“Il richiamo dell’appartenenza” dieci anni dopo

Ristampa e nuova copertina per il primo lavoro della scrittrice di origine ischitana Bianca Monti


“Il richiamo dell’appartenenza” somiglia a Bianca, la quale senza preamboli introduce il lettore direttamente in cucina, mentre prepara il caffè e fuma la sua prima sigaretta; si assiste alla telefonata con la madre, poi in modo altrettanto naturale si entra in contatto con i pensieri dell’autrice.
La scrittura semplice e accogliente, costruita con equilibrio e tempi giusti, ci costringe a viaggiare con lei, con qualche pausa di riflessione, entrando e uscendo da considerazioni e ricordi lontani. In questo continuo gioco alternato si assiste al racconto di una vita, ad un’altalena di sentimenti forti, profondamente intrecciati fra passato e presente.
Dopo dieci anni dalla prima uscita, “Il richiamo dell’appartenenza” è ufficialmente in ristampa dal 21 giugno scorso, rivisitato e con una copertina tutta nuova.
Il racconto inizia appunto con una telefonata e un viaggio, anche fisico, verso il passato, nei luoghi dell’appartenenza; ma qual è il valore di un ricordo e a quale posto apparteniamo veramente?
Letto dieci anni fa, conservo ricordi ed emozioni molto diversi fra loro e con essi domande che, oggi ho rivolto direttamente all’autrice.
Conosco Bianca da molti anni, prima ancora del suo viso avevo conosciuto le sue parole, non quelle scritte nel libro. Sebbene sia profondamente radicata in noi la necessità di associare alle parole e alla voce di qualcuno un’immagine, non sempre quest’ultima è davvero fondamentale per riconoscersi. Sarebbe complicato spiegare come ci siamo incontrate (se esiste il caso) e come la nostra amicizia abbia vissuto un passato e in un luogo, credo anche in un tempo (esiste il tempo?), quasi come la storia raccontata nel libro. 

La prima domanda che rivolgo a Bianca è semplice, forse banale:
-Come e quando è maturata l’idea del libro?

«In realtà il mio libro è maturato da solo: non è nato da un progetto iniziale. Provavo la necessità di codificare un dolore che non pensavo potesse appartenermi e, per farlo, ho creduto fosse utile spiegarmelo analizzandolo attraverso la scrittura. Inevitabile in certi casi ritornare al passato, a quello che era stato il legame mio con Maria; è così che la sua storia è diventata la nostra storia. Ho rovistato nei racconti di chi la conosceva, nei luoghi e negli oggetti che le appartenevano, alla ricerca di una donna che credevo erroneamente di conoscere. Solo alla fine del mio lavoro, quando ho compreso l'insegnamento che questa piccola grande donna mi aveva dato, ho desiderato trasmetterlo agli altri attraverso un libro».

-Nel racconto vi è un’alternanza fra vecchio e nuovo, parti dal presente, da un luogo preciso (Ladispoli) per poi fare un’incursione nel passato e ritornare al presente. Tempi e luoghi. Cosa rappresenta l’appartenenza per te? A quale luogo appartieni? A quale tempo?


«Ho voluto rimanere fedele ai miei pensieri ed ai miei battiti di cuore così come li avevo vissuti. Non cercavo una scrittura costruita, perfetta, ampollosa… desideravo l'essenziale, la risposta, la verità assoluta del mio sentire. L'andirivieni tra passato e presente, tra luoghi e persone è quello che tutti affrontiamo nella vita di ogni giorno in cerca di risposte, di noi. Per me " appartenere " significa far parte di… " Abbiamo un bagaglio culturale ed emozionale da cui partiamo e di cui siamo parte ed estensione. "L'appartenenza" ha un significato che si proietta nel futuro, nel cambiamento, proprio grazie al riconoscimento di quello che è stato»

-Ogni famiglia ha una storia, tu hai vissuto in un’isola molto bella, ma comunque un’isola. Credi che questo ti abbia formato in modo differente? Vi è una coscienza diversa, secondo te, rispetto a chi vive in città, con collegamenti e contatti più immediati con il resto del mondo?

«La vita in un'isola è diversa da quella di una città, di sicuro è più lenta nella maggior parte dell'anno. Le distanze sono ridotte e tutto si raggiunge prima, ma c'è il mare che, quando si guarda, fa percepire il resto del mondo come distante. Credo che un isolano conservi dentro di sé sempre questa sensazione di lontananza, di dolce malinconia. Molte cose sono cambiate negli ultimi anni. Quando ero piccola non c'era internet ed allora tutto quello che esisteva oltre il mare era veramente distante»

-C’è qualcosa nella parte finale del libro che mi ha suscitato una sensazione molto forte e in particolare il modo come finisce il libro. E’ stato un finale pensato, costruito, voluto, capitato perché bisognava mettere un punto?

«Il mio libro è principalmente un percorso personale, e come tale non sapevo quanto sarebbe durato e dove mi avrebbe portato. L’ho scritto vivendolo, senza fretta. Mi sentivo portata per mano da non so chi e verso cosa. Un giorno, all'improvviso, una consapevolezza nuova: ecco il mio punto».
 

-Infine un’ultima domanda, per concludere, banale come la prima più o meno. Perché questo titolo? Ne avevi pensati altri?

«Il titolo è venuto da sé. Non poteva essere diverso. E' stato un richiamo, " Il richiamo dell'appartenenza"»

Giovanna Angelino

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