Maria Pia De Martino: «Gli autori mi deludono ogni anno sempre di più»


Intervista alla poetessa pluripremiata e critico letterario: «Molte sono le giurie improvvisatesi tali e senza alcuna competenza assegnano riconoscimenti altisonanti». Presto sarà a Caserta, con il Corriere di San Nicola e la LIDU, per commentare la poetica di G. Limone.


 

Maria Pia De Martino, classe 1960, dell’Ariete, con ascendente in Cancro. Medico, artista e critico letterario. Autrice pluripremiata a livello internazionale. Il mondo pediatrico le ha insegnato come tramontano i bambini. La poesia, come tornarvi. Col compagno di vita condivide l’indipendenza, l’amore per il teatro e un persistente individualismo.
La sua esperienza nell’arte passa per alcune “cosucce”, come: la presidenza del Premio Letterario Internazionale “Le Nuvole – Peter Russel”; il titolo di “Donna dell’anno 2012” (sez. medicina e cultura) alla Universum Accademy of Switzerland; la nomina di Ambasciatrice di Pace all’Università della Pace di Lugano; l’incarico di Presidente Universum per la città di Napoli; e la partecipazione al progetto del Beguinot sulla città interetnica, al Palazzo dell’ONU di New York. Ovviamente, è anche la massima referente in Italia della corrente poetica russelliana.
A breve, assieme al suo amico, compagno d’armi e d’arte, il filosofo e poeta Giuseppe Limone, la De Martino sarà ospite su Radio Caserta Nuova, nell’evento promosso dalla Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU onlus) e dal Corriere di San Nicola. Qui commenterà le “Ceneri di Pasolini”, la raccolta di liriche e prosa dell’autore partenopeo insignito del Premio Internazionale dell’Association Des Amis d’Emanuel Mounier.

La De Martino individua e indica il difficile equilibrio tra due realtà, l’apertura dei salotti intellettuali e la dignità qualitativa dell’Arte. Il difetto della prima, diviene concausa di giostre autoreferenziali. Invece, con il difetto della seconda, si scivola nell’insoddisfacente banalità di chi non sa ossessionarsi coll’immaginifico. Il dilettantismo ad oltranza.

Dialogare con la De Martino, nella veste di critico artistico-letterario, è raccoglierne l’afflizione. Ed è proprio l’afflizione che condivide con noi: «Gli autori mi deludono ogni anno sempre di più, ma noi continuiamo a fare il nostro lavoro». La decadenza dell’autentica vocazione è probabilmente la conseguenza cosmica del Kali Yuga di cui parlano i Veda. Basterebbe osservare cosa è accaduto alla VIII edizione del Premio Letterario Nazionale “Mille Anime di Pulcinella”, quando la nostra Maria Pia De Martino ha annunciato con garbo l’abolizione della terza sezione del concorso (poesia in lingua napoletana), a causa: «della mediocrità delle opere sopraggiunte».

In attesa della presenza nel casertano, ci raccontiamo e spieghiamo un po’ di cose.

-Maestra, ci racconti la cosa più sgradevole a cui ha avuto il dispiacere di assistere nell’arco della sua verità artistica.

«Per non essere prolissa mi limiterò a risponderLe attraverso qualche breve considerazione che magari può offrire uno spunto di riflessione.

Quando si dice che la Poesia - come espressione artistica suprema- è in crisi si afferma il falso, perché in realtà sono in crisi i sistemi che la "producono" e la "consumano". Dagli anni '60 in poi le Avanguardie - alcune le amo molto - hanno tentato di "globalizzare"  il concetto di Arte Poetica che per natura non è globalizzabile, e questo soprattutto nella cultura europea occidentale: fino a pochi anni fa nell' ex Unione Sovietica i teatri si riempivano fino all' inverosimile di giovani (come da noi per i concerti pop o rock) per ascoltare Bella Achmadulina che leggeva le proprie poesie, come accadeva in Polonia per la Zsymborska, che raccoglieva migliaia di cittadini nelle piazze per lo  stesso motivo. Da noi non è successo mai nulla di simile...

Mi limito ad esporre i fatti. In Italia sappiamo che la Poesia si legge pochissimo ma ci sono, di contro, oltre 15.000 concorsi nazionali di Poesia, che annualmente conferiscono premi a destra e a manca, "laureando" come poeti autori sconosciuti e dilettanti e, di concerto, innumerevoli case editrici di media e piccola editoria che stampano centinaia di migliaia di libri di poesie di tali autori che nessuno legge. Molte sono le giurie improvvisatesi tali e dunque senza alcuna competenza assegnano riconoscimenti altisonanti. Vorrei ricordare che essere "poeta" è una condizione di vita, un modo di stare al mondo e guardare la vita, NON scrivere una poesia a cui qualcuno - magari senza competenza - assegna un riconoscimento.

Questa condizione in Italia - nell' ultimo decennio in special modo - è andata consolidandosi fino a diventare una vera e propria "piaga" che affligge la Poesia vera che, così sopraffatta, ha sempre meno occasioni per farsi ascoltare».


-A che età gli autori iniziano a perdere credibilità? Cosa accade a livello chimico e neuro-biologico? Lei, che ha competenze sui giusti fronti, può senz’altro illuminarci.

«Ho organizzato molti concorsi per autori giovani e giovanissimi appartenenti a scuole di ogni ordine e grado, e posso affermare che, a parte qualche eccezione, la purezza del sentimento poetico l’ho riscontrato nei componimenti di ragazzi pre –adolescenti, in pratica nei ragazzi delle scuole medie inferiori.

Sicuramente ciò è dovuto alla visione del mondo e dell’affettività che i bambini di quella età hanno che, anche se non possiedono ancora i mezzi sintattici per esprimere compiutamente le proprie idee, sanno però esprimersi poeticamente. Il mondo dei bambini è un mondo vasto e nitido fatto di poche ma ben definite cose, con riferimenti certi e imprescindibili. Non per niente il Poeta è colui che sa mantenere per sempre la purezza dello sguardo bambino sulle cose del mondo. Crescendo, i condizionamenti sociali inevitabilmente contaminano tale purezza e bisogna che convergano diversi fattori - familiari, sociali, culturali e psicologici- affinché il bambino che diventa adolescente conservi la dimensione poetica della propria percezione della realtà. Dopo i 18 anni però le cose cambiano, forse perché la personalità del ragazzo – ormai definita- è “sopraffatta” letteralmente dai condizionamenti sociali soprattutto in questa epoca dove i media imperano e l’immagine trionfa, dove la comunicazione è ormai digitalizzata e virtuale, e dove il desiderio di uniformarsi alla massa prende il sopravvento sulla paura della solitudine che l’essere diversi comporta. Dal punto di vista della crescita fisica poi parliamo di un’età difficilissima caratterizzata da quella che noi medici definiamo “catastrofe ormonale” in cui il corpo umano si trasforma completamente: infatti dai 6 ai 18 anni lo sviluppo fisico dell’essere umano è pressoché completo. In tale periodo dunque la personalità assume i caratteri fondamentali nel giovane che dovrebbe essere pronto a prendere il proprio posto nella società. Dico “dovrebbe” perché sappiamo tutti che ciò non accade mai oggi. Esposto a così tanti disturbi sociali e culturali, durante questo lungo arco di tempo formativo, il giovane giunge a questa età oggi con un bagaglio di crescita multiforme e confusa: la maturità fisica ormai da tempo non corrisponde più alla maturità “mentale” e sociale dell’individuo, condizione questa che, insieme ad altri fenomeni sociali e di costume, ha generato la grande crisi “antropologica” che la nostra epoca attraversa. Mi sento perciò in linea con Benedetto Croce quando affermava che “prima dei 18 anni siamo tutti poeti. Dopo tale età il poeta è una mosca bianca”».


-In due risposte Lei ha letteralmente aperto un mondo sconosciuto ai non addetti ai lavori, fin nelle sue miserie e meschinità. Walt Whitman scrive che la poesia salverà il mondo. Cosa salverà la poesia?

«La Poesia salva se stessa perché è nell’inizio delle cose. Resta ferma sulla soglia del senso del vivere, in attesa degli uomini. Se cade, lo fa in verticale, in piedi, senza rovinare mai. Le categorie del pensiero umano sono figlie della Poesia che abbraccia tutto lo scibile, dalla filosofia, alla storia alla politica, alla scienza, fino all’economia, alla sociologia, etc. Nonostante le vistose contraddizioni che l’uomo ha attraversato nei millenni di storia, la Poesia, affiancata da una sorta di fede-approfondimento, ha resistito come fede-sentimento, traendo energia dall’istinto di sopravvivenza prettamente biologico dell’uomo. Questa fede, che non è religiosa in senso stretto, discende da quel pensiero evolutivo biologico, tipico ed esclusivo del cervello umano.

Se diamo uno sguardo al secolo appena trascorso, il Novecento, vediamo che è iniziato affermando una sorta di “dismissione” dell’uomo: in letteratura -per esempio- da Pirandello a Montale, nella storia dalla Grande Guerra- che preparò il terreno alla seconda guerra mondiale- all’affermazione dei grandi totalitarismi e alla negazione di ogni concetto di libertà. La scienza poneva le basi di uno sviluppo ancora di là da venire, troppo spesso al servizio dei poteri distruttivi. Nonostante tutto, nello stesso tempo, abbiamo avuto la più grande poesia di tutti i tempi dopo Dante, Shakespeare e Leopardi: basti pensare alla portata rivoluzionaria che il pensiero poetico di Ezra Pound ha esercitato sulla storia del Novecento. Mi sembra che sia sfumato, dopo, il grande dogma dell’accezione negativa dell’uomo, quanto meno credo si sia dato credito ad un maggiore relativismo. Basta guardarci attorno per prendere atto di quanto ho appena detto, magari spingendo lo sguardo un poco più in là. E’ vero, la Poesia salva il mondo salvando se stessa! Come critico letterario ho potuto constatare quanto negli ultimi venticinque anni sia cresciuta l’attenzione per la Poesia e la richiesta di essa da parte di un pubblico sempre più esigente proprio perché emerge un bisogno urgente di comunicazione nell’uomo contemporaneo malato di profonda solitudine: d’altronde, finché c’è l’uomo ci sarà la Poesia…a meno che, parafrasando Mario Luzi, l’uomo non si “disumanizzi” totalmente.

Ma io credo che, sebbene la nostra epoca per molti aspetti appaia davvero “disumana”, la Poesia sosti in un angolo, ferma, silenziosa e paziente ed osservi l’uomo, in attesa che egli si rialzi, nutrendone, con la grande speranza che le è propria, la disperazione che - egli - vive. Quella speranza che solo Poesia, madre autorevole ma infinitamente amorosa, sa donare».

Antonio Dentice d’Accadia