Il Sufismo a San Nicola la Strada

Ci apre le porte la confraternita muridista guidata dal Maestro Abou Ka. E' la più importante della Campania.


L’articolo che segue ha valore persino documentaristico, esplorando il quotidiano di una confraternita Sufi nei suoi aspetti sociali, gerarchici e addirittura rituali, un fatto più unico che raro nella Daara della Campania, ovvero il permesso di assistere alla ritualità. Il presente è un articolo “atipico”, a metà tra un brevissimo documentario e una cronaca.

In Europa esistono poche tradizioni legate all’autentico Sufismo, l’iniziatica via mistica dell’Islam, di cui solo un ristrettissimo numero di islamici ne fa parte, impegnati a coltivare nel segreto iniziatico tecniche per il conseguimento dell’estasi sacra e della visione di Dio (attraverso danze, canti ed esercizi di respirazione – a seconda della specifica scuola).

Una di queste tradizioni, il Muridismo, è silenziosamente presente a San Nicola la Strada, qui in provincia di Caserta. Il Muridismo ha il suo cuore in Senegal e in Italia si concentra principalmente in alcune zone della Lombardia. Ebbene, a San Nicola la Strada esiste il centro del sufismo muridista più importante di tutta la Campania e tra i centri fondamentali del Sud Italia (fatto ignoto all’esterno del centro, almeno fino ad ora). Tant’è che nella prossima visita in Italia di Serigne Mame Mor Mubake, massima autorità mondiale del Muridismo (e nipote del fondatore del Muridismo), dopo l’incontro con il Papa a Roma, con i Vescovi e con i vari Prefetti, sarà anche a San Nicola la Strada.

Devo ringraziare l’amico Luca Raucci per avermeli presentati circa un anno fa. Il 6 Aprile ricevo il permesso del Maestro (Marabou) Abou Ka di visitare la confraternita (Daara, “il cerchio”), composta da una quarantina di membri. Tra essi ho il piacere di conoscere vari discepoli: Mor, l’amministratore del centro, che mi ha messo in contatto con il Maestro; Assane, segretario del centro, un giovane in tunica rossa e Malik, un uomo maturo in tunica bianca. Sono proprio Assane e Malik a tradurmi le parole del Maestro Abou Ka, che non parla italiano e sempre loro mi assistono in tutto il percorso, spiegandomi quanto riporto.

E’ importante tenere a mente che il Sufismo è una via di profondo misticismo piuttosto complessa e sottoposta a una dura auto-disciplina. Esistono poche confraternite in tutto il mondo perché spesso i Sufi vengono massacrati dall’Islam radicale. Il mantenimento della pace, l’armonia tra tutte le religioni, la tolleranza e la ricerca di Dio rappresentano i principali presupposti del Sufismo, i cui la parola dei Maestri supera quella degli Imam, i comuni capi religiosi del mondo islamico. Non a caso il Senegal, patria del Muridismo, costituisce una “barriera” tra il Paese e i gruppi del terrorismo jyhadista: «Il Senegal è un’eccezione nel mondo. Anche i governanti devono uniformarsi a ciò che i Maestri Sufi dicono. E il Sufismo vuole la pace. La pace a ogni costo» (ad esempio una cronaca di inizio 2017 riporta che due Imam sono stati arrestati in Senegal con l’accusa di terrorismo, un fatto controverso e suscitante diverse reazioni sul piano politico e diplomatico).

Abou Ka approfondisce il motivo “sacro” a radice di questo discorso: «Il fondatore del Muridismo, il Maestro Amadu Bamba (1850-1927) fu catturato, imprigionato e torturato dai colonizzatori francesi. Egli fu un Maestro Illuminato e una volta libero decise di perdonarli tutti. Tornato in Senegal impose a tutti i suoi discepoli il perdono del nemico nell’utilità della pace comune. Bamba avrebbe potuto scatenare una rappresaglia, vendicarsi, invece scelse con saggezza e superiorità. Noi facciamo la stessa cosa. Continuiamo a mantenere la pace». La Daara si riunisce anche per consolidare la comunità e venendo dall’Africa Sub-Sahariana sono testimoni di uno scenario difficile: «mantenere la pace è una priorità».

Il Maestro prosegue il discorso rapportandolo al quotidiano: «Ogni mondo è paese, occorre richiamare all’ordine chi sbaglia, soprattutto i più giovani. Siamo costantemente impegnati a correggere i difetti dei nostri fratelli più giovani e inesperti. Chi sbaglia viene richiamato immediatamente. L’Italia è il nostro secondo paese, abbiamo buoni rapporti con tutti gli enti locali. La cultura senegalese tende all’integrazione». Ogni giovedì sera la confraternita si riunisce secondo un preciso schema diviso tra: ritualità, riunioni, fatti amministrativi e insegnamento.

Il Maestro e i suoi discepoli mi spiegano che mantengono ottimi rapporti con il Sindaco e tutta l’amministrazione comunale «anche se non comprendono il reale significato di quello che accade qui», ovvero la rarità di avere dei Sufi in casa e la differenza tra essi e una qualsiasi comunità islamica (motivo per cui mi concedono l’intervista e la visita).

Chiariti gli aspetti sociali passiamo ad esplorare il vero cuore della situazione. Vari libri e articoli parlano della vita di Amadu Bamba, il fondatore del Muridismo, dei suoi precetti, dell’importanza del lavoro, della figura del Maestro e della “irada”, l’impegno del discepolo a camminare verso Dio. Oggi ho la rara opportunità di andare oltre queste nozioni, di toccare con mano i praticanti e lo scrigno di insegnamenti.

Racconta il Maestro: «Siamo legati alla Tradizione Ancestrale. L’anziano è importante. Quando Dio ha “sceso” la religione tra gli uomini ha mandato i profeti a spiegarla. Il Marabou deve veicolare lo stesso messaggio ricevuto dai profeti». La duplice purificazione del corpo e dell’anima è il primo passo nel Sufismo: «La purificazione personale è la cosa più importante. Servono continue abluzioni, purificazioni rituali per pulire lo spirito. Se non si diventa puri non si può entrare nel misticismo». Il discorso si lega alla necessità della pace, che è uno stato di purezza, a differenza della guerra. Il percorso del Maestro, del Marabou, è ancora più difficile di quello dei discepoli. Mi spiega Malik che il percorso spirituale del Marabou include non solo maggiori digiuni e ritualità, ma anche dei ritiri molto particolari, dei periodi di isolamento totale, senza alcun contatto con le altre persone, neanche con i familiari. Questi ritiri possono durare anche quaranta giorni, in cui il Marabou si immerge completamente in sé stesso per cercare la presenza divina.

Già il ricevere queste nozioni per via direttissima è un fatto inconsueto. Ebbene, il poter assistere anche alla ritualità è un fatto sorprendente, assolutamente inaspettato. Normalmente chi non è iniziato al Sufismo non può osservarne i processi interni (e qui sono particolarmente rigorosi su certi aspetti). Per la prima volta nella storia della Daara di San Nicola la Strada a un esterno è concesso il privilegio di assistere al rito. Un discepolo mi spiega: «Affinché tu possa raccontare cosa facciamo qui. I vicini ogni giovedì sera sentono battere dei colpi e poi dei cori, delle litanie, delle preghiere. Qualcuno addirittura si insospettisce. In via eccezionale il Marabou ti vorrebbe presente affinché sia portata testimonianza». Preciso che non è abitudine del sottoscritto enfatizzare impropriamente certi fatti, ma ho davvero ricevuto qualcosa di prezioso che cerco di trasmettere nel miglior modo.

La camera rituale si trova nel primo piano del fabbricato. E’ una stanza ampia ma semplice. Può contenere una cinquantina di persone, forse più. Una serie interminabili di tappeti ricopre il pavimento e le pareti sono tenute perfettamente bianche. Una stanza spartana ma di grande impatto, soprattutto se si entra a celebrazione iniziata (rigorosamente senza scarpe).

Nella Daara è possibile riconoscere i “gradi” dei vari discepoli dal materiale usato per comporre il Kurus, collana simile a un rosario. Il Marabou è seduto ed è rivolto ad Oriente, mentre i discepoli formano delle file curve attorno a lui. Solo agli uomini è permesso essere presenti.

Il sottoscritto è scalzo, seduto a gambe incrociate in fondo alla stanza, con la schiena poggiata alla parete. Un paio di discepoli che parlano l’Italiano mi fanno compagnia a turno, spiegandomi cosa accade. La ritualità a cui assisto si chiama: “Uaje Kamil” e alcuni devoti tendono e vestire con tunica bianca, il colore della purezza.

La prima parte del rito presenta il classico inginocchiarsi islamico recitando il nome di Allah. Successivamente tutti si dispongono seduti a terra, rimanendo rivolti ad Oriente, iniziando una serie di litanie ritmate con voci sovrapposte nella lettura del Corano e delle parole del fondatore Bamba. L’effetto è ipnotico, percepibile anche se non assumi un ruolo attivo nella celebrazione. Il suono ti stacca da te stesso e traspone in altro. Ricorda vagamente un canto gregoriano, col timbro della voce sempre basso, mormorato. Nell’insieme è immaginabile come un respiro bisbigliato creante una spirale di versi sacri.

Nella fase finale passa un discepolo con il “cafe touba”, un caffè speziato senegalese. Mi viene da pensare che esso serva a riprendere gradualmente lucidità verso la conclusione della celebrazione, evitando uno sbalzo improvviso con il quotidiano. Esprimo la mia supposizione a Malik, che sorride e annuisce senza parlare. Mentre finisco di bere il caffè le preghiere continuano nella “fase calante”, con una frequenza diversa. Mi spiegano che si pregano anche i defunti, ovunque essi si trovino, ognuno prega i propri. In quel momento penso: “Dio è suono”, o: “Dio cammina sui canti”.

Sono le ore ventuno circa e il sottoscritto si ritira mentre i membri della Daara, terminato il rito, sono impegnati a parlare di questioni amministrative. Porterò nella memoria l’interessante e stimolante complessità espressa dal Sufismo.

Inoltre il Marabou della Daara di San Nicola mi fa un ultimo regalo. Mi dice che potrò incontrare e intervistare anche Serigne Mame Mor Mubake, la massima autorità mondiale della loro tradizione, quando sarà in visita in Italia (dal 28 di maggio al 19 di giugno).

I lettori interessati attendano fiduciosi. 

Antonio Dentice d’Accadia
©Corriere di San Nicola 



Calendario delle attività della Daara

Il Maestro Abou Ka

Il discepolo Assane


Un discepolo che annota fatti amministrativi

Un discepolo in preghiera

Un discepolo nella preghiera finale

Il Maestro alla conclusione del rito

Il cafe touba a fine celebrazione

Immagine di Bamba, il fondatore