Antonio Del Monaco racconta Peppino Impastato
42 anni fa fu ucciso un giovane giornalista noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra.
Il deputato di Maddaloni, membro della commissione parlamentare Ecomafie, ci ha fatto giungere un toccante ricordo, che volentieri pubblichiamo.
Come membro della Commissione Ecomafie, ho deciso che da oggi scriverò un pensiero per ogni vittima del terrorismo e delle stragi poiché si avvicina il 23 maggio, giorno della Legalità nell’anniversario della strage di Capaci.
Voglio iniziare col ricordo di Giuseppe Impastato detto Peppino, la cui morte passò forse in secondo piano perché avvenne nello stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani.
Peppino nasce a Cinisi il 5 gennaio del 1948. Giovane attivista politico, giornalista, sempre pronto a schierarsi dalla parte del più debole, sempre in prima linea nella lotta contro ogni sopruso, affinché tutti potessero avere gli stessi diritti: odiava la mafia, la criminalità organizzata, proprio lui che proveniva da una famiglia in cui vi erano esponenti mafiosi.
Peppino rimase scioccato dall’agguato che fecero allo zio Cesare Manzella, capomafia del paese, rimasto ucciso il 26 aprile del ʾ63: fu proprio questo brutale assassinio a spingere il giovane a non darsi pace nella lotta alla mafia. Aveva appena 15 anni quando, con coraggio e determinazione, ruppe i rapporti col padre e fu pertanto cacciato di casa.
L’impegno di Peppino fu fortissimo: nel 1965 ideò e fondò un giornale L’idea socialista e aderì al PSIUP; portò avanti una serie di battaglie sociali, come quella dei contadini privati dei loro terreni per fare spazio alla costruzione della terza corsia dell’aeroporto di Palermo; scioperò con gli edili, gli operai, i disoccupati.
Peppino costituì nel ʾ65 il gruppo Musica e Cultura, proprio con la volontà di diffondere un messaggio culturale che ampliasse gli orizzonti della gente, un messaggio troppo spesso lasciato da parte o ritenuto superfluo, inutile. Nel ʾ77 diede vita ad una radio libera Radio Aut e fu proprio questa la causa di maggiore fastidio per la criminalità organizzata e i politici corrotti. Lui, infatti, attraverso il mezzo di comunicazione più utilizzato allora, ideò programmi in cui denunciava le attività illecite della malavita di Cinisi e Terrasini, facendosi addirittura beffe dei personaggi che vi appartenevano, dello stesso zio Gaetano Badalamenti.
Nel 1978 si candidò nelle liste della Democrazia Proletaria facendo una campagna elettorale contro la corruzione, il crimine. Le elezioni si sarebbero tenuto il 14 di maggio. Fu una campagna elettorale senza peli sulla lingua, con lo scopo preciso di attaccare la criminalità organizzata, di aprire gli occhi della gente, svegliare le coscienze dei più deboli e impauriti. Numerosi furono gli avvertimenti, le minacce, ma Peppino non si fece mai intimorire.
Fu proprio lo zio a decretarne la morte: dopo essere stato rapito nella notte tra l’8 e il 9 Peppino fu fatto saltare in aria sui binari, imbavagliato e legato. Fu inscenato un suicidio, o meglio, un attentato mancato per sua stessa mano: e così, ucciso dalla dinamite che aveva preparato per fermare la ferrovia, Peppino fu diffamato nel modo più vile. Persino la procura diede per vera questa ipotesi.
Ci sono voluti tanti anni per venirne a capo, a causa delle prove artefatte di un caso giudiziario assai complesso. Nel 1992, il tribunale pur ammettendo la responsabilità mafiosa ma non potendo risalire direttamente ai colpevoli, archiviò il caso. Due anni dopo però il Centro Impastato presentò un’istanza di riapertura dell’inchiesta chiedendo l’interrogatorio del collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi; nel giugno del 1996, alla luce di quanto emerso dall’interrogatorio venne riaperta finalmente l’inchiesta e nel 1997 venne emesso un ordine di carcerazione per Badalamenti, quale mandante del delitto.
Solo il 5 marzo del 2001 la Corte d’assise emise la sentenza di condanna di Vito Palazzolo a 30 anni di reclusione e l’11 aprile del 2002 Gaetano Badalamenti fu condannato all’ergastolo.
Ho voluto iniziare con Peppino perché ha sempre rappresentato un’idea di libertà e giustizia sincera. Lui, lontano dalle fosche tinte velenose della sua famiglia paterna, così giovane eppure tanto coraggioso, maturo.
Peppino è un martire, mai si è negato, mai si è tirato indietro, vivendo pienamente la vita, secondo i valori dettati dalla sua coscienza. Peppino vive ancora oggi: chi come lui ha dato la vita per la verità, non potrà mai finire nell’oblio della morte.
On. Antonio DEL MONACO
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