi, di partenza dell’allontanamento dei giovani dalle proprie naturali convinzioni per confluire in quelle, più complesse ed estranee della estrema società, andiamo a considerare le loro interiorità che costituiscono l’insieme di quelle rimostranze che spingono i giovani a cercare ripetutamente una nuova strada da percorrere per trovare una propria ricollocazione che non sia quella preordinata dal sistema vigente. In tutto questo è meritevole attribuire a questo senso di libertà che essi vogliono assaporare, una giusta osservazione da parte dei matusa che attribuisca loro una idonea considerazione in virtù del fatto che essi comunque pur avvertendo queste necessità non disdegnano di aprirsi al confronto, con altre idee e altre concezioni. Non bisogna infatti generalizzare sui profili dei tanti giovani che si accingono a voler proseguire nella vita senza un valido appoggio. Anche se essi presentano vistose fragilità, restano attenti ed aperti ad ogni circostanza, disponibili al confronto ed all’interesse globale. Non dimentichiamo, come già molte volte ci viene ripetuto dagli studiosi del settore, che i giovani vivono intensamente e molto profondamente l’era post – adolescenziale ma, ritenendosi con molta e sentita avversità critica già preparati per il confronto, vogliono rendersi anche psicologicamente liberi da ogni sorta di vincolo. E’ per questo che essi procedono speditamente per la propria strada ed a volte, forse tante volte ed anche erroneamente, nel sentiero della vita alla ricerca di un qualcosa che possa cambiargli la vita o di trovare appagamento delle proprie necessità. Molti giovani che hanno saputo dirimere le questioni connesse all’età puberale o adolescenziale in questa fase della loro vita si sentono irrequieti per poter affrontare altri ostacoli o altri problemi. Ma per quanti che riescono a vincere le proprie paure, ve ne sono tantissimi altri che, restano intrappolati nell’indifferenza della società, delle istituzioni - volte a salvaguardarlo - e restano relegati ai margini della realtà, sempre più differenziale e ostica. Così, nonostante i giovani siano carichi di altruismo e di generosità ed ancora si emozionino per sentimenti naturali, non riescono a trovare validi strumenti o riferimenti sociali con cui poter dare il meglio di se stessi. Ed allora si chiudono nel proprio ego, e vanno incontro a tutte le problematiche relative alla propria età, a partire sulla storica domanda: chi sono io? A cosa servo? Come posso realizzarmi? Scendono, in tal modo, nei bassifondi sociali dove inizieranno a vivere ognuno la propria battaglia psicologica, priva di qualsiasi forma di assistenza professionale o umana. E’ in questa fase che da parte loro gli adulti iniziano a porsi le domande di base, a chiedersi: quali sono le motivazioni che adducono il fanciullo / giovane, che ha deciso di non continuare più il suo cammino all’interno dell’educazione religiosa proposta dalla propria famiglia o dalla parrocchia in cui vive? Perché, in sintesi, egli ha deciso che la strada prescelta non è adatta alla sua evoluzione nel contesto religioso, familiare o sociale? Credo che, fondamentalmente, sia questa la base di partenza per iniziare a capire quali siano gli scossoni che provocano turbamenti nell’animo dei giovani, specie quelli che da circa un ventennio vagano in tutti gli strati sociali alla ricerca di una effimera soluzione alle proprie problematiche esistenziali. E, di conseguenza, come affrontano i risultati che essi stessi riscontrano alla fine di quella ricerca? Innanzitutto credo che sia necessario dare una particolare attenzione a quelle che sono le cause che originano un elevato “malcontento” dei giovani a tal punto che reagiscono in modi diversificati e volendo motivare le scelte da loro adottate nel contesto globale dovremmo prima di ogni cosa prendere in esame tutto ciò che ha contribuito alla negativizzazione del loro pensiero sui temi più complicati della vita sociale. Perciò la perdita della validità delle ideologie politiche, la crescita esponenziale del consumismo, le grandi sfide sociali andate smarrite, non hanno fatto altro che accentuare il desiderio di abbandonare l’aggregazione dei giovani che si sentono in un certo qual modo autorizzati ed in grado di prendere – secondo il loro modo di concepire la reattività – la giusta posizione nei confronti della società, potendo quindi rigettare quei valori fondamentali originati dal contesto sociale e riguardanti matrimonio, famiglia, educazione civica e morale, e fare a meno di interessarsi di concetti più basilari come giustizia, equità, fattori climatici e via di questo passo. Scendendo più nello specifico, si nota come nel campo delle regole commerciali le applicazioni adottate siano in aperto contrasto con quelle che dovrebbero essere le “giuste” valutazioni per apportare migliorie e rivalutazioni alla società consumistica in cui imperversano dettagli economici che sostituiscono le valide regole economiche per favorire le linee programmatiche della politica, del management speculativo. Si avverte quindi come il vero senso della vita non sia più l’uomo, la cosa pubblica il benessere sociale. Le nuove generazioni, i tanti bistrattati giovani, spesso criticati perché “hanno tutto e non se ne accorgono” oppure “vivono nell’agiatezza che non gli basta mai”, sono considerati in modo alquanto superficiale da coloro che, invece, sarebbero deputati a prestare loro la dovuta attenzione in virtù dell’avvicendamento che dovrebbe caratterizzare l’ammodernamento dello status sociale in generale. Inoltre è alquanto diffusa la concezione per cui la nostra cultura non è realmente cristiana per la presenza di svariate forme di pluralismo culturale, la secolarizzazione, il no alle istituzioni, il permissivismo, perciò il giudizio su questi fatti è largamente negativo: sono valutati come tendenze pericolose, da superare o da controllare. Ora, pur essendo consapevoli che non è possibile intervenire per modificare lo stato di crisi fino alle radici è necessario realizzare condizioni innovative in cui siano presenti altri valori o ispirazioni cristiane. In questo modo si tende una mano ai giovani cristiani. Per aiutarli a risolvere le difficoltà che lo investono e che, rispetto alle mentalità esterne presenti nella società, sono più resistenti e propositive. Invece, assistiamo una continua ostilità, dovuta ad un approccio negativo di confronto che pregiudica, da subito, lo stato interazionale fra i ceti della gioventù e quella anziana che identificano gli altri come semplici idealisti, molto sprovveduti, sognatori. E via di questo passo. Purtroppo, questa parte, che definiremmo “quella più anziana”, non s’accorge che proprio i giovani si trovano di fronte ad una compagine non tanto migliore della propria. Gli adulti, infatti, altro non sono che la rappresentazione dell’evoluzione automatica della società inerte, negligente e svogliata che nulla ha attuato e nulla attua, non solo ma nemmeno avanza proposte per il raggiungimento di un nuovo modello di socializzazione.

    Questo atteggiamento “passivo” ha comportato in passato e tuttora rivela la naturale reazione giovanile ad ogni forma di attenzione prestata da chiunque ma che non rappresenti veramente il settore giovanile. Gli adulti evidenziano la totale ignoranza del valore intellettivo e la forza scatenante che i giovani posseggono, specie quando riescono a coalizzarsi al fine di ottenere la realizzazione di quanto si sono proposti di ottenere. Questo segna l’inizio di una rottura con gli schemi prefissati, quegli standard cui hanno aderito, anche incoscientemente, tante generazioni che in passato si sono lasciati coinvolgere da un assoluto disfattismo che non ha realizzato alcun bene per la società postuma. Addirittura potremmo dare una duplice spiegazione classificando in due specie la forma delle possibili causali, una di origine sociale, e l’altra di natura prettamente religiosa: se consideriamo l’aspetto puramente sociale, dobbiamo ammettere che vi sia una vera e propria crisi dettata da fattori fondamentali come il decadimento dei valori famiglia, la presenza di tanti tipi di violenza, la comunicazione di facciata che gli organi istituzionali rendono pubblica con i mass media che hanno ormai abbandonato la trasparenza in danno alla credibilità delle proprie informazioni; dal punto di vista religioso, invece, possiamo senz’altro confermare che persiste un livello di sfiducia nella Chiesa e nelle organizzazioni religiose così come si denota un minor senso di responsabilità verso gli impegni cristiani, in particolare nella partecipazione ad un rinnovamento all’interno della Chiesa; infatti è facile trovarsi di fronte a frasi ricorrenti, molto spesso inadeguate o fuorvianti del genere:

    -Non vado a messa perché mi stanco o m’annoio, non c’è nulla di impegnativo;

    -Non mi va di ascoltare le solite prediche anacronistiche fatte da uomini non affidabili;

    - Da parte dei genitori: oramai mio figlio ha fatto la comunione e la cresima, adesso è a posto; semmai ne riparleremo quando dovrà sposarsi.

    Più nel dettaglio si può osservare che ci sono giovani che esprimono la propria indecisione a proposito dell’argomento “fede” valutando la personale indisponibilità a partecipare in quanto la religione è appannaggio solo di chi appartiene al gruppo ecclesiale, come pure vi è chi, diversamente, pensa che la religione è un argomento che va trattato solo dopo aver risolto i problemi personali o familiari. Infine, vi è il gruppo di giovani che tratta la religione come un argomento a se stante, nel senso che diventa importante quando considera temi scottanti che affondano le proprie radici in quella parte di religiosità responsabile di quanto accade, mentre cade di importanza nel momento in cui la stessa prende in esame tematiche per nulla interessanti alla loro vita individuale. Questo denota come sussista una sopravvalutazione soggettiva che sottovaluta e deprezza l’esperienza di vita di tutti rendendola una composizione di tanti istanti, tutti autonomi tra loro, in cui l’essere presta attenzione a seconda del momento che sta vivendo. Fortunatamente si può riscontrare anche una minima parte di giovani che assegna alla religione un posto di primo piano, sia perché nel corso degli anni è diventata sostegno psicologico personale, sia perché riesce a rispondere a quelle esigenze e quindi a riempire i vuoti del proprio intimo. Ma, anche in questo caso, si tratta comunque di una importanza attribuita in virtù di un riscontro alla propria esperienza personale che può scemare allorquando si effettuano le scelte personali. Effettivamente è presente nel panorama religioso un diffuso malcontento che attraversa le varie età ed etnie, specie quando scaturisce da una progressiva perdita di fiducia nei confronti della Chiesa. Si tratta di un qualcosa che fino a qualche anno fa era del tutto inimmaginabile, vista la diffusa concezione inerente l’ infallibilità della Chiesa, ma nei tempi correnti, laddove i giovani sono presenti con la loro consapevolezza e autonomia intellettuale le cose e le posizioni sono del tutto variate a tal punto che essi sono già stanchi e rassegnati. Questo stato di cose induce l’adulto a considerare sprovveduto ed incompetente il giovane che, sebbene sia pronto ad affrontare ogni sorta di problema, non si presta alla giusta considerazione o quantomeno tentare di avvicinarlo per valutare se ci fossero le condizioni per poter unitamente lavorare per un progetto comunitario o unitario. E più si avverte il distacco fra le due fazioni e più aumenta il conseguente interesse a partecipare. Sono sconfitte scottanti perché si tratta di circostanze che non fanno altro che evidenziare uno stato di degrado del pensiero dei falsi cattolici o cattolici tendenzialmente apatici votati al ribasso, una crepa che si è aperta nel corso del tempo per varie cause e che adesso non si riesce a colmare per una carenza di attenzione, da ambo le parti. Nel corso dei secoli si è assistito ad una specie di rincorsa tra religione e potere temporale. Ci domanderemo: che attinenza possono avere con gli argomenti che stiamo trattando? Sappiamo dalla storia che fin dagli albori, nei momenti di crisi politiche la politica pretendeva di avere il dominio sulla religione e su tutte le questioni ad essa afferenti, minacciando la stessa natura istituzionale della Chiesa. Questo atteggiamento provocatorio e, prevaricatorio sottintendeva la necessità di escludere la matrice religiosa dalla società civile, affidandole solo compiti riguardanti la coscienza individuale. In tal modo la coscienza legale ha preso il posto di quella morale ed etica. Cosa ne pensano, oggi, i giovani di questo netto distacco di competenze? Che questo modo di concepire l’atteggiamento sociale verso le problematiche dell’intera umanità non ha fatto altro che provocare una enorme confusione nella loro mentalità che, al contrario, tende più a rivalutare l’aspetto morale e si rifugia sovente nelle descrizioni moralistiche ed etiche esposte nelle Sacre Scritture, quel posto, cioè, dove sono poste le vere regole per affrontare le battaglie della vita.   San Giovanni Paolo II ha spesso sottolineato che "l’uomo di oggi, deluso da tante risposte insoddisfacenti alle fondamentali domande del vivere, sembra aprirsi alla voce che proviene dalla Trascendenza e si esprime nel messaggio biblico. Allo stesso tempo però egli mostra sempre più insofferenza alle richieste di comportamenti in armonia con i valori che da sempre la Chiesa presenta come fondati nel Vangelo. Si assiste allora ai più vari tentativi di slegare la rivelazione biblica dalle proposte di vita più impegnative". Non è da ultimo considerare l’enorme impegno che a suo tempo proprio San Giovanni Paolo II profuse per il riconoscimento, peraltro mai ottenuto dalla classe politica, dell’attiva partecipazione della Chiesa alla costruzione delle radici della società europea. Questo ha costituito l’ultimo esempio, evidente, di testimonianza di laicizzazione rampante che non ha mai rispettato la dimensione religiosa dell’esistenza umana. Invece, le giovani generazioni avrebbero bisogno di essere educate alla dimensione sociale e istituzionale della religione cristiana e di non vivere la Chiesa come un gruppo puramente individualista. Ma si dovrebbe sapere in giro che la Chiesa non è agonizzante, come invece qualcuno vorrebbe far intendere anche se è vero che vive le stesse variegate difficoltà che incontrano tutte le istituzioni che si scontrano con l’individualismo e la desocializzazione. In un contesto sociale in cui vige una mentalità preclusa ad energie positive che potrebbero fare la differenza per un mondo è fondamentale scoprire il senso della realtà, promuovere luoghi di socializzazione tra le generazioni, per acquisire il senso delle istituzioni. In questo l’esperienza cristiana ne costituisce la ricchezza. Spetta perciò alla Chiesa assicurare un seguito alla moltitudine di giovani desiderosi di capovolgere le sorti del mondo ed adottare un tipo di catechesi più attiva ed innovativa. Infatti, si dovrebbe sapere che da qualche decennio la Chiesa ha implementato al proprio interno livelli di attenzione talvolta esasperanti, che hanno in debita considerazione tutto ciò che gira intorno alla famiglia, alle problematiche giovanili, alle infrastrutture necessarie ad aggregare nuove realtà giovanili. In tutto il mondo sono in atto moltissime realtà, ovviamente positive, che stanno cercando di porre rimedio alle mancanze in precedenza rilevate ma non modificate. Ma la comunicazione di tutto questo è ad un passo morto. Solo di recente, con l’avvento di Papa Giovanni Paolo II e di Papa Francesco, si è dato corso ad un riammodernamento non solo teorico di tutto l’ ”ensamble” ma anche ad una ristrutturazione degli organi istituzionali che hanno il compito di seguire da vicino queste realtà (v. Ministero per la Famiglia). Nel libro “You lost me: why young christians are leaving the Church …. And Rethinking Faith", gli autori David Kinnaman e Aly Hawkins si pongono le stesse domande che ci poniamo in questa sede partendo da quella più inquietante: perché i giovani, autodefinitisi cristiani, abbandonano la chiesa?

    Questi insigni studiosi hanno condotto uno studio particolareggiato sul tema, partendo dal contenuto di tre argomentazioni:

    1) Le Chiese hanno un impegno attivo con gli adolescenti, ma dopo la Cresima molti giovani non le frequentano più e sono solo pochi che crescono fino a diventare adulti seguaci di Cristo.

    2) Le motivazioni per cui le persone abbandonano la Chiesa sono varie e diverse, quindi è importante non generalizzare sulle argomentazioni esposte dalle nuove generazioni cercando, anzi di dare la giusta valutazione di ogni elemento recriminato.

    3) Le Chiese hanno una certa difficoltà a formare la nuova generazione a seguire Cristo, a causa di una cultura che cambia rapidamente.

    Ebbene, gli autori convengono che, in definitiva non vi è un vero e proprio abbandono dei giovani alla via religiosa, ma più che altro è lo stato relazionale con la Chiesa a farne la spesa, in parte massiccia dovuta al fatto che queste ultime generazioni sono state letteralmente sopraffate da profondi mutamenti culturali che ha causato innalzamento del livello di complessità e incertezza nel contesto sociale. Inoltre, lo stato della comunicazione, specie quella indotta dalla rete internet ha rivoluzionato il modo di relazionarsi, provocando un modo del tutto nuovo di lavorare, riflettere e relazionarsi. E questa possibilità ha influenzato, naturalmente, anche la parte relativa al discorso religioso, aprendo le prospettive ad altre visioni critiche e valutative. Vi è poi lo scetticismo con cui tanti giovani affrontano i provvedimenti attuativi delle modifiche istituzionali per ricostruire, ammodernare o innovare la società. In definitiva, gli autori non hanno riscontrato pochi elementi distinguenti all’origine delle scelte fatte dai giovani bensì hanno trovato molteplici “frustrazioni” che comportano svogliatezza nei giovani, obbligandoli a lasciare un campo impegnativo e utopistico. Invece, lo studio condotto dal “Center for Applied Research in the Apostolate" è molto più analitico in quanto ha posto sotto osservazione il comportamento riportato da soggetti intervistati a partire dai tredicenni, visto che si tratterrebbe di un'età a partire dalla quale si verificano gli “abbandoni” in questione. Ebbene, la statistica evidenzia come oltre il 70% ha lasciato la Chiesa, le funzioni, i riti, le celebrazioni ed un’altra fetta di intervistati non ha mai esternato le proprie convinzioni a nessuno. Molti altri ancora, invece, hanno tralasciato ogni pratica religiosa a causa del comportamento incoerente dei propri genitori che ha pregiudicato il loro modo di ragionare e di comportarsi: ciò evidenzia come i giovani siano abbastanza presenti e attenti agli atteggiamenti adottati dai propri educatori, specie se si tratta di genitori presi a modello di vita: i figli osservano sempre, coscientemente e silenziosamente tutto quello chela coppia madre- padre produce nell’ambito familiare e non basta insegnare loro cosa è bene e cosa è male, non serve limitarsi a mandarli al catechismo se poi i capostipiti della famiglia non vivono, per primi, per loro stessi, ciò che insegnano. Cioè, se i figli si accorgono molto facilmente se gli stessi genitori vivono la fede cristiana non per abitudine, ma perché ne hanno bisogno, loro per primi, per dare un senso alla loro vita. Ma la coerenza non è automaticamente sinonimo di credibilità, perché è credibile anche un padre o una madre che sbaglia, sa di sbagliare e si rialza perché anche nell’errore continua ad affermare un ideale più grande: anche questo, i figli e i giovani lo considerano e sanno distinguere l’ipocrisia del moralista dal peccatore che chiede perdono e riparte. A fare da contrappeso a quanto sopra detto vi è lo studio redatto dal sociologo Philip Scwadel dell’University of Nebraska-Lincoln (The Journal for the Scientific Study of Religion), per il quale, pare un paradosso ma non lo è, gli appartenenti alla cosiddetta Gen-X, nonostante siano stati cresciuti ed educati in ambienti assolutamente non religiosi, presentano un 30% di soggetti attivi in parrocchia o comunque in associazioni religiose: ciò dimostrerebbe come non persista l’influenza familiare sull’attività svolta dall’interessato. Ciò effettivamente è avvalorato da altri analisti che intravedono nell’azione cristiana attuale, una forma di riavvicinamento della Chiesa alle molteplici potenzialità che i giovani possono e sanno esprimere, in tantissimi campi. Tante organizzazioni religiose, infatti, presentano la fede come un mezzo col quale mettere in movimento, far crescere, dare evoluzione, spronare l’adolescente nel giusto modo, non abbandonandolo al vicolo cieco della insensibilità; ci si avvarrà perciò di un entusiasmo preponderante che vivacizzerà la monotonia in cui è ricaduta la vita ecclesiale. Oggi più che mai, quindi, è necessario che la Chiesa si doti di soggetti educatori che stimolino l’entourage familiare, indirizzandone il cammino sulla strada giusta. La presenza di tali operatori produrrebbe due effetti benefici: l’accomodamento della famiglia, in cui si riporterebbe l’educazione al giusto livello e, di conseguenza, un apporto significativo nel tessuto sociale che sarebbe investito da un’onda positiva di costruttivismo. 


    FINE PARTE PRIMA....
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