Il come e perché delle “40 ore”: meravigliosa omelia di Don Franco Catrame

L’amatissimo parroco ha ricordato i temi della sua ultima predicazione in Santa Maria degli Angeli al tempo in cui, 34 anni fa, fu vice di Don Antonio.

 

 

Giovedi 6 maggio si è celebrata in Santa Maria degli Angeli la messa conclusiva delle Solenni "QUARANTORE”, una delle funzioni più sentite e partecipate della liturgia cattolica, nel corso della quale i fedeli hanno potuto ascoltare una meravigliosa omelia di Don Franco Catrame. Una delizia di pensieri partoriti dall’animo e dalla mente di un umile condottiero della fede.
Insuperabili le sue considerazioni sul “desiderio di amare” che anima il cristiano ancor prima di amare Cristo.
Bellissimo e toccante il ricordo di Don Franco di quando, proprio su questi temi, incentrò la sua ultima omelia in Santa Maria degli Angeli, nel gennaio del 1987, quando fu vice di Don Antonio, prima di essere chiamato a successivi importanti incarichi nell’ambito dell’ente diocesano.  

«Oggi, nel concludere le “Quarantore” che ci hanno visto in preghiera in questi giorni -ha detto Don Franco Catrame- desidero condividere un’esperienza, di viceparroco, in questa bellissima Comunità. Era il 1987, nel mese di gennaio e il Parroco Don Antonio Pasquariello mi chiese di predicare le Quarantore, prima di lasciare la Parrocchia perché nominato Parroco dell’erigenda chiesa SS. Nome di Maria in Puccianiello di Caserta. Iniziai la predicazione con una citazione del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach che, in un suo scritto, affermava: “l’uomo è ciò che mangia”. Riportando questa affermazione, dissi che anche il cristiano è “ciò che mangia”, cioè l’Eucaristia! 
Le Quarantore sono la dichiarazione di identità, di fede e di amore del cristiano all’Amore di Gesù nell’Eucaristia. Oggi, mi piace ricordare un’antica espressione latina: “Deus sitit sitiri!”. Dio ha sete, di noi, che abbiamo sete di Lui. In questo c’è il senso definitivo di questi giorni di adorazione eucaristica e del nostro essere cristiani, uniti a Gesù come i tralci alla vite per sempre».

Grandiosa, poi, la sua spiegazione sull’origine, storia e significato delle Quarantore:

«L’origine remota delle Quarantore è da ritrovarsi nella pratica dei fedeli di commemorare, durante la settimana santa, le quaranta ore che il Corpo di Gesù giacque nel sepolcro; durante questo arco di tempo i fedeli rimanevano in preghiera e facevano penitenza per prepararsi degnamente alla grande solennità della Pasqua.

Fin dal IV secolo a Gerusalemme, per il venerdì santo, si teneva il rito dell’adorazione della S. Croce che si concludeva con la reposizione in un luogo che ben presto prese la forma esterna del sepolcro. Mentre nel X sec. si deponeva la Croce, nel XII sec. si consolidò l’uso di deporre il Crocifisso; più avanti nei secoli entrò l’uso di porre l’Eucaristia, racchiusa in una teca, sul costato del Crocifisso, fino a quando poi, nel XV sec., rimase l’uso di mettere solo l’Eucaristia.

La vita liturgica, nell’epoca medievale, fu segnata fortemente dalla contemplazione della passione e morte di Cristo. Questa accentuazione contemplativa deriva dal progressivo processo di drammatizzazione della liturgia, specialmente in quella relativa alla rappresentazione della passione di Cristo. Il crescente aumento degli elementi drammatici di cui la liturgia si era arricchita, portò a far perdere ai fedeli l’abitudine di accostarsi con frequenza alla comunione, divenendo così spettatori del dramma della passione del Signore. Fulcro, dunque, della partecipazione dei fedeli divenne il desiderio di “vedere” Cristo tanto nella rappresentazione drammatica degli ultimi eventi della sua esistenza storica quanto nel pane eucaristico dove si rende presente per comunicare i frutti della salvezza.

Il “videre ostia” era, pertanto, considerato nel medioevo il vertice di tutta la celebrazione, per cui dal momento che tutto il Cristo è presente nel pane eucaristico, la contemplazione dell’ostia suppliva alla comunione sacramentale.

L’uso, dunque, di deporre l’Eucaristia sul costato del Crocifisso, che è alla base dei cosiddetti “sepolcri”, è stata abolita dal Concilio Vaticano II e in una recente Lettera della Congregazione per il Culto Divino (anno 1988 nn. 44-57) è stato ribadito il divieto di usare lo stesso nome di “sepolcro” nell’indicare l’altare della reposizione nel giovedì santo, dal momento che la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare la “sepoltura” del Signore, ma per custodire il pane eucaristico, segno della presenza di Cristo vivo, per la comunione che verrà distribuita il Venerdì santo.
Le Quarantore erano praticate già prima del 1214 da una Confraternita della Dalmazia, il cui esempio servì da stimolo ad altre Confraternite per ripeterle anche al di fuori della Settimana Santa, soprattutto nei periodi di particolare difficoltà della vita sociale e religiosa. A Milano, infatti, nel 1527 si svolgevano le Quarantore per chiedere aiuto al Signore, implorandone misericordia e soccorso, dal momento che la città soffriva terribili angustie, in seguito ai continui passaggi degli eserciti che, giunti dal settentrione, devastavano tutto ciò che trovavano. L’opera di S. Carlo Borromeo, per quanto riguarda la diffusione di questa pia devozione, fu veramente grande, tanto che ne regolarizzò la pratica promuovendola in ogni chiesa della sua Diocesi; è da tener presente poi che le avvertenze che S. Carlo diede per la sua diocesi, vennero tenute in considerazione anche in altri posti dell’Italia.

Inoltre, grazie all’opera di promozione dei Cappuccini, ben presto le Quarantore presero piede in gran parte della nostra Nazione.

La pratica delle Quarantore, pertanto, nata nel contesto della Settimana Santa, divenne una forma privilegiata di preghiera attraverso la quale si chiedeva l’aiuto di Dio in situazioni particolarmente difficili. Pian piano le Quarantore si caratterizzarono come pia pratica avente lo scopo di adorare nell’Eucaristia i misteri della passione e morte di Gesù e assunsero infine il carattere di adorazione comunitaria di Gesù-Eucaristia, centro della vita cristiana, della comunità e fonte del suo rinnovamento spirituale. In tal senso è molto importante ricordare e sottolineare il valore dell’adorazione eucaristica che, per ogni comunità cristiana, nutrita dalla comunione sacramentale, diventa il culmine e la fonte della sua spiritualità».

«Cosa significa “adorare”?
Partendo dalla etimologia del termine, adorare significa 
avere un sentimento di grande affetto, di stima e di ammirazione verso qualcuno.
Il termine, infatti, nella sua radice, deriva dal latino “ad-os”, che indica l’atto del portare le mani alla bocca, alle labbra per fare un segno di saluto e di rispetto verso qualcuno; nell’antichità il gesto di prendere il lembo del mantello di una persona e portarlo alla propria bocca era indice di venerazione e di adorazione.

Dal momento che il termine adorazione ha a che fare con la bocca o con le labbra, proviamo a considerare quali sono le funzioni della bocca per poi trarre alcune riflessioni spirituali sull’adorazione.

  1. Attraverso la bocca esprimiamo il nostro senso di stupore e di ammirazione; molto spesso, di fronte a qualcosa di straordinario, affascinante e meraviglioso, l’uomo rimane “a bocca aperta”. Adorare, dunque, significa stare davanti a Gesù quasi “con la bocca aperta”, provando stupore di fronte a colui che, avendo creato il cielo, le stelle, il sole, la luna, le galassie..., si rende presente in un semplice, povero ed umile pezzo di pane.
  1. Attraverso la bocca (e il naso) passa il respiro, la vita; basti pensare, in casi di estrema necessità, alla tecnica della respirazione “bocca a bocca”. 
    Adorare significa stare di fronte a Gesù che ci dona il respiro, la vita, il suo Spirito; mettersi alla sua presenza è lasciarsi ossigenare da Lui.
  1. Attraverso la bocca e le labbra esprimiamo il nostro affetto verso qualcuno, dandogli un bacio. Adorare significa stare davanti a Gesù per esprimergli la nostra gratitudine, il nostro affetto, il nostro amore; l’adorazione è la più grande “dichiarazione d’amore” che possiamo fare a Dio.
  1. Attraverso la bocca, infine, passa il nutrimento. 
    Adorare significa stare di fronte a Colui che ci nutre, che si fa nostro nutrimento; adorare è “nutrirsi” di Gesù.

Adorare la presenza eucaristica del Signore risorto significa riconoscerlo presente in mezzo ai suoi discepoli ed amici con i quali Egli ha scelto di restare in comunione: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20); “Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24, 52-53)». 

Ineguagliabile la estrema semplicità di esposizione con la quale Don Franco Catrame parla ai fedeli, anche nei momenti in cui deve fare ricorso necessariamente a richiami dottrinali.
Don Franco è un uomo umile, semplice, vicino alla gente; non ama il protagonismo; parla ai suoi fratelli, ai suoi compagni di viaggio mettendosi al loro fianco e mai davanti; è autentico, è se stesso in tutti i momenti della sua immensa intensa missione spirituale.
Don Franco è un dono di Dio.

Nicola Ciaramella
©Corriere di San Nicola