L’Arte secondo Vincenzo Cacace: “Spiritualità condensata in immagine”

Vive ed ha il laboratorio a San Nicola la Strada uno dei tre pittori italiani del Neosurrealismo

 

Vincenzo Cacace (nato a Nusco nel 1949) è pittore ormai noto a livello internazionale. La corrente Neosurrealista comprende circa cinquanta artisti in tutto il mondo, con appena tre italiani: Cacace è uno dei tre (con tutte le sue riserve ad affermarsi “puramente neosurrealista”).
Lo incontriamo nel suo laboratorio di San Nicola la Strada (in cui risiede da quasi vent’anni) intento a terminare l’ultima opera, ancora senza nome. La tela testimonia l’Uomo operante tramite il Pensiero Vivente, simbolicamente come mano aeriforme nell’atto di definire una circonferenza. Il tutto è sottoposto all’indagine dello sguardo di Dio, contemporaneamente presente tanto dentro quanto fuori l’artista.
Il Maestro non esita a rivelarsi: «Mi concentro sul perfezionamento interiore del mio linguaggio, senza curarmi dell’elogio della storia».
Indipendentemente da ciò, la storia sembra curarsi non poco dell’artista, considerando che le sue opere sono giunte in Francia, negli Stati Uniti (California), in Giappone, in Svizzera, in Messico ed in altre nazioni.
Già a ventiquattro anni il giovane Cacace inizia la sua esperienza oltre i confini nazionali e da allora di strada ne è stata percorsa. Troviamo collaborazioni con prestigiose e storiche realtà, dalle associative (Lions Club), ad Alitalia, all’Ambasciata Italiana (a Lugano), all’UNICEF.
Innumerevoli le esperienze in Italia: l’elenco completo di queste sue attività è semplicemente ingente.
Il Maestro Cacace da decenni è seguito e commentato dal critico e storico dell’arte Angelo Calabrese, con una collaborazione ormai storica.
Affacciamoci alla giovinezza del Maestro.
Il suo primissimo disegno da bambino sono tre melagrane disegnate col gesso per terra, leitmotiv che lo accompagnerà nella produzione artistica lunga una vita, ancora oggi presente nelle ultime opere e anche nell’ultima opera ancora senza titolo.
«Ricicliamo continuamente la nostra essenza primaria», ci dice Cacace, sottolineando che «il concetto di Arte non è cambiato molto da quello che era all’epoca della mia giovinezza. Esso si è arricchito con la formazione, con una maggiore cultura, con una maggiore conoscenza delle cose e soprattutto si è arricchito di esperienza diretta. Di arte vissuta nella vita e della vita vissuta nell’arte». 
Il giovane Cacace fa esperienza nell’Istituto d’Arte di Torre del Greco (la scuola pittorica più antica al mondo per l’incisione del corallo) e nell’Accademia di Belle Arti di Napoli è studente di Giovanni Brancaccio (per la pittura) e di Augusto Perez (per la scultura).
Inoltre Cacace prima di diventare Maestro è l’allievo prediletto del grande pittore Antonio Bresciani (1902-1998).
Per il Maestro Cacace «L’Arte è spiritualità condensata in immagine. Si verifica quel processo fenomenologico concepito dal filosofo e matematico Husserl. Il pensiero iper-uranico si concretizza attraverso la materia in trasformazione. Nel mio caso la pittura è il linguaggio centrale ed è il coinvolgimento di elementi chimici, non solo come fatto spirituale (ispirazione), ma anche come fatto tecnico (forme e toni)». 
Si evidenzia un rapporto sacro e intimo alla luce del personalissimo pensiero di un servitore dell’ispirazione pittorica. Solitamente è difficile servire due padroni quando non concordano sulle rispettive finalità, perché il dio denaro predilige gli affari e le Muse prediligono la comunione con una rivelazione. Qualche volta, a causa di varie circostanze, essi camminano assieme. Altre volte, no e l’artista viene costretto alla difficile scelta: l’uno o le altre.
-Maestro, quale “direzione” lei ha scelto?
«Nella mia vita ho dovuto fare delle scelte precise, per cui ho abbandonato il piano materialistico legato alla sicurezza economica (la docenza), per dedicarmi completamente alla ricerca artistica. Al giorno d’oggi si diventa schiavi del mercato per poter sopravvivere, oppure si è condannati a vivere in uno stato perenne di precarietà. Essa è una forma di tormento continuo che costringe a mantenere i sensi più attivi e svegli anche verso le problematiche dell’Arte. E’ il problema del linguaggio oltre che dei contenuti».

Antonio Dentice d’Accadia