Amatrice, città morta...
A distanza di due anni dal terremoto, la popolazione vive ancora momenti di difficoltà fra quello che manca e tutto ciò che la tragedia ha portato via per sempre il 24 agosto del 2016.
Non c'è ancora un progetto serio di ricostruzione, ma non mancano le grandi parole spese dal politico di turno...
Amatrice, epicentro del terremoto, è morta; l’ospedale più vicino si trova ad Ascoli (40 minuti di auto). Accumoli, oggi isolata, ha (aveva) una storia antichissima; anche quella è stata spazzata via. Già un violentissimo terremoto aveva distrutto questo territorio nel 1600. Allora non si poteva costruire su quel tipo di terreno e lo si è sempre saputo; invece la cittadina è stata edificata su vecchie macerie, dove il rischio sismico è fra i più elevati. Perfino i Borboni avevano edificato qui con un sistema antisismico, che prevedeva tetti in legno. Ma il terremoto di due anni fa è stato talmente violento da far crollare perfino palazzi costruiti nel 1200. Accumoli confinava con lo stato della Chiesa e faceva parte del Regno delle due Sicilie, in un periodo molto florido, quando questo territorio aveva una grande rilevanza anche nelle scelte del governo centrale.
"Ci siamo sentiti sempre abruzzesi, siamo abruzzesi, per le tradizioni e per la nostra cultura che è e resta abruzzese”: è questo che ripetono gli abitanti di Accumoli e Amatrice. Fu Mussolini a trasformare Accumoli e Amatrice in province di Rieti, Lazio.
Basti pensare che fra Amatrice ed Accumuli il 95% degli edifici è inagibile e le Sae (Soluzioni abitative d’emergenza, chiamate anche casette) sono circa 500. A due anni di distanza sembra che i lavori in corso riguardino la sola demolizione. Gli esperti affermano che il processo è lungo, perché si svolge con molta cautela, cercando di salvaguardare la sicurezza. Si parla del 50% di edifici demoliti in due anni, di gare di appalto, commissari, ricorsi, studi e tanta burocrazia. In 24 mesi si procede (con molta cautela) con gli abbattimenti.
Capricchia è una delle 69 frazioni di Amatrice; si trova a 12 chilometri dal paese ed è abitato da circa 15 residenti in inverno che arrivano a 350 nei mesi estivi, ai quali dopo il sisma se ne sono aggiunti 12, grazie alle strutture messe a disposizione da privati.
Capricchia si trova a 1100 metri di altezza e dopo il terremoto del 2016 gli abitanti vivono in totale autogestione, con l’aiuto di associazioni, privati e della pro loco. Da quel terribile giorno si vive come in una comune, con roulotte e improvvisando una vita, che in realtà non è più la stessa.
Quello che il sisma ha insegnato da queste parti è la condivisione di tutto. Si tratta di famiglie che si sono ritrovate a vivere con altri e a fare i conti anche con esigenze e bisogni diversi. Non sempre è semplice convivere specie in questi luoghi “fantasma”, ma ci si abitua anche a questo. Gli inverni sono rigidi e la neve rende difficili gli spostamenti. Se si pensa che molto spesso la convivenza è difficile perfino nei condomini, dove le persone vivono comodamente nei propri appartamenti, si può solo immaginare cosa sia lo “stare insieme” per persone che la casa l’hanno persa. Il 30 luglio 2017 è stato inaugurato il “Villaggio Vittoria” a Capricchia; grazie a molte donazioni, con uno sforzo da parte dei residenti e della Pro Loco sono state costruite baite in legno per accogliere i villeggianti. Questa è solo una delle tante iniziative che gli abitanti intraprendono per far rivivere la loro terra, ma è ancora troppo poco. Non sempre la verità su questa zona terremotata viene fuori dai tg; probabilmente perché ce ne sono diverse di verità. Ciò a cui bisognerebbe pensare è la ricostruzione (è quello che si ripete in continuazione), ma non ad una semplice costruzione di case; è necessario che istituzioni, privati ed esperti lavorini in sinergia. In questo territorio c’è bisogno di sapere dove si può e dove non si può costruire; c’è bisogno di gente competente che studi progetti che considerino territorio, storia, fattibilità. Prima di tutto le istituzioni e chi ha a cuore questo territorio dovrebbe ammettere che il terremoto è una realtà in questi luoghi (lo dice la storia), è frequente, è un fenomeno normale e sistematico e su queste basi bisogna rimboccarsi le maniche. In questa parte d’Italia ferita è necessario avere un progetto serio di ricostruzione, che di fatto stenta a decollare proprio perché non vi è una visione globale (o non la si vuole avere) e fino a quando tutte le forze non si uniranno davvero questo territorio resterà una terra di fantasmi, di piccole iniziative isolate, di grandi parole spese dal politico di turno, per un po’ di visibilità.
Giovanna Angelino
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