"Il Senso della Vita: Discernimento & Consapevolezza" -PARTE III-
L'ultimo libro del saggista Antonio Serino: l'ennesima irrefrenabile voglia di comunicare il proprio pensiero alla ricerca dell'incontro con Dio.
(PARTE TERZA ED ULTIMA)
"Farsi accompagnare nel cammino della propria vita dalla compagnia di Cristo vuol dire la possibilità di incontrare tanti altri che stanno altresì cercando la verità o, se vogliamo, un’altra realtà, e ciò significa far crescere la comunità, perché si apre il dialogo con Dio, si comunica agli altri di un Dio che è prettamente sociale, che ci consente di affrontare le diversità moderne con cognizione e sicurezza".
Con la forza del suo pensiero, maturato attraverso una lunghissima esperienza di fede, rafforzata giorno dopo giorno partecipando, impegnandosi con i fatti e non con gli intendimenti, offrendosi alla comunità che vuole costruire un vero percorso di cambiamento, Antonio Serino ha scritto il suo ultimo libro dal titolo "Il Senso della Vita: Discernimento & Consapevolezza".
L'autore ha dentro qualcosa di irrefrenabile: si chiama voglia di comunicare, di far conoscere il proprio pensiero per accrescere di contenuti il dialogo, per creare nuove occasioni di confronto. Non gli interessano condivisioni o critiche. E' uno che ci crede nel cambiamento, uno che vive dal di dentro tutte le problematiche legate alla fede, uno che non ha paura di affrontare, per come li vede con la costanza della sua presenza, gli ostacoli che quotidianamente si interpongono tra il desiderio, declamato per lo più nei cosiddetti salotti, di dare una svolta alla vita, rendendola più semplice e a misura umana, e la realtà, dove la vita si vive esattamente all'opposto.
Serino ha in se stesso il suo primo tenace interlocutore, che lo attanaglia fino ad esasperarlo. Alla fine gli chiede tregua, lo convince a dialogare, gli chiede la carità di ascoltarlo, si inebria di gioia quando la comunità parla del Dio di tutti, si accascia e si deprime, ma senza mai demordere, quando si imbatte con la falsità e con l'ipocrisia.
"L’uomo ha perso la cognizione della sua vera natura, che non è quella di vivere per sopravvivere, ma è quella di rispondere alle domande esistenziali: da dove veniamo? cosa facciamo? dove ci vuole portare la vita? ma più fondamentale è la domanda: come vogliamo costruire la nostra vita?".
E poi: "dal suo intelletto, proteso verso l’individuazione di ciò che gli avrebbe procurato solo bene, l’uomo ha tralasciato il senso della ragionevolezza, della consapevolezza, della meditazione o della ancor più semplice riflessione".
Il fedele cattolico che mette in pratica la Parola di Gesù "acquisisce ed avrà a propria disposizione un catalogo di possibilità di interventi che, una volta azionati lo metteranno in condizioni di modificare la vita guardando, ascoltando, riflettendo, analizzando, comprendendo e vivendo di conseguenza".
Un libro, secondo me, da proporre ai soloni e agli stolti; ma anche agli ignoranti. Un libro da leggere con la consapevolezza che nessuno di noi è Dio. Sperando che a capirlo siano soprattutto i soloni, gli stolti e gli ignoranti.
(Nicola Ciaramella)
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ANTONIO SERINO è nato e vive a San Nicola la Strada. E’ laureato in Scienze dell'Economia e Gestione delle Imprese. La sua esperienza formativa ha forte matrice cattolica perché fin da piccolo la sua famiglia era composta da persone cattoliche, particolarmente attive nella parrocchia. Per questo motivo ha partecipato alle varie associazioni cattoliche presenti.
Ha mosso i primi passi nell’Azione Cattolica per poi passare alla vita della Parrocchia fino al Movimento Giovanile Missionario, promosso e curato dallo storico Direttore Diocesano Don Antonio Pasquariello. In questo Movimento, unitamente a tanti altri amici, ha contribuito all’animazione locale mediante raccolte fondi, mostre di oggetti di artigianato africano, nonché attività oratoriali per bambini.
Ha fatto parte ed ancora annovera la sua presenza in associazioni culturali e religiose, in quanto fermo assertore che la coesione sia uno strumento basilare per la crescita sociale e solidale.
Da circa trent’anni è componente del Consiglio degli Affari Economici della Parrocchia, di cui conosce la difficile gestione economico patrimoniale.
Dal 2019 coordina il gruppo Famiglia Betania, fortemente voluto dal già parroco di Santa Maria degli Angeli, Don Franco Catrame, un insieme di famiglie che studia le esortazioni apostoliche firmate da Papa Francesco, necessarie alla famiglia di oggi per comprendere e vivere in un modo più consapevole la vita odierna.
Dal 2020 collabora con il "Corriere di San Nicola".
Scrittore, saggista, ha scritto i seguenti libri (tutti pubblicati integralmente su "Corriere di San Nicola"):
-“Working progress”, 2021;
-"Cara famiglia”, 2022;
-“I quaderni della Famiglia Betania”, 2023;
-“Giovani e chiesa a confronto: quale religione?”, 2023;
-"La fede è in noi", 2024;
-"Il Senso della Vita: Discernimento & Consapevolezza", 2024.
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“I nostri pensieri sono fiori che
nascono liberi e si protendono verso l’infinito.
Solo con una accurata coltivazione, però, essi
potranno conservare la freschezza e
la vivacità con cui sono nati”
(Antonio Serino)
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Al caro amico Vincenzo
che mi ha accompagnato
nei pensieri e nelle azioni
e che mi ha indirizzato
verso l’unico vero
scopo della vita.
(Antonio Serino)
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Leggi PARTE PRIMA
https://www.corrieredisannicola.it/varie/notizie/varie/il-senso-della-vita-discernimento-consapevolezza
Leggi PARTE SECONDA
https://www.corrieredisannicola.it/varie/notizie/varie/il-senso-della-vita-discernimento-consapevolezza-2
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PARTE TERZA ED ULTIMA
DISCERNIMENTO & CONSAPEVOLEZZA
15 - LA RAGAZZA SCOMPARSA
Tanti anni fa ero all’inizio degli studi universitari e poiché non frequentavo tanto i corsi di studio perché impegnato in altre cose, mi trovavo a recarmi in facoltà solo sporadicamente a tal punto che ogni volta che dovevo andare presso gli uffici amministrativi provavo una forma di estraneità e di isolamento perché non conoscendo bene la realtà di quel contesto e non potendo perciò rivolgersi benevolmente a nessuno, mi ritrovavo di fatto da solo e ciò mi faceva quasi rigettare l’idea di essere considerato uno studente. Ma la rabbia che provavo e che peggiorava il mio stato ansioso era quello di vedere altri studenti che si approcciavano con spavalderia presso i bidelli a cui chiedevano piaceri e favori (in cambio di giuste ricompense). V’erano parecchi studenti che ricorrevano a questa pratica ma tra tutti di distingueva una ragazza, peraltro compaesana e di mia conoscenza che, pur non ricorrendo a tali aiuti, ogni volta che doveva fare qualcosa trovava libero accesso, senza alcun aiuto e senza nessuna difficoltà: diciamo semplicemente che forse aveva un po’ di fortuna nel trovare sempre la strada facilitata, per qualsiasi cosa dovesse fare e questo, in definitiva, l’ho potuto notare perché tali circostanze avevano dell’incredibile. Quelle coincidenze mi rendevano sempre più pensante a come si potesse mai creare intorno a quella ragazza quella forma di facilità ed era d’obbligo la fatidica domanda: perché a lei sì ed a me, invece, nulla di tutto ciò? D’altronde anche io non mi ero mai rivolto ad altri per ottenerne i servizi – perché non rientrava nei miei concetti esistenziali - oppure situazioni da cui avrei potuto trarre significativi benefici La ragazza come già indicato, mi era nota perché conoscevo bene il suo sereno modo di fare, il modo gioioso con cui si poneva nei contesti in cui partecipava. E tale serietà e specialmente una bella compostezza, la caratterizzavano anche quando, in chiesa, si apprestava a comunicarsi ad ogni celebrazione religiosa. Vedevo in lei una pura genuinità, un “essere trasparente” e forse per questo l’avevo notata. La cosa bella è che anche lei, per altri motivi, non frequentava i corsi ma non per questo la carriera universitaria andasse male visto che otteneva sempre bei voti agli esami. Ma poteva mai essere ancora solo fortuna? Chiunque si fosse trovato al mio posto, e consapevole di quanto passava davanti agli occhi avrebbe potuto ovviamente chiedersi cosa attorniasse quella ragazza che si muoveva senza alcun indugio, senza alcuna preoccupazione, senza attendersi nulla anche in rapporto ai risultati. Poi, accadde che all’improvviso sparì dalla circolazione: si diceva che aveva vinto un concorso statale per cui si era trasferita al Nord pur tuttavia continuando il suo percorso universitario. Dopo qualche anno seppi anche che si era regolarmente laureata, stava mettendo su famiglia ed era in procinto di acquistare casa. La “serie positiva” quindi non finiva, fortunatamente per lei. Ma era veramente baciata dalla sorte? Era forse nata con le fatidiche sette camicie? Col senno di poi, grazie a riflessioni mirate che mi hanno consentito di pervenire a spiegazioni che ritenevo utili ad affinare più in profondità il mio stato d’animo, iniziai a chiedermi se quella ragazza mai più rivista avrebbe potuto magari beneficiare di un appoggio ultra terreno e con la mente ritornavo a pensare a quante volte l’avevo notata in chiesa o in altre celebrazioni e ripercorrevo mnemonicamente le modalità con cui la rivedevo partecipare alla Santa Messa: con una devozione particolare dava dimostrazione di essere fedele attiva anche nelle orazioni e nel canto. Ma quella sua adesione alla vita “dedicata” aveva forse qualche connessione con ciò che otteneva? Iniziai a riflettere ed a comprendere su tante sfaccettature che mi portavano tutte alla stessa definizione e compresi esattamente che era naturale che vi fosse una linea diretta tra lei e la fede e che solo adesso potevo comprenderlo: quella ragazza aveva trovato nella fede l’ispirazione per il suo fare, per cui si rapportava alla cosa più preziosa che potesse mai avere, il confronto col suo intimo, rappresentato da quel Dio che l’ispirava, la proteggeva, l’aiutava in ogni cosa si apprestasse a svolgere. Mi tornava adesso chiaro come fosse sempre allegra, chiara, docile, ma comunque sempre attenta ai propri doveri ed a quanto doveva espletare. Tutto quel modo di fare, così agevolato… no ! non era e non poteva essere fortuna! Non era casualità! e chi riesce a discernere la propria vita che scorre nel tempo, perviene con maggiore lucidità a comprendere che lo svolgimento di tutte quelle azioni eseguite dalla ragazza erano indubbiamente accompagnate dallo spirito divino, che ben si presta a chi spera e crede nell’intervento di Dio in tutto ciò che si chiede e si invoca. E così dopo diversi anni, con buona pace del mio spirito, ho avuto finalmente la risposta ad un cruccio che mi assaliva da tantissimo tempo, ed allora oggi mi sono chiesto perché non tentare allo stesso modo di imitare l’atteggiamento tenuto da quella ragazza? E’ vero che riportare tutto ciò ad una semplice ed effimera considerazione è come affermare che “tentare non nuocere”, per cui tendere a sperimentare altre forme di partecipazione non dovrebbe significare solamente “ avere un altro tipo di vita” ma anche “votarsi” ad un cambiamento radicale della propria vita, che ponga l’attenzione centrale del proprio modo di fare verso valori e obiettivi non di moda corrente. Ma per arrivare a tanto bisogna però crederci per davvero altrimenti ci si potrebbe trovare su un binario morto. Ecco allora che diventa importante considerare le esperienze altrui, perché possono essere di aiuto alla propria esistenza che, per tali motivi potrà sfruttare positivamente le esperienze vissute da altri. E’ come assorbire le altrui esperienze per carpirne i lati positivi e le risultanze favorevoli. Inoltre, man mano che passa il tempo tale atteggiamento diventa statico e consentirà all’uomo di dedicarsi con più attenzione all’introspezione personale nella quale egli potrà trovare la risposta più importante, che si riflette nel come mettere in contatto la nostra mente con il cuore di Dio.
16 - BRAVI, MA OTTUSI !!
Ci capita molto spesso, in qualche discussione o colloquio, specie tra conoscenti, di fingere di essere già a conoscenza dell’argomento di cui si sta parlando (anche se in realtà non sia vero) perché siamo disinteressati, oppure ci dimostriamo tali per non apparire impreparati o incompetenti. Si tratta di momenti che ci risultano necessari per mascherarci, per non mostrare la propria ignoranza in materia ma di voler comunque in tutti i modi apparire all’altezza della situazione. Eppure dichiarare la propria ignoranza non costituirebbe peccato e mostrare la vera propria natura non può essere di meno: si tratta di riconoscere solamente la propria dimensione e sapersi porre al centro della propria vita in modo coerente e determinante. Questo genere di atteggiamento porterebbe a beneficiare di conseguenze aventi aspetti positivi riguardo alla propria posizione sociale o comunitaria, perché si inquadra nel contesto della cognizione di una reale consapevolezza della persona cui si va a confrontare. Questo concetto dovrebbe costituire il primario obiettivo che ci dovremmo porre in modo particolare nel momento l’argomento con cui ci apprestiamo a confrontarci è la nostra spiritualità e, nello specifico, a volerci porre ai piedi del Signore. In effetti, essere consapevoli di affrontare (ovviamente in modo subalterno) il nostro Dio ci pone in diretto contatto al cuore ed all’amore con Colui che ci ha creati, e scusate se è poco! Saper cosa avremo di fronte, ma nel vero senso della parola, ci dovrebbe far riflettere su come bisogna comportarsi in quel momento, cosa effettivamente esprimere a Colui che ci sta sempre aspettando. Quando partecipiamo alle celebrazioni siamo soliti affermare : “vado a sentire la Messa” oppure “vado a vedere la cerimonia” semmai intenzionati a trasmettere a chi ci ascolta che abbiamo un proprio credo religioso che andiamo a onorare, ignoranti dell’uso improprio che ne facciamo di quelle parole; l’uso di questi termini, infatti, identifica appieno il nostro comportamento, ovvero l’intenzione di prestare un dovuto atto di presenza, diventando un semplice numero tra i partecipanti ma con questo atteggiamento segnaliamo una mancanza fondamentale all’incontro, all’evento, al rito o alla cerimonia di che trattasi, quello del cuore . Si è spettatori di un martirio che diventa scenografia simbolica di uno storico avvenimento messo in atto. Sentire e vedere sono verbi che identificano quel comportamento e mentre rappresentano effettivamente la presenza dell’uomo non ne certificano la partecipazione, per la quale, invece, è richiesta l’attenzione necessaria per assimilare quanto è stato e detto e che confrontato con le proprie riflessioni potrà dare un contributo all’acculturamento personale. Tali verbi, quindi, non implicano che tutto quello che sia stato detto o commentato durante la celebrazione sia stato assorbito interiormente e, perciò, posto a favore della propria conoscenza per adeguare il proprio atteggiamento nella giusta direzione. Di conseguenza, assumere questo comportamento non fa altro che pregiudicare il probabile successo che potremmo riscuotere se avessimo prestato la dovuta attenzione. La presenza che portiamo in queste circostanze, costituisce solamente un atto insignificante, inconcludente e sterile. A volte questo modo di comportarsi è deliberatamente voluto, nel senso che ci si reca nei posti sacri solo per rispondere all’educazione ricevuta e perché riteniamo che il solo “recarsi” sia un sufficiente motivo per dichiararsi fedele praticante. Come capita, per esempio, in occasione di partecipazione ai pellegrinaggi organizzati per recarsi ai luoghi sacri o per rendere omaggio a siti che ospitano le spoglie sante di personaggi dichiarati santi dalla Chiesa Madre. Accade infatti che durante il viaggio, dopo una accorata recita del Rosario e di qualche preghiera di rito, ci si lascia andare a “cantate e stornellate”- per restare con l’animo vispo ed allegro, confondendo che il periodo di attesa e di preparazione all’incontro religioso o spirituale, serve unicamente a predisporre l’animo ad uno stato di grazia che dovrebbe completamente avvolgerci e restaurare i cuori dei pellegrini che ne stanno facendo richiesta mediante quella visita. In altre parole, il senso del viaggio si trasforma da attesa pietosa e di preghiera a momento di nonchalance. Quest’esempio, come tanti altri che ogni giorno sono prodotti dalla nostra noncuranza, evidenziano come talvolta ci riteniamo impavidi e decisi ma non ci accorgiamo che comportandoci in questo modo annunciamo la nostra ignoranza e la superficialità per aver creduto di sostituire il grande amore donatoci da Dio con la nostra ottusità umana, visto che passiamo da una forma di intelligenza mostrata nell’essere fedele (cioè aver fiducia in ciò che si ascolta, sfruttando gli insegnamenti spirituali, appropriandosene e facendone uso e consumo personale) ad un decadimento delle facoltà cognitive e formative che tendono ad annullare ogni forma di miglioramento interiore. Questa forma di egocentrismo noi la riversiamo sistematicamente in ogni genere di rapporto col mondo esterno e, purtroppo, è naturale perché se abbiamo avuto l’irresponsabilità di voler dichiarare la nostra personalità al di sopra di ogni concetto che possa invece influire diversamente su di noi, figuriamoci se non saremmo in grado di sovvertire l’ordine naturale delle cose e, magari, prescindere da tutto ciò che dovremmo affrontare. Diventa quindi insormontabile la propria convinzione rispetto a tutto il resto. E questo genera il dissapore che allontana l’uomo dalla verità, dalla pura verità!
17 - LA CONSAPEVOLEZZA DI SBAGLIARE
In genere il popolo di Dio è portato a credere che, essendo “prediletto dal Padre…” tutto gli è dovuto e tutto gli deve essere concesso, non deve avere alcuna limitazione nel suo fare perché, appunto, essendo parte del popolo dei credenti si ritiene che si debba avere la naturale predisposizione ad avere il meglio dalla vita. In questa bassa interpretazione della concezione cristiana si racchiude tutto l’insieme della pochezza umana ed ancora una volta l’uomo si viene a trovare nel suo caos mentale primordiale. Non vi è nulla, infatti, di più errato e insano. La mentalità che con il passare dei secoli l’uomo ha assunto a base per il proprio modo di vivere non è altro che l’espressione più elementare della nullità intellettuale che ha prodotto l’evolversi sociale nel tempo. Il dover adeguarsi alle continue variazioni di natura ambientale, sociale, economiche ecc. ecc., hanno originato nella mentalità dell’uomo la necessità di dover provvedere a sé stesso non in base alle proprie effettive esigenze ma facendo riferimento a quanto richiesto o offerto dal “sistema”, nel quale identifichiamo l’insieme di tutte le regole, non personali, che dovrebbero in determinati modi regolare il vivere collettivo. Ciò vuol dire che l’essere umano si è auto depauperato della propria vitalità, che è stata sostituita dall’interesse sociale, che è diventato in tal modo lo scopo primario. L’uomo, per tale motivo, non è più un essere ragionevole, dotato di un proprio sistema intellettuale che lo differenzia dai suoi simili e dalle altre risorse connaturali, non è più un insieme di potenzialità che possono rivitalizzare il tessuto sociale a 360 gradi; non è più quel ricco patrimonio genetico che ha ricevuto all’atto della nascita ma è divenuto la risultanza di congetture, pregiudizi, limitazioni e quant’altro che più di negativo si possa esternare. In al modo egli non fa altro che alienarsi sempre più fino a sprofondare nell’abisso più oscuro dell’interiorità umana. Ci si potrebbero porre tante domande del genere come mai l’uomo non si è accorto di questo degrado in cui versa oppure perché non ricorre ai ripari per poter affrontare o almeno di iniziare a reagire verso il mondo esterno? perché non prende posizione contro una simile circostanza e non trova conforto in chi è riuscito a ribellarsi alla propria apatia e cercare quindi di assimilare la vittoria altrui per il proprio bene? La risposta – o le risposte - da trovare sono nel proprio io. Solo analizzando sé stesso con obiettività – pacifica e serena – si può potrà comprendere ed individuare i motivi che hanno comportato un allontanamento dalla propria naturale conformazione interiore. In questo caso è possibile comprendere che diversi fattori personali, unitamente ad altri prettamente circostanziali, alterano l’animo del soggetto, esponendolo ad ogni possibile forza esterna dominante. E per combattere queste strane forze occorre utilizzare l’arma della convinzione, perché dobbiamo innanzitutto capire se l’uomo intenda o meno veramente azionare la propria dignità di essere ragionante perché, da come si evince, non sempre è predisposto a farlo. Potremmo ravvisare in questo modo di fare o di non fare il non volersi scontrare con contesti pericolosi, oppure non voler aderire ad iniziative mai attuate e che potrebbero causare qualche difficoltà oppure autoescludersi perché non si ritiene in grado di opporre opportuna resistenza alle forze maggioritarie che controllano il sistema. Questo stato di cose, “creato” dall’uomo come diretta conseguenza di uno smisurato opportunismo e talora per approfittare di circostanze favorevoli, lo ha allontanato dalla realtà e dal vero senso della vita, inteso come necessità di essere partecipe della storia non in modo passivo ma estremamente attivo. Per venirne fuori e capovolgere la situazione bisogna essere cosciente di saper valutare di aver sbagliato qualcosa, capire che col proprio modo di fare abbiamo “fallito” dando origine ad un modus operandi del tutto erroneo: così si potrà capire che abbiamo elevato il modo di ragionare portandolo ad un livello superiore, il che ci consente di dare una spiegazione ai nostri errori, cioè si dimostra di essere in grado di individuare le cause che hanno generato sbagli e solo allora si potranno adeguatamente apportare le dovute correzioni o integrazioni con opportune modifiche tali che il nostro modo di procedere possa ottenere validi risultati che ripristineranno le condizioni primarie. In tutti gli ambiti, scientifici e non, purtroppo non esistono metodi o criteri che possano aiutarci nella ricerca di che trattasi, e quindi siamo impossibilitati a trovare una giusta toppa ai vuoti creatisi nel tempo: mentre qualcuno tenta in questo contesto di farsi dare una mano da nuove forme di socializzazione, altri cercano di aiutarsi con sistemi tecnologici con sintesi robotiche amorfe e inumane che tendono a sostituirsi alle intelligenze umane. La soluzione invece c’è, ed è molto vicina a noi, eppure non le prestiamo la dovuta attenzione e com’è ovvio, faremo riferimento a ciò che Gesù ha detto e fatto. Quando passava e ripassava tra le folle, di città in città, Egli proclamava la gioia dell’uomo solo nel caso avesse dato retta alle Sue parole, non è mai stato immediatamente preso in considerazione, ma solo quando è avvenuta la Sua Morte e la Resurrezione, eventi che hanno dimostrato che tutto ciò che Egli aveva preannunciato si erano rivelati precisi, allora si è ricreduta e, sebbene con ritardo, gli ha creduto. Questa è la dimostrazione che l’uomo ha bisogno di “verificare”; egli necessita che tutto ciò che gli viene presentato abbia realmente un riscontro nella realtà. Solo quando egli riesce a far combaciare la parola con il fatto presterà attenzione e cioè quando l’antefatto è dimostrato con il suo verificarsi allora l’uomo crederà e nel credere presterà attenzione anche a sé stesso, a ciò che realmente dovrà fare affinché possa beneficiare di tutto quello che gli è stato presentato. Cristo, nel suo Discorso della Montagna ha enunciato le basi ed i criteri per una civile convivenza, per un sistema di vita individuale ottimale che nel momento in cui viene praticato origina anche fedeltà nella sequela. Pochi e semplici esempi di come un uomo deve comportarsi per essere felice e sereno e nello stesso tempo raggiungere lo scopo vitale, che è quello di mettere in pratica i Comandamenti di Dio. Si tratta di concetti che eludono l’invasione degli attacchi del mondo esterno anzi raggirano e prevengono le mode ed i disagi che invece provocano solo angosce e depressioni. Basterebbe mettere in pratica questi piccoli dettagli per porre le basi per una vita di tranquillità, priva di difformità e di pericoli per le nostre anime. Il modo di fare e gli atteggiamenti da assumere secondo questa logica non dà assuefazione, cioè incoscienza nel fare, ma origina un continuo consolidamento della convinzione di fare bene e per il proprio bene. Le Beatitudini, oltre a riportare la Parola di Gesù costituiscono un vero e proprio input per dare un senso alla propria vita, una impronta nella storia, con la naturale conseguenza che il profitto maggiore investirà l’intera società che ci circonda, che sarà invasa da una rivoluzione copernicana all’insegna dell’amore, dell’aiuto reciproco, della passione all’altro. Ma l’uomo potrà giungere a questa determinazione solo nel momento in cui, forte dell’aiuto che viene dall’alto si abbandona allo Spirito di Dio che sprigionerà su di lui l’abbondanza di energia spirituale ed intima che necessita alla sua convinzione. Nel momento in cui la misericordia di Dio scende nell’uomo si aprono cieli nuovi e terre nuove, nuove prospettive e certezze future per una nuova vita.
18 - COSA FARE?
Ci sto riflettendo da tanto tempo e devo dire che è stato davvero difficile non esternare un pensiero che mi porto dentro, che non trova risposta esaustiva nella mentalità comune e che necessita di un buon supporto per essere consolidato. Come da tanto tempo si va dicendo, l’uomo è pervaso dalle innumerevoli attività, attrazioni, sollecitazioni e meraviglie che ogni giorno lo distraggono dalla primaria attività cui dovrebbe essere indirizzata la sua mente, e lo riportano nel grigiore della quotidianità, che è caratterizzata dal nulla: per questo motivo è indaffarato a fare tante cose improduttive ed inconcludenti che a fine giornata non gli lasciano niente di costruito, niente di importante per la propria anima, nulla che possa edificare sé stesso. In effetti, la sua giornata è stravolta dal can can delle cose che “deve“ fare, altrimenti tali cose si assommano e gli rendono difficile il proseguire nella stessa giornata o nei giorni a venire. Potremmo dire quindi che egli si trova all’interno di un gigantesco imbuto da cui non riesce ad uscire perché le sue forze o il suo coraggio vengono attirati sempre più in basso e non ha la necessaria vitalità per vincere quel sistema che lo tiene imbrigliato, quella forza di gravità che lo spinge giù e lo obbliga a non fare o non dire. In questo caso dev’essere anche sottolineato un aspetto particolare circa una minima riduzione di responsabilità tant’è che - suo malgrado - è stato coinvolto, fin dai tempi remoti, ad aderire obbligatoriamente ad un metodo di vita superficiale, generico, molto approssimativo a tal punto che oggi gli fa spesso affermare “… ma quando finisce questa vita storta, grama, senza interesse”. Quindi, in fin dei conti non sarebbe da addossargli completamente la colpa se oggi la sua esistenza è talmente appiattita da non provare alcuno stimolo per sperimentare qualcos’altro, qualche spinta che lo rivitalizzasse. Questa è l’evidenza di come la società, che è formata da tutti, stravolge la sua naturale conformazione per dirigere l’attenzione verso forme di aggregazione materialistiche e consumistiche del tutto improduttive per il singolo soggetto e poste lontane dalla concezione basata sui valori cristiani che, al contrario, tendono a sviluppare sempre più una politica di aggregazione civile e comunitaria, di condivisione, in cui le problematiche di tutti sono rappresentate in seno alla collegialità per trovare degna risposta e soluzione al singolo partecipante. E’ in questo spirito di contraddizione che si rileva come l’uomo, per quanto possa dichiararsi strenuamente credente e praticante, osservante delle leggi e delle prescrizioni religiose, in effetti combatte inconsciamente sé stesso e dietro l’alibi che tali concetti e regole spirituali sono difficili da comprendere o da mettere in pratica, si abbandona alle modalità più semplici ed immediate ed alla portata di tutti, regole e circostanze che definiremmo “light” perché sono approcciabili senza alcun compromesso con la propria vita, con la propria coscienza ed il proprio credo, ma ciò immette nel passo immediatamente successivo che è il pentimento dell’errore commesso, dello sbaglio che avrebbe potuto comunque evitare ma che ha snobbato per vivere più serenamente. Ci domandiamo allora perché l’uomo agisca in questo modo: prima assume atteggiamenti ritenuti giusti e prende decisioni improprie e senza senso e poi si pente, anche continuamente, degli sbagli che commette. Eppure, anche quando è divenuto cosciente per gli errori commessi non reagisce, non cambia metodo, avendo la possibilità di mettere in campo quelle che sono le sue naturali risorse. La risposta o se vogliamo, la consapevolezza di tutto ciò avviene prima ma in tal caso, non imputerei la colpa ai malcapitati. Per comprendere il senso di questo pensiero dobbiamo modificare alcuni termini esposti, per introdurre qualche concetto più complicato ma anche incisivo. Innanzitutto, sostituiremo le parole idea e pensiero che attirano l’attenzione e la meditazione, con i termini “sollecitazione” e “tentazione” dell’affronto crudele che, invece, riguardano circostanze che esulano dalla soggettività dell’uomo perché non provengono da lui bensì dalla controparte demoniaca e crudele, che lotta nel segreto per carpire la buona fede insita in ogni fedele, per sopraffarla con maleficio e inganno. Questo inciso serve a comprendere che l’uomo, nonostante la sua piena e completa autonomia decisionale in realtà è continuamente in gioco con la propria vita perché c’è chi ha “investito” e continua ad investire su di lui per accaparrarsi la sua anima, non tanto perché gli serve, ma perché gode nel sottrarla alla potenza di Dio. D’altra parte costui ha sempre riferito a Gesù che avrebbe fatto sempre tutto il possibile per rubare anime votate all’amore di Dio. Quindi, non è proprio un divertimento ma l’obiettivo principale che nella notte dei tempi Lucifero si è autoimposto allorquando è stato scaraventato sulla terra da San Michele Arcangelo con le sue Milizie Celesti, facendogli andare in fumo in pochissimo tempo la sua voglia di paragonarsi a Dio e, così perdendo, si è dovuto accontentare del titolo di principe del buio. Qui sulla terra, da tempo immemorabile, con tutta la sua malignità gira per le strade del mondo, per minare le anime degli uomini e perciò non ha più necessità di volare in alto. Da quanto risiede sulla terra, infatti, il suo unico scopo è quello di avvicinare gli uomini, specialmente quelli più deboli nella Fede, scendere al passo con quello degli esseri umani, per presentarsi come proprio simile, per essere “vicino” alle altrui esigenze e presentarsi con le sue proposte che risultano alternative, molto suggestive, favorevoli, accomodanti ma sono solamente ingannevoli. C’è purtroppo chi crede a questo inaspettato aiuto, paravento delle illusioni e delle false promesse che gli sono propinate si lascia andare alle false lusinghe ed anche se inconsciamente si presta a vendersi per ottenere subito quello che gli è stato proposto ovvero la soluzione ai suoi problemi. L’angelo demoniaco non deve più volare perché cammina giù in strada, con l’uomo, il suo lavoro non lo deve più svolgere in aria ma è solo sulla terra, dove gironzola per trovare chi adescare. Ma chi crede, invece, nella proposta di amore e di misericordia, che pervengono dai messaggi divini, che incitano a combattere questa guerra terrena col malvagio, possono elevare le proprie convinzioni invocando la forza, lo Spirito di Dio e la sua infinita carità grazie alla quale possono sconfiggere le tentazioni diaboliche che mettono a repentaglio le proprie anime. Notiamo come la Verità e la Giustizia di Dio si contrappongono all’inganno ed all’illusione dell’accusatore: le invocazioni che innalziamo al cielo per richiedere la protezione di Dio volano nell’aria, si dirigono verso il Paradiso, viaggiano nello spazio e nel tempo; al contrario, l’attività denigrante del tentatore serpeggia per terra, cioè laddove fu scaraventato. Quindi, se vogliamo veramente essere chiamati, essere figli di Dio e non abbandonarci alle persuasioni malfattrici dobbiamo vivere all’insegna dell’invocazione, della preghiera, della sollecitazione alla carità: solo in questo modo possiamo abbandonare il pericoloso terreno terrestre in cui si annida il peccato e “volare” con le nostre anime lassù dove siamo liberi da ogni attaccamento materiale e dove possiamo diventare invece tutt’uno con Dio Padre.
19 - CON GLI OCCHI CHIUSI
Potrà sembrare un giochino da proporre ai bambini, a cui spesso dedichiamo spazio per insegnare solo giochi improduttivi e inutili per risvegliare la loro intelligenza e i loro stimoli interiori. Eppure, in tante occasioni sono gli stessi bambini che con “qualche“ modo di fare, semmai con le loro occhiatine maliziose ci trasmettono in modo subdolo ed inconscio qualche cosa di prezioso. Nel nostro caso, vorrei rappresentare come con gli occhi chiusi possiamo arrivare a fare, pensare e dire altrettante cose cui non si potrebbe mai arrivare se non si è realmente allenati o, nel caso più opportuno, praticato un apposito percorso. Il tutto nasce dalla consapevolezza, acclarata nel mondo reale, che la nostra mente, allorquando siamo presi da tanti impegni oppure sotto stress a causa di contingenti impegni lavorativi e/o di altro, reagisce in modo del tutto anomalo, apatico, senza alcun senso, senza alcuna partecipazione all’azione che si sta per compiere. Di tanto ne diamo la colpa ovviamente al nostro stile di vita, assediato dai ritmi di vita impostici dalla società di oggi e, più che mai, dalla fretta che è insita in ogni nostro movimento. Ma se ragioniamo su questo argomento notiamo che tutta questa imputazione non è poi realmente giusta perché la causa di tanta distrazione o di mancata adesione alla vita reale è dovuta principalmente dal fatto che abbiamo smarrito il quid che alimenta la nostra vitalità, quell’attimo fuggente che lascia la nostra vita piena di risorse, piena di considerazioni e di possibilità per sostituirla con un’altra vita magra fatta di apatia, nonsense, e di perdita di alacrità. Cosa dobbiamo fare allora per riprenderci la nostra esistenza, magari inventarci qualcosa per poter ritornare allo stato originario e rinforzarci così come lo siamo stati tanto tempo prima? Noi che abbiamo una matrice comune, che ci proviene dall’appartenenza a Cristo, che con la Sua venuta ci ha insegnato tante cose, non dovremmo aver paura di incamminarci o ritornare sul giusto sentiero proprio perché abbiamo dalla nostra parte la consapevolezza di riconoscerci uniti in un unico punto di riferimento: quel Cristo che con il Suo esempio ha trasmesso i valori certi, univoci ed indifferibili con i quali poter impiantare in ognuno e per sé stesso il cammino verso una vita giusta, serena e soprattutto piena di Dio. Per poter quindi porci in azione è necessario adeguarci a tali insegnamenti. E come i calciatori per affrontare un gioco pesante, duro e faticoso devono allenarsi per ottenere una ottima prestazione di gioco e arrivare all’obiettivo finale che è quello di vincere la partita, noi cristiani allo stesso modo dobbiamo prestare quotidianamente attenzione a ciò che facciamo, che dovrà essere in corretta adesione agli insegnamenti ricevuti da Gesù, grazie ai quali fortifichiamo e rinforziamo la nostra muscolatura sensoriale, diamo vigore alla nostra interiorità ed al nostro spirito in modo che possiamo affrontare il nostro nemico rappresentato da distrazioni, sollecitazioni peccaminose e dall’ allontanamento dalla vera realtà, quella che conduce all’esaltazione dei valori che ci sono stati donati con la nostra creazione. Un buon allenamento anzi direi un ottimo sistema per poter prepararci a questa possibilità, come abbiamo già avuto molte volte detto e ridetto, è quello di tralasciare il nostro “solito” comportamento per assumere un altro tipo di atteggiamento, fatto di meditazione e riflessioni, che agevola in modo straordinario il ripristino delle nostre condizioni originarie. Comprendere e applicare al nostro stile di vita quelle cose che riusciamo a captare con il nostro spirito fa star bene e conduce alla serenità con la quale potremo affrontare con viva partecipazione la routine quotidiana. Per poter giungere a questi risultati, dunque, è necessario annullare del tutto i nostri modi di fare e le nostre cognizioni sistemiche, per catapultarci nell’ignoto personale che è il nostro intimo, la più estrema interiorità in cui sono allocate le risposte ai nostri quesiti. E non c’è cosa più indicata che rispondere chiudendo gli occhi, un gesto semplice che mette in azione tutto un mondo di reazioni che spazia all’infinito ponendoci al centro di ogni “visione” che ci appare e ci propone ogni vera soluzione alle problematiche che rappresentiamo nella vita quotidiana. Per poter “vedere” quindi l’ignoto ed incontrare le risposte che si predispongono adeguatamente alle circostanze, non dobbiamo essere ”presenti”, cioè non dobbiamo rispondere con gli occhi aperti perché in tal modo essi ci limitano nella realtà visuale, quella in cui tutto ciò che si vede è falsato o falsificabile, un mondo in cui i nostri sensi interiori sono sopraffatti dall’inganno della vista; perché essi ci limitano e ci impediscono veramente di agire nel modo giusto, pertanto bisogna estraniarsi dalla percezione reale, allontanarsi dai cinque sensi per “aprire gli occhi del cuore” . Quanti richiami ci vengono fatti da Gesù nel Vangelo a proposito del cuore, inteso non come organo vitale del corpo umano, ma come stato di grazia, di felicità, di gioia; quante volte il Signore richiama la nostra attenzione agli insegnamenti da Lui dettati, necessari proprio a regolarci la vita da vivere. Tutto ciò che viene fatto col cuore proviene dal Cuore, dalla Passione, dall’Amore e, perciò produce gioia immensa. Solo grazie a questi elementi virtuali, fatti di spiritualità e conoscenza interiore potremo vincere nella vita reale, testimoniando ciò che il Signore vuole da noi: essere portatori di amore e gioia. Questo dovrà essere allora l’obiettivo della famiglia cristiana di oggi: portatrice di pace e serenità e far sì che le sollecitazioni e le rimostranze che ci sono proposte da quell’essere tentatore che è sempre pronto a carpire la nostra buona fede vengano a cadere all’istante grazie allo Spirito che ci sovrasta e ci protegge.
20 - LA VITA
La vita per noi cristiani è sacra, per tanti motivi, ma lo è innanzitutto perché ci è stata data da Dio. E con questo dono nulla può prescindere dalla considerazione sacra e inviolabile che tutto ciò che Dio dona non può essere rimessa o estorta da altri. Nel nostro credo è fondamentale vedere la nostra esistenza sotto tanti punti di vista ma non può non includere al primo posto che dobbiamo a Lui la nostra esistenza e quindi, tutto ciò che ne deriva, sia per il bene che per le cose impreviste che possiamo definire negative o ostacolanti, anche se in queste circostanza è lo stesso Creatore a darci forza e ad incutere coraggio nel proseguire perché c’è e ci sarà sempre Lui ad incoraggiarci e fornirci l’energia necessaria per controbilanciare gli ostacoli che si incontrano. Oggi siamo presi totalmente dal vortice del dinamismo, visto in tutti i suoi aspetti, per cui abbiamo poco tempo, diamo poca attenzione o per lo meno dedichiamo pochissimo spazio alla meditazione ed alla riflessione sugli aspetti più naturali che ci portano allo svolgimento delle ordinarie cose di ogni giorno. Questo genere di attività inconsciamente apatica ci porta abbastanza lontani dalla realtà, cioè da quegli aspetti veritieri per cui vale la pena esistere! Invece dovremmo assegnare a tutto ciò una maggiore importanza o più attenzione vitale per risolvere le nostre problematiche quotidiane. Sarebbe il caso quindi di rivalutare il nostro modo di vivere, pensare, comportarsi, di relazionarsi, di fare comunità cioè stravolgere il proprio modo di vivere ponendo al centro della propria vita l’essenza della vita stessa: in questo modo si potrà ottenere il risultato più immediato e vincente che è il sano ottimismo che procura calore umano ed affiatamento sociale.
21 - CHI SONO IO?
Quante volte ci siamo trovati di fronte ad uno specchio e ci siamo immobilizzati davanti alla nostra immagine riflessa senza pronunciare parole? Sarà capitato che quella brutta impressione che ci ha sorpreso sia stata originata dal fatto che eravamo forse bruttini, specie di mattina, perché ci si trovava in disordine; ma può darsi anche che ciò sia capitato perché c’era un certo disagio nel provare un po' di diffidenza verso quella stessa figura. Se così fosse allora avremmo un bel problema da risolvere perché bisognerebbe chiedersi perché mai dovremmo provare una simile titubanza. Solitamente ci si sente diversi solo quando c’è qualcosa che non va. Sperimentiamo tante volte che “ non ci sentiamo in sintonia “ con noi stessi, malgrado non vi sia apparentemente nulla di strano o di complicato alla nostra vista, eppure soffriamo di un momento di stasi, una fase di apatia verso l’esterno. E’ ovvio che una simile circostanza si può verificare nel momento in cui la nostra interiorità è in conflitto con l’esterno, ma più che altro identifica un complesso di fattori che non sono per niente collimabili con la personalità che ci sta caratterizzando in quel dato istante. Quel sintomo di particolare imbarazzo non rappresenta altro che la netta differenza tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Ciò che adesso noi siamo è l’evidenzia della nostra vita che scorre lungo il corso delle ore che scivolano durante la giornata e che segue l’andazzo generale: di chi lavora, di chi inciucia, di chi perde tempo oziando ecc., mentre dall’altra parte c’è invece di chi si propone l’auspicio della realizzazione dei propri desideri e delle proprie aspettative. E’ proprio tra queste due diverse posizioni che si pone il nostro alter ego ed è ad una di questi aspetti che esso deve propendere, per dare ampia realizzazione alle proprie esigenze. E qui casca l’asino, perché la diatriba che si può aprire all’occorrenza diventa di vitale importanza per il bene della persona e del suo spirito interiore che si rifletterà, poi, nell’atteggiamento pubblico che l’individuo dovrà assumere nel contesto sociale. Possiamo certamente confermare che l’aspetto critico che l’uomo si trova ad imprimere al proprio intimo è alquanto complicato e per certi aspetti anche strano, vuoi per la serietà dell’atteggiamento da tenere, vuoi per l’uniformità del contenuto da dare all’analisi in questione. Ed ancora una volta siamo portati a domandarci: come stiamo vivendo, dove vogliamo arrivare? Cosa vogliamo realizzare? Semplici domande a cui però bisogna dare non solo una semplice risposta ma un concreto riscontro, una decisione che non deve essere solo pronunciata ma si deve riflettere sostanzialmente con la propria esperienza di vita e con la ferma decisione di voler indirizzare la propria vita verso nuovi orizzonti, più predisposti ad accogliere le sue aspettative. E’ un vero e proprio cambiamento di rotta, una inversione di tendenza cui il nostro atteggiamento non si potrà adeguare se prima non abbiamo messo a confronto il chi siamo e chi vogliamo essere, tra cosa facciamo e cosa invece dobbiamo fare affinché la via si apra al nostro desiderio ed alla nostra volontà. L’alba nuova verso cui ci affacceremo illuminerà i nostri orizzonti e la luce che ci farà strada faciliterà il nostro cammino verso la mèta propostaci. Dobbiamo solo avere il coraggio di porci di fronte allo specchio.
22 - UNIVERSO E AMORE
Qualche giorno fa un caro amico, anch’egli appassionato e studioso di meditazioni, mi ha regalato un testo sulla “legge di attrazione”, essendo a conoscenza della mia grande passione per argomenti del genere. Ho accettato ovviamente questo gradito dono, l’ho ringraziato e mi sono preso del tempo per poterlo esaminare ed eventualmente commentare. Dopo poco ci siamo accomiati con l’intesa di rivederci appena letto il tutto. La curiosità, che è la mia caratteristica maggiore, mi ha indotto a tornare a casa per iniziare, da subito, a leggere il contenuto di quel testo che per la verità, si prestava ad una lettura scorrevole per cui è stato agevole poterlo leggere in poco tempo, anche perché ero veramente curioso di pervenire ai concetti conclusivi dello scritto e, quindi, alle conseguenze che ne riportava. Facile e comprensivo da esaminare, il compendio adduce alla riflessione che la meditazione individuale, che è una prerogativa di chi vuole addentrarsi nei meandri di questo genere di narrativa, deve costituire la base su cui porre le proprie concezioni se si vuole affinare i propri neutroni intellettivi. Infatti, il punto centrale di tutto l’elaborato è che il centro dell’universo è regolato da una particolare forza, detta appunto “ Legge dell’attrazione” che in pratica avalla e realizza la volontà di tutti, sia di origine positiva che negativa. Come recita tale concetto, l’essere umano durante la giornata produce migliaia di pensieri, coscienti o inconsapevoli, ed inoltra direttamente nello spazio intenzioni e comunicazioni mediante le invocazioni, ovvero richieste di aiuto oppure di realizzazione di progetti o quant’altro e così facendo lancia nelle frequenze eteree onde che, a seconda della loro entità, sono accarezzate, accettate ed espresse da questa forza immane che, come un magnete, si attacca alla richiesta di cui sopra e realizza il sogno di chi lo ha idealizzato. Infatti, la legge dell’attrazione si basa sul principio che ogni pensiero ed ogni emozione espresse dall’uomo di dirigono nell’universo, verso qualcosa di più grande, una specie di fattore magnetico che circonda la frequenza espressa dal pensiero umano e si attacca all’obiettivo di chi si presta a questo genere di attenzione. L’obiettivo più importante, quindi, sarebbe quello di produrre ed imprimere quanta più energia possibile da inviare nell’universo con le proprie richieste, caricandole di positività di grande potenza tale che le frequenze modulate nello spazio possano facilmente intercettare tali richieste e vi si possano attaccare in modo da poterle assecondare e predisporne l’avallo. Il principale consiglio che si dà ai provetti adepti di tale concezione è quello di cambiare frequenza e quindi modificare i propri pensieri se si suole cambiare qualcosa della propria vita. Risultato: se stai pensando di voler vivere nell’agiatezza e lo desideri fortemente, l’universo ti verrà incontro e ti accontenterà in un modo o nell’altro; al contrario, se stai vivendo nel grigiore della vita e non vedi nulla di prosperoso all’orizzonte, allora attirerai solo le forze negative che peggioreranno sempre più il tuo stesso modo di vivere. Da questo punto di vista potremmo definire il contenuto di tale legge come adatto per coloro che, definitisi “positivisti” vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto e si adoperano affinché si possa colmare l’altro spazio vuoto, per cui non importa cosa di male ti è accaduto, bisogna gettare via il male accaduto e porsi di fronte al futuro che dev’essere solamente roseo. Come si nota, la base di partenza è il motto ”sono padrone dei miei pensieri e quindi ai miei problemi ci penso io”, ciò vuol dire che la forza dell’universo ti metterà in condizione di conoscere in modo analitico la tua potenzialità offrendoti l’opportunità di voler dire, fare, pensare e realizzare. Allora ho letto con interesse il testo ed anche dopo la conclusione ho aspettato del tempo prima di poterne eseguire le deduzioni anche perché tutto quello che avevo letto e considerato pagina dopo pagina mi ha dato l’opportunità di esaminare il tutto con una diversa interpretazione. Mi è sembrato vivere tutto in un “dejà vu” un qualcosa che mi richiamava alla mente parametri ed espressioni a me già familiari. Il tutto aveva suscitato notevole attenzione da parte mia perché non essendo pratico di fisica, astronomia o quantistica, mi lasciava interdetto quando si descriveva di soddisfacimento di necessità che avveniva da parte di forze non solo invisibili quanto per lo più pronte “ad attaccarsi” alle esigenze trasmesse e risolverle senza ricorrere ad altri strumenti. Ebbene, dopo aver inquadrato tutto l’insieme l’ho riportato nella mia esperienza di cristiano, cattolico e praticante perché avevo notato alcuni punti di contatto, ed alcune discordanze manifestate confrontando i due diversi aspetti della meditazione. L’analisi così posta mi conduceva a considerare che ambedue le idee partono da una unica procedura solo che mentre nel primo caso si potrebbe parlare solo di meditazione nel secondo si va più in là della semplice riflessione e ci si addentra nel discernimento, cioè nella massima espressione della coerenza della mente col cuore. Il cristiano, infatti, per raggiungere Dio con le invocazioni circa il proprio bisogno, deve elevare la propria spiritualità, nel senso che deve annullare del tutto la propria personalità materialistica e raggiungere livelli subliminali da cui poter far partire le proprie preghiere per ottenere Grazia e Misericordia che Dio gli elargirà. Quindi, in ambedue casi siamo in presenza di una sorta di “progetto mentale” che resta tale solo nella mente del soggetto non cristiano, mentre nel secondo caso tale idea parte dalla mente ma è in netta simbiosi col cuore. Qual è dunque la differenza che si nota tra i due sistemi di valutazione? Nel caso della richiesta inoltrata solo a livello celebrale si assiste ad una forzatura della propria personalità che, scevra di legami con il mondo circostante, perpetua le proprie necessità assecondando l’eventuale responso con la predisposizione ad ottenere solo effetti positivi. Nel cattolico che si addentra nella meditazione invece si evidenzia come quanto sia elevata mentalmente, e quindi presente nella sublimazione cioè ai confini della realtà, tale partecipazione tocca profondamente anche l’essenza intrinseca della propria spiritualità, cioè il fedele accosta tutto al proprio atteggiamento religioso e lo presenta a Dio, con umiltà e sudditanza. In altre parole da un lato si riscontra la sola soggettività dell’essere, che si presta in prima persona a fare, dall’altro, invece, il fedele mostra la sua personale soggettività che però non può fare a meno anche dell’oggettività e perciò per poter procedere egli deve introdurre nel sistema di comunicazione verso Dio la caratteristica del proprio essere, vale a dire metabolizzare il suo desiderio che rappresenta a Dio mediante la preghiera ed il modo di vivere tra la gente. Qual è l’epilogo? Il soggetto che trasmette sia le proprie certezze che le relative frequenze nell’Universo aspetta di ricevere la risposta e certamente buona (almeno così dovrebbe essere in teoria); il cristiano, invece, con tutta la sua piccola umanità insignificante, invia al suo Dio una sottomissione ben più grande, non solo perché non ne sia degno, ma specie perché il suo ruolo è proprio quello di attendere una risposta divina che potrà essere anche non favorevole. Dio, infatti, concede ciò di cui l’uomo veramente abbisogna e che comunque va richiesto con animo sincero e umile per cui quando sentiremo di invocazioni “ perse” perché non accolte vuol dire che Dio non ha concesso quell’assenso perché potrebbe essere stato di pregiudizio per la sua anima. Diremo allora che il fedele è accompagnato sempre da un avvocato che gli concede l’alternativa nel caso in cui abbia presentato una richiesta “non conforme” oppure addirittura grave per il suo stesso rapporto col divino.
23 – PREGARE ? SI, PREGARE!
Oggi più che mai si parla - e lo abbiamo anche noi qui ripetuto innumerevoli volte che bisogna pregare, per moltissimi motivi , non solo perché ne siamo obbligati in virtù della nostra condizione di cristiani, ma perché sappiamo bene che la preghiera è giustamente ritenuta come lo strumento indispensabile per giungere al cuore di Dio per invocarne la presenza, l’intervento o l’infinita Misericordia. Ci colpisce il criterio dell’obbligatorietà imposta, cui certamente non possiamo esimerci, visto che la nostra natura ci porta a dichiararci cristiani e seguaci della Parola di Cristo. Quindi oggi è fondamentale pregare, perché così ottemperando si entra in un mondo nuovo, misterioso, buio, pieno di interrogativi, un mondo in cui l’unica cosa che si dovrà fare è riconoscere la voce di Dio che ci chiama a sé. In realtà, se l’uomo si venisse a trovare in un luogo ignoto per prima cosa cercherebbe di fare? Ovviamente trovare riparo, rivolgersi a qualcosa o qualcuno che lo proteggesse da quell’ignoto in cui si trova; e che cosa potrà mai volere il cristiano dal mondo misterioso in cui si è intercalato? A volte gli uomini sono così restii a farlo perché hanno il timore di far riemergere dal proprio profondo essere anche fatti o altri elementi che ritengono potessero essere dannosi per diversi motivi, cioè hanno paura che insieme alla voce di Dio posta all’interno del proprio io potrebbero venire a galla anche le paure, tensioni, fatti o eventi che in passato hanno comportato loro disagio, pericolo o comunque nocività all’anima ed all’intero essere. Queste remore che ci portiamo addosso fanno sì che il nostro rapporto con la preghiera sia continuamente compromesso, pregiudicato o addirittura del tutto annullato. Capita così spesso che non riusciamo o non vogliamo più pregare, cioè non vogliamo rimanere connessi, avvertiamo la paura che dal nostro animo riaffiori di tutto, persino gli spettri del passato che ritornano nella nostra mente. Ma la preghiera, mai come in questo delicato istante si presta ad essere strumento di esorcizzazione, un mezzo col quale ci liberiamo dalle remore che ci limitano e ci poniamo in relazione con Dio, anche nel caso in cui non si vive appieno questa comunione . Infatti anche se il fedele in genere tende a pregare perché desidererebbe con tutto il cuore essere alla presenza reale di Dio, la preghiera in quanto tale deve essere opportunamente recitata senza pretendere di essere in Sua presenza. Risulta chiaro che si tratta di una vera e propria delusione il voler attendere e sperare nell’incontro de visu con Dio ed è normale tale sconforto perché il cristiano sa bene che il confronto “visivo” non ci potrà mai essere – almeno nella ordinarietà delle circostanze – perché essa è possibile solo a chi raggiunge determinati livelli di sublimazione estatica. In realtà, anche se il nostro incontro con Dio Padre resta limitato in quanto non vi è l’opportunità di trovarsi faccia a faccia con Lui, possiamo comunque riferirgli tutto ciò che possiamo e vogliamo mediante la preghiera, perché questa è un’autostrada a doppio senso in cui da una corsia parte l’invocazione del fedele e nell’altra invece giunge la risposta di Dio. La preghiera è - e resterà sempre - l’unico sostegno spirituale ed argine all’egoismo umano, per canalizzare l’adesione a Dio. In pratica il cristiano è assimilabile da un atleta che per rendere sempre al meglio le proprie prestazioni agonistiche deve seguire rigidi protocolli di dieta, di allenamenti, di vita privata ecc.; per ottenere risultati e traguardi di vittoria egli deve continuamente votare al sacrificio la propria vita che, al pari di tanti altri, resta molto rigida e scrupolosa. Parimenti deve comportarsi il cristiano ed in modo altresì costante e duraturo, per rivitalizzare il proprio rapporto con Dio, altrimenti ne pregiudica la validità e l’ottenimento dei risultati. Quante volte siamo portati a gettare la spugna perché ci riconosciamo limitati o perché deliberatamente non vogliamo essere pronti a continuare il dialogo con Dio in quanto non troviamo risposte ai nostri quesiti, che si basano su preghiere pretestuose; anche davanti al tabernacolo poniamo in essere veri e propri ragionamenti e discorsi con il presupposto che il Signore, una volta ascoltate le nostre invocazioni ed aver compreso qual’è il nostro problema, apra la porticina in cui è collocato e risponda ai nostri imperterriti interrogativi. Ebbene, capiamo che questa è una prassi del tutto fallimentare perché Dio per rispondere non necessita di tanto indaffaramento ma ha bisogno essenzialmente di essere invocato, lodato, glorificato e poi, alla fine, di essere pregato ad intervenire. In ciò il fedele deve mostrare la sua fedele e rispettosa riverenza al Signore in cui si rifugge, a cui si affida e confida. Allora cosa dobbiamo fare affinché la nostra preghiera diventi realmente una preghiera, vale a dire una invocazione pura e sincera scevra di corollari? In questo caso abbiamo a disposizione una soluzione meravigliosa che non cede ad alcun segnale di titubanza ma dà solo certezza: dobbiamo ritornare nel buio della nostra coscienza per cercarvi una speranzosa luce, fatta di speranza e di serenità, che ci indicherà laddove possiamo trovare e far riemergere in noi quell’energia smarrita. Là, in quel posto oscuro la nostra anima, motivata dalla desiderosa ricerca, continua e pacifica della nostra quiete intima, attiverà l’occhio interiore che raggiungerà i primi spiragli di luce che, a poco a poco, illumineranno per intero l’universo dell’animo e che ci accecheranno, permettendoci di riconoscere la voce di Dio. Quindi, in questa transizione incontriamo prima il buio assoluto, cioè la mancanza di forza, di coraggio e di spinta verso una reazione decisiva per il cambiamento personale, abbiamo visto e dall’altra parte l’immensità della luce prodotta alla Rivelazione di Dio, che risveglia le nostre più recondite esperienze, le trasforma e le reimmette nel circuito della nostra vita, appesa alla totale apatia; ciò può apparire come pura fantascienza e quindi evidenzierà una certa titubanza con una data pericolosità rivolta verso il cambiamento innovativo che può comunque compromettere il futuro della persona. Quindi, affinché si trovi una giusta strada che dall’oscurità della nostra anima ci possa traghettare progressivamente e adeguatamente condurci alla luce ed alla chiarezza delle nostre perplessità e dubbi esistenziali, ovvero condurci nel luogo della verità, dobbiamo svuotare il nostro essere e riempirlo di Gesù, Colui nel quale Dio si è intercalato per donare Amore e Misericordia ad ogni essere. Egli infatti è divenuto l’Agnello grazie al quale il buio della nostra vita ha trovato fine per cedere il posto alla Luce, una luce avvicinabile, non accecante, ma sopportabile. Attraverso Gesù noi possiamo riuscire a comprendere il disegno divino, il progetto che Dio ha per ognuno di noi e che vuole che si realizzi comunque. In questo modo Egli diventa il tramite per rendere possibile l’incontro tra Dio e l’uomo. Ecco perché allora tutto ciò che abbiamo nel cuore riesce ad arrivare a Dio, ecco perché tutto ciò che necessitiamo giunge all’orecchio di Dio: è Suo Figlio Gesù che avverte le nostre debolezze e necessità, le fa proprie e le presenta a Dio Padre. Mediante Gesù noi riusciamo a comprendere noi stessi e Dio. Ecco perché possiamo confermare che solo con l’intervento di Gesù e solo con la Sua assidua riconosciuta presenza potremo essere in grado di avventurarci in un mondo complesso e difficile che sapremo riconoscere grazie al discernimento, argomento sempre presente nelle omelie di Papa Francesco. Allora potremmo ridefinire la preghiera, visto che essa assume una nuova funzione: diventa incontro con Gesù, mediante cui l’uomo comprende il mistero di Dio, l’universo che ha dentro, fa capire chi realmente è, quale sia la sua fondamentale esperienza, qual è la luce della sua nuova vita, l’energia acquisita dall’incontro con Gesù: ecco perché la preghiera è frequentare Gesù e non è nemmeno tanto difficile stargli di fronte e comunicare con Lui. Un prezioso contributo sull’argomento ci viene a tal proposito dal simpatico internauta frate Stefano che grazie alle sue brevi, simpatiche ed esaurienti spiegazioni, ispira tanta positività ed altrettanta speranza nella rivalutazione degli animi dei fedeli. In questa circostanza, frate Stefano ci mette di fronte ad un reale dramma, un evento difficile, quasi impossibile: un improvviso e reale incontro con Dio, come lo si potesse incrociare per strada e pone questa domanda: in quell’istante cosa succederebbe? come ci comporteremmo? Domande che potrebbero apparire strane perché capita spesso che quando desideriamo ardentemente parlare o visitare qualcuno e finalmente la si incontra si resta un poco perplessi, stupefatti, senza parole, pronti a far figure non eccelse. Figuriamoci se qual “qualcuno” con cui vorremmo trascorrere del tempo insieme fosse proprio il nostro Dio. Potremmo immaginarci la scena che, per quanto universalmente anelata da tutti ci prenderebbe di sicuro con un colpo agli occhi, increduli di quella realtà e peggio ancora, ignari di poter finalmente esporre i nostri pensieri e tanto altro ancora. In quell’attimo scenderebbero dagli occhi lacrime di strabiliante gioia ma di certo la bocca non riuscirebbe a far trapelare alcuna parola. Per paura di dire cose inutili, per timore di profferire pensieri inadeguati ma, come dice frate Stefano, per essere attenti a non dire cose che potrebbero offendere il Signore Dio. Partiamo dall’assunto che Dio legge prima nei cuori e poi vuole sentire dalle nostre bocche ciò di cui abbisogniamo, e per questo sollecita su come dobbiamo necessariamente stare attenti a come preghiamo, perché è il solo modo in cui gli inoltriamo la nostra voce spirituale e su come Gli porgiamo la nostra invocazione che Lui ci risponderà o escluderà. Sì, perché è fondamentale che il nostro rapporto con Dio sia puro e reale ed affinché possiamo costruire su solide basi il nostro contatto con Dio dobbiamo avere la premura di prendere le indicazioni dal Vangelo e annotarle internamente. Innanzitutto non sottovalutiamo la Sua Persona ed il Suo Nome come se fosse una persona qualunque, una che si incontra quotidianamente per strada ed a cui volgiamo lo sguardo appena per salutarla; inoltre, nelle nostre preghiere non Gli va posto il diktat, del genere: ti prego o Dio fammi o questo o dammi questo aiuto ed andrò a fare il pellegrinaggio”; oppure “andrò ad accendere una candela votiva per ringraziarti!” in questo peccaminoso interloquire rappresentiamo una fede che vuole acquistare favori, come se si fosse al mercato. Dio punisce ed anche molto severamente questo genere di richiesta. Non dimentichiamoci cosa rimproverò Gesù durante i suoi 40 giorni nel deserto al diavolo: Non tenterai il Signore Dio tuo! Il fedele che si rammarica di tutto e si costerna per ogni tipo di impedimento che non gli dà opportunità di realizzare un qualcosa che gli andrebbe a favore (e come si nota parliamo sempre di favori e piaceri...) è l’esatto opposto a come Gesù ci vuole vedere vivere, con la serenità sul volto, con la pace nel cuore, con la gioia negli occhi, nonostante i dilemmi, i sacrifici e le difficoltà che incontriamo ogni giorno sulla strada della nostra vita. Il cristiano non è fatto per evitare gli intralci ma per affrontarli, con la Fede in Cristo che se ne assume l’onere e che con la Sua infinita Misericordia ci aiuta a poterli sopportare. Ognuno penserà che sono pur sempre delle attendibilità che vanno ben oltre il ragionamento ordinario e che l’apertura e la disponibilità mentale a recepire questi messaggi non sono cose di poco conto. D’altra parte l’uomo che avverte questa debolezza attribuisce la colpa a Dio, che non fa niente contro le malvagità, i disordini, le guerre, e tutto ciò che di brutto c’è nel mondo e, pertanto, egli stesso diventa vittima di questo strano atteggiamento divino; anche in questa circostanza dimentichiamo che se Dio è il Bene Assoluto non può altrettanto mettere in crisi e prevaricare la sorte del Suo Creato. Dio infatti non è l’autore del Male ma è l’origine di ogni supporto necessario a combatterlo: quante volte ci allontaniamo da Dio perché non siamo all’altezza di tanti altri che, invece, possono presentarsi o magari gestire meglio, oppure sanno dare di più e lo mettono vistosamente in pubblico. Diamo un’occhiata a ciò che si verifica al pubblicano che, rispetto al fariseo, si dispone con animo contrito, chiede perdono a Dio, pone la sua umiltà ai piedi di Dio affinché Egli abbia misericordia di quella bontà d’animo e gli conceda il Suo perdono! E Dio glielo concede perché rispetto al fariseo, che era tutto pieno di boria e di protagonismo, non fa altro che mettere in gioco la sua figura di servo inutile ma rispettoso. Allora, se queste sono le premesse, cosa deve fare il fedele che vuole mettere in pratica veramente gli insegnamenti di Cristo, che vuole realmente trasformare la propria vita in modo da conformarla ai precetti ed alle regole che il vangelo ci propone a salvaguardia delle nostre anime? Bisogna realizzare un contatto con il Signore Dio con parole povere ma con cuore ricco, parlare con un Padre che è specialmente un vecchio amico al quale vanno confidate tutte le difficoltà ed ostacoli a cui sembra non poter dare soluzione, un conoscente che presterà molta attenzione a ciò che sarà detto ed in particolare a come sarà detto: Dio riderà di quell’incontro e riserberà per il Suo fedele con il Suo immenso Amore, gratificandolo di ogni bene.
24 - L’ INVITO DI DIO
Quante volte ci abbandoniamo alla nostra tristezza ed al nostro pietismo, al non voler far nulla perché ci sentiamo dimenticati da Dio, come se ci avesse lasciati in balia della vita e della sorte? Quante volte siamo sopraffatti dal pensiero che non possiamo fare perché non vediamo alcuna possibile soluzione ad un dato problema? La nostra natura umana ci spinge verso la crisi, la disperazione, il baratro. La cosa bella è che siamo anche consapevoli di essere fortunati ad aver un aiuto ed un appoggio talmente grande a disposizione ma che con grande negligenza purtroppo non riusciamo a sentire e vedere. Siamo così presi dai nostri inutili pensieri quotidiani che secondo noi devono essere risolti altrimenti non viviamo sereni. Ancora una volta ci consideriamo unico rimedio a noi stessi ed alle nostre afflizioni, e non capiamo che noi costituiamo solo il mezzo con cui poter affrontare tali problemi. Spesso facciamo sforzi spaventosi per proporci come guerrieri, disarmati, contro le avversità della vita eppure non ricordiamo ciò che Dio ci dice continuamente” chiedete, e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”. E così, in questo modo scartiamo l’idea che Dio sta aspettando una nostra richiesta a che possa inviare il proprio Spirito su di noi, per alleggerirci del peso che ci carichiamo inutilmente e che tante volte non riusciamo a sopportare. E’ opinione comune che l’uomo sia diventato talmente egoista da pensare che può farcela senza alcun aiuto e, nella fortunata ipotesi vi riesca, diventa così indifferente al ricorso a Dio che considera la preghiera solo come un atto dovuto e non quale strumento fondamentale e potente per difendersi. Se ci fermassimo solo un momento per pensare e riflettere quanto e cosa ci offre Dio Padre potremmo capire come tutto questo ci faccia diventare intelligenti e potremmo così ricevere gli spunti per riflettere e meditare continuamente sul nostro comportamento, le relazioni che allacciamo con i nostri simili e le emozioni che pervengono alla nostra anima procurano più capacità per assimilare concetti e nozioni, fondamentali non solo per la nostra anima ma anche per il nostro stesso modo di vivere nella comunità in cui viviamo. Questo atteggiamento mostrerà poi al pubblico quello che siamo realmente: seguaci di Cristo. Dice il Signore “…dal modo in cui vivrete e vi amerete capiranno che siete fratelli”. In questo modo facciamo presente a chi ci osserva che nessuno come noi potrà mai avere a disposizione un Dio che ricorre all’invocazione del suo popolo perché è forte della Fede che Lui stesso ha consegnato al momento del nostro Battesimo. Tutte queste cose che riceviamo in dono perché fedeli in Cristo siamo obbligati a non dimenticarlo, anzi siamo tenuti a tramandarlo alla discendenza, per confermare che noi cristiani dobbiamo vivere col Cuore e non seguire la monotonia del giorno: così si realizza il volere di Dio, che dà piena attuazione alla Sua Legge. Anche Gesù, nel far rispettare la Legge che prevedeva l’osservanza dei Comandamenti rilasciati a Mosè dichiarò che era necessario tenere fede a quelle indicazioni e la Sua venuta non era in contrasto con quelle leggi e la Sua venuta anzi doveva servire a dare concretizzazione a quelle Leggi. Secondo Papa Francesco Gesù non evidenzia solo l’osservanza e la condotta esteriore ma va alla radice della Legge, puntando sull’intenzione, sul cuore dell’uomo, dove hanno origine le azioni, buone o malvagie. Per ottenere comportamenti giusti non bastano solo le norme giuridiche ma occorrono anche le motivazioni profonde, espressione di una sapienza nascosta, quella di Dio, che può essere accolta grazie allo Spirito Santo. E noi, attraverso la fede in Cristo, possiamo aprirci all’azione dello Spirito, che ci rende capaci di vivere l’amore divino. (Angelus, 16 febbraio 2014)
25 - LO SPIRITO SANTO
Frequentando da bambino la mia parrocchia e, nel contesto delle attività che vi si praticavano, ho prestato sempre una certa attenzione alla presentazione delle varie figure riportate nei testi sacri e, in particolar modo mi affascinava la SS. Trinità, forse perché essendo ancora fanciulli non si percepiva il significato di quanto ci spiegavano i nostri formatori che si trattava di tre persone , come dice il catechismo, “uguali ma distinte”, oppure perché la si considerava una triade composta da tre dèi provenienti dalla medesima origine, ma era una definizione che lasciava spazio ad altri interrogativi. Effettivamente riguarda un tema molto complicato ma la sua conoscenza può rivelarsi più semplice se lo si considera dal punto di vista puramente spirituale. La differenza espressa è che mentre tutto ciò che riguarda l’uomo si cerca con la ragione e quindi con i parametri della propria conoscenza, nella fattispecie spirituale bisogna elevare la propria ricerca spirituale a livelli un po' più alti, semmai caratterizzati da affinità elettive abbastanza delicate. E’ come dire che per cercare la risposta ai tanti perché che ci si pone ed ai quali vogliamo dare una risposta, dobbiamo fondamentalmente porci su livelli di espressione spirituali molto più concentrati. Ci hanno sempre raccontato sia di Dio che di Gesù perché più attinenti alla preparazione religiosa dei bambini ma, col passare del tempo, la figura dello Spirito Santo a me appariva sempre più enigmatica, in quanto non se ne parlava tanto e poi perché offriva spunti di riflessione abbastanza complicati da chiarire. Con l’età adulta questo vuoto di indicazioni ha avuto la sua spiegazione. In realtà, parlare del Protettore o Paraclito, come lo ha definito Gesù, è rivolgere la propria attenzione alla terza persona della Trinità che, con l’ascesa al cielo di Cristo, è stato inviato affinché il mondo redento con la morte di Cristo, potesse adeguatamente incamminarsi sulla strada della salvezza mediante l’accompagnamento dello Spirito Santo, il Fuoco di Dio che accende i cuori, che dona al fedele intelletto e sapienza necessari per comprendere meglio la propria destinazione ed il proprio fine. Ma mentre Dio e Gesù sono stati sempre ampliamente descritti, di questa Terza Persona non si mai conosceva di più , così come quali caratteristiche gli erano attribuite oppure quale atteggiamento bisogna assumere nei Suoi confronti, cioè come pregarlo ed invocarlo? Sono temi e domande che l’uomo sempliciotto, quello di strada per intenderci, non comprende e non sa esprimere perché non sa di cosa sta trattando e come deve porsi per poterLo studiare, un po' come è capitato a noi che ancora acerbi di età, non avremmo mai potuto comprendere concetti straordinari che riflettevano dogmi e dettati teologici e filosofici di alta considerazione. Ma, perseverando nella necessità di comprendere anche le più recondite spiegazioni di questa natura, si è in grado oggi di potere affermare di avere inteso, almeno in gran parte, quale sia il significato di una vita spesa all’ordine dello Spirito Santo, in quanto si è pervenuti ad una conoscenza di più ampio raggio rispetto a quello in dell’età fanciullesca e di aver quindi capito che questa “divinità” è di tutto rispetto al pari delle altre della SS. Trinità. Sullo Spirito Santo sono stati scritti e si continuano a scrivere centinaia di libri elaborati da Santi, Dottori della Chiesa, mistici, scrittori, saggi e filosofi per cui ogni cosa risulta essere ridetta migliaia di volte, ma nel nostro piccolo possiamo anche noi dare un piccolo contributo. Oggi diremo che una breve, ma esatta indicazione, la possiamo segnalare circa l’atteggiamento da assumere per porsi in attenzione verso lo Spirito Santo che non è un elemento virtuale, una energia astrale, una forza energetica che può avvolgere con la propria forza chi ne richiede l’aiuto. Egli è effettivamente una persona, come lo è stato Gesù, e come tale in grado di operare miracoli, di tutti i generi. Infatti, come Spirito Consolatore aleggia costantemente su ognuno di noi è operativo ed in perenne attesa di entrare in azione, una guida che ci accompagna 24 ore al giorno e si presta sia per aiutarci a comprendere la volontà di Dio che per donarci la pace interiore, perché ha il merito di porci in comunione con la Chiesa. Ma le potenzialità del Dio Spirito non si fermano certamente qui. E’ notorio come Egli possa donare all’uomo doti come saggezza, intelligenza, consiglio, forza, conoscenza, pietà e timore di Dio. Dunque, comprendere e accogliere lo Spirito Santo è un’esperienza basilare per crescere nella comunione con Dio, diffondendo l’amore e la misericordia nel mondo. La Sua azione, silenziosa e prudente, ci investe nel momento in cui il nostro cuore si apre alla Sua intercessione per beneficiare della Sua benedizione. Come altri elementi di fede, lo Spirito Santo ci viene attribuito in sede di Battesimo ma non interviene mai se la nostra bocca ed il nostro cuore non ne richiedono la diretta partecipazione. Purtroppo, la nostra marcata ignoranza in materia fa sì che tutto ciò non possa sempre realizzarsi, con grave pregiudizio per noi stessi e per la mancata utilizzazione di un apporto miracoloso che soggiace solo alla nostra volontà. In gergo calcistico, anche se non è proprio il caso, diremmo che si tratta della riserva della squadra che, in caso necessità irrompe sul campo e fresco della propria potenza può – e lo diventa realmente – essere il giocatore vincente che con la Sua grande forza riesce a controbattere le azioni malefiche del nemico e segnare il punto della decisione vittoriosa. E’ un vero peccato non poter fruire dei Suoi servizi, delle Sue potenti intercessioni, dei miracoli che compie ogni giorno nella vita di tante persone che gli si rivolgono con devozione e passione. Racchiudere la concretezza dell’azione dello Spirito Santo in quattro righe non è tanto indicato né giusto, visto che si parla di concetti delicati, trattabili solo da chi già vive di esperienze subliminali e che sia già intellettivamente predisposto ad interloquire con la terza persona della Santissima Trinità che si presta al nostro ascolto perché è attento alle nostre necessità e pronto a presentarci l’alternativa con cui risolvere i nostri problemi, quelli di persone adulte che invece di prestare ascolto come fanno i bambini che hanno voglia di sapere ma non possono ancora comprendere, tralasciano questo Dio, quasi disoccupato, che gira per il mondo in cerca di lavoro spirituale cui adempiere.
26 - LA FORZA DEL PERDONO
In un documentario televisivo è stato trasmesso il filmato relativo all’omicidio di un giovane da parte di un altro giovane, un grave delitto peraltro perpetrato per futili motivi. Scoprire le modalità dell’omicidio e assistere all’assoluta indifferenza con cui l’omicida si presentava alle telecamere è stata una cosa sconcertante ed inaudita. Il filmato era attinente all’episodio che si era consumato qualche anno prima ma stavolta veniva riprodotto per le belle e positive conseguenze che aveva originato. Tutto è successo durante le fasi del processo durante il quale la moglie della vittima, nonostante il grande dolore che le era stato procurato, aveva incrociato più volte lo sguardo non solo dell’assassino ma anche della sua sventurata mamma che, ancora incredula per il misfatto causato dal figlio, lanciava disperazione da tutti i lati. Tale circostanza era stata carpita dall’altra donna che, in una di quelle sedute giudiziarie, con uno slancio d’amore e d’altruismo abbracciò l’altra mamma e silenziosamente riversò su di lei tutta la condivisione di dolore che aveva colpito entrambe. E’ stato l’inizio di una commovente e incredibile storia, fatta di ideali, di valori, di sinergia e di volontà. Forti della tragedia che le aveva investite avevano concepito come dal dolore si poteva creare un’ alternativa di bene che producesse solo opere di bene. Così hanno deciso di costituire, come in effetti hanno fatto, un’associazione che si occupasse dei tanti giovani che, per la brutta sorte toccatigli, si sono macchiati di simili gravi delitti. Con tale organizzazione, in pochi anni hanno seguito e continuano ad assistere diversi giovani che, grazie a tale iniziativa possono ripensare sul male causato e così pentirsi del malfatto. Grazie alle agevolazioni penitenziarie ministeriali attuali stanno oggi beneficiando della possibilità di realizzare qualcosa che possa apportare stavolta solo benefici anche ad altri, magari dandosi all’imprenditoria, alla professionalità mediante consulenze oppure partecipando a campagne di istruzione presso scuole ed istituti scolastici per portare la loro personale esperienza e, principalmente, la loro testimonianza di pentimento, che ha finalmente portato anche un po' di serenità nei loro cuori. Così da un’azione di morte essi hanno dato vita ad una azione di gioia, un gesto di amore che li porta al cuore di tanti altri giovani che, apparentemente, vivono all’ombra della solitudine e della incomunicabilità. Riepilogo: il bene si può predicare solo parlando e facendo del bene! Una storia che è nata dal sangue versato da una persona che con la propria vita ha originato altre storie, stavolta di redenzione. La perdita di una cara persona, di un familiare o di un amico, in termini di sentimenti costa molto e chi resta provato dal dolore e non credo che possa facilmente smaltire serenamente ciò che sente interiormente. Eppure l’azione posta in essere da quella giovane vedova nel giorno della sentenza processuale, caratterizzata da quel slancio fraterno e solidale verso l’altra donna, sono certo che sia stato originato dalla consapevolezza che quel qualcosa che ha portato la morte ed il dolore non poteva vincere sulla forza amorevole che le era stata donata dal Signore, Padre della vita e che, grazie all’azione consolatrice dello Spirito Santo ha vinto ogni sorta di ritrosia, concedendole di catapultarsi verso la condivisione del sentimento di solidarietà, unica certezza per affrontare – in modo totalmente diverso - la vita di entrambe. Questo fatto mi ha dato lo spunto per pensare e riflettere su ciò che capita un po' a tutti noi nella vita di tutti i giorni e mi è venuto naturale, dinnanzi a tale gesto generosissimo, riportare alla mente tutte quelle volte, specie in circostanze caratterizzate da futili motivi o da liti puerili, in cui ci ritroviamo di fronte ad altre persone di cui semmai non tolleriamo il comportamento o delle quali forse non accettiamo le opinioni enunciate e ci mostriamo duri, efferati non disposti a tollerare il contrario avviso. Se ci facciamo caso tali situazioni ne capitano in grandissime quantità ma solo in pochi casi si dà importanza alle conseguenze prodotte e solo allora ci si rende conto della superficialità con cui sono state trattate. Questo perché la corazza che ci riveste, fatta di esperienze e vita vissuta, fa da scudo alle eventualità con cui veniamo a contatto e la reazione che ne scaturisce resta alterata dai sintomi di intolleranza e di pregiudizio che nel corso degli anni ci siamo costruiti e che ci portiamo ancora dentro. E’ ormai infatti appurato che la indisponibilità al perdono può variare per motivi vari, come l’orgoglio oppure il timore di essere di nuovo feriti, ma se guardiamo all’esterno, noteremo come anche la cultura e l’ambiente sociale in cui siamo intercalati possono influenzare la nostra propensione al perdono. Solo se alla base di ogni ragionamento intravediamo la possibilità di riportare i nostri animi allo stato di pace interiore e la possibilità di intelare nuovi rapporti sociali più sani e vivibili potrà nascere la certezza di poter cambiare radicalmente il nostro parere e di affidarci alle nuove e rosee prospettive per il futuro. Infatti, un cambiamento di atteggiamento può comportare benefici ed effetti sicuramente positivi non solo per la sfera mentale e salutare, ma anche in quella emotiva tant’è che sia il risentimento che il livore nascosto dentro di noi rodono il livello di stress, incrementano l’ansia e nello stesso tempo influenzano le relazioni con l’ambiente che ci circonda. Quindi, è importante notare come il perdono sia un atto di liberazione personale che può portare a una vita più felice e appagante ma non deve apparire in alcun modo come un atto di codardia oppure una giustifica per dimenticare l’offesa. Una corretta valutazione del problema è proprio la difficoltà di poter o voler eseguire una adeguata disanima del proprio atteggiamento, cioè rivolgere l’attenzione su di sé, perché è certo che solo realizzando una radicale introspezione personale si potrà raggiungere un livello soddisfacente di autoesame. Solo se procediamo in tal senso il riconoscimento degli errori comporterà una umanizzazione dei sentimenti, ed offrirà la consapevolezza chiara e precisa delle proprie risorse, rendendo chiare le responsabilità proprie; in altre parole libererà contestualmente l’animo afflitto da questo peso divenuto insostenibile. Mi chiedo quanti di noi avrebbero fatto lo stesso gesto di quella donna, quanti avrebbero concesso non solo il perdono ma anche la disponibilità ad offrirsi per inculcare il lume della ragione e della consapevolezza. Oggi, grazie all’azione delle due donne tanti ragazzi, avviati sulla strada della perdizione si sono ravveduti e sono divenuti testimoni di legalità e di impegno verso nuove libertà. E’ la forza del perdono che ha prodotto e ancora produce tanto! E’ quella spinta che viene dal di dentro e che nessuno, proprio nessuno, potrà mai generare se non in forza dello Spirito Santo, spirito di pace e di amore. Papa Francesco richiama tutti, spesso e con sollecitudine, al ravvedimento ed al perdono perché questo dono non è un premio che si vince in qualche gara ma è frutto dell’esperienza dell’incontro col Signore, dell’amore con cui Egli ci cerca, bussa alla nostra porta e ci invita a dialogare con Lui. Ed allora la domanda che ci dobbiamo porre è :”ho anch’io incontrato il Signore? oppure “faccio sì che io possa incontrare il Signore?”, perché è solo in quell’incontro che si trova la grazia necessaria per affrontare i dolori e le incognite del futuro, ed è solo con la grazia che saremo forti e spinti verso tutti gli slanci che la vita richiede. Sant’Agostino affermava: “ guarda da una parte e dall’altra, cerca il merito, e non troverai niente, soltanto grazia. È pura grazia, pura gratuità, un dono inatteso che apre il nostro cuore allo stupore davanti alla condiscendenza di Dio”. Dunque, la grazia ci concede la forza dello stupore, l’energia prorompente che trasforma la nostra sensibilità e la mette al centro del nostro cuore.
27 - FORZA E CORAGGIO
Mi capita spesso di fare incontri per strada che oltre a farmi piacere per la compagnia spesso mi danno l’opportunità anche di esternare qualche mio commento sulle varie circostanze che mi si presentano. Di recente ho avuto la possibilità di un lieto incontro con una persona che, dopo aver letto di alcune mie asserzioni, mi ha chiesto molto garbatamente che avrebbe avuto piacere di poter dialogare con me su alcuni argomenti. Abbiamo quindi iniziato questo colloquio che si è fatto sempre più interessante perché si è passato da uno scambio id idee ad espressioni di concetti ed interpretazioni di contenuto molto più sostanziose. Al termine dell’incontro, quasi come da commiato, egli faceva emergere dalla sua posizione concettuale che è giusto, per noi credenti, dover adempiere alle prescrizioni dettate dal Vangelo e dalle Sacre Scritture, ma talvolta riesce difficile, non per volontà personale, ma perché si è presi dalle vicissitudini della spirale quotidiana che non lasciano tanto spazio per dedicarsi alle “funzioni religiose” o alle celebrazioni che si tengono in chiesa e, proprio per questo non si è attenti ai suggerimenti che vengono proposti, perché si è distratti dalle cose terrene e non interessati invece alle cose più indispensabili da fare. Quindi, la domanda è: come o cosa fare affinché potessimo dare più attenzione alle attività spirituali e religiose? Per dare una giusta risposta a questo quesito avrei dovuto iniziare dalla Genesi, ripercorrere tutto l’excursus della cristianità fino ad arrivare alla morte e resurrezione di Gesù Cristo ma per fornire giusto interesse al ragionamento mi sono limitato a raccontare e ricordare all’amico interlocutore due avvenimenti che potevano sintetizzare in generale le risposte a ciò che lui chiedeva. La prima riguarda ciò che è successo alla Sacra Famiglia all’atto della presentazione di Gesù al Tempio. Come riporta il Vangelo, e come da disposizione della Legge di Mosè, si disponeva che per potersi purificare (la donna dell’epoca era considerata impura per 40 giorni dopo il parto) i genitori avrebbero dovuto offrire un sacrificio all’atto della presentazione del proprio figlio. Quindi, proprio quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe portarono il Bambino al tempio per offrirlo e consacrarlo a Dio. Nelle tante raffigurazioni presentati dalla storia cristiana, sono inquadrate diverse figure che partecipano all’evento ed ognuna di esse identifica un proprio significato: Maria, che riveste il valore della purezza e della semplicità; Giuseppe, che assume il valore dell’obbedienza alla Legge; Gesù , che interpreta l’incontro col suo popolo; Simeone, che rappresenta il fedele giusto, guidato dallo Spirito ed Anna, l'anziana profetessa che presta il suo servizio al Signore. In questo contesto, dunque, mentre adempiva all’obbedienza al Padre, Gesù si lasciava andare nelle mani degli uomini, rispondendo alla loro Legge. Simeone, uomo giusto e pio, pur non avendo mai visto o conosciuto questa nuova famiglia che faceva visita al Tempio prese Gesù fra le proprie braccia ed enunciò quel cantico che prese nome “Nunc dimittis”, un inno che si recita ogni giorno nella Compieta in cui egli chiede di poter andare in pace perché ha visto la Promessa mantenuta di Dio, la Salvezza mediante il Suo Figlio Gesù. Ma come è possibile che oltre ai due astanti nessuno si accorge dei componenti la Santa Famigliola di Nazareth? Dio, come si nota, non concede e né tantomeno concederà nei secoli a venire, tale opportunità a tutti, ma solo ai “chiamati”, a coloro che sono dotati di umiltà e disponibilità al richiamo del cuore. Già con la Sua nascita Gesù aveva attratto a sé gli umili pastori e aveva snobbato tutti gli altri, adesso si abbandonava alle mani sapienti e fedeli del vecchio Simeone e della anziana Anna, ma non si presentava al popolo presente nel tempio. Solo chi ha il cuore pronto a ricevere il dono, ed ha disposto il proprio cuore al Signore può avvisarne la presenza, solo chi è attento agli eventi può comprenderne il significato. L’oggi è considerato come il periodo in cui il sistema avvolge imbrigliando la mente ed il cuore, oscurando “luce che ha illuminato il mondo”, perché siamo indaffarati in tutt’altre cose, non curanti che il tempo ad esse dedicate ci portano fuori gioco delle nostre vere attenzioni. Simeone ed Anna non avevano mai visto Giuseppe, Maria e Gesù, come avevano fatto dunque a capire che essi erano lì per loro? La loro fede e la conoscenza della Parola di Dio li aveva spinti verso di loro per entrare in una nuova realtà. Ciò significa per noi uomini di oggi che se non prestiamo ascolto e ci rivolgiamo con cuore sincero alla Parola di Dio, lo Spirito che è sopra di noi non ci indicherà mai come comportarci e dove dirigerci per trovare e per abbracciare Cristo. Per poter proseguire occorre che la nostra vita sia diretta non verso le cose materiali che quotidianamente ci prendono, ma debba riservare tutto lo spazio necessario per alimentare ciò che è in noi il fuoco che accende i cuori, la fede. E qui subentra il secondo evento, molto noto, presentato della Parola di Gesù e che riguarda il Vangelo di Matteo : “ In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?». La barca in balia della tempesta rappresenta non solo la società di oggi ma anche della Chiesa, che in ogni epoca incontra segnali controversi ed ostacolanti. Si potrebbe pensare che in quelle circostanze Dio abbia abbandonato sia la Sua Creazione che la Sua Chiesa, ma in realtà è proprio in quei momenti che risplende maggiormente la testimonianza della fede, dell’amore, della speranza. Cosa ci fa comprendere questo evento? Innanzitutto che Gesù è sempre presente in mezzo a noi, non si fa notare ma è pronto all’azione! Ad ogni richiesta, prima ci fa notare quanto sia minimo il valore della nostra fede, nonostante la Sua presenza, e poi interviene per riportare in noi la calma e per dimostrarci, ancor più, che risponde alla nostra chiamata, anche se titubanti ed indecisi. Quindi, anche in questo caso Gesù, recalcitrante alla fede dubbiosa espressa dai Suoi stessi Apostoli (oggi rappresentati dal Suo popolo fedele), è cosciente della piccola forza mostrata dai seguaci, dalla incapacità di far fronte alla vita con la fiducia dell’operato divino ed interviene sempre e comunque a difesa del suo popolo. Alla fine, la risposta con cui mi sono accomiato dall’amico è che l’uomo deve abbandonarsi completamente a Dio, alla Sua volontà, che mira sempre a qualcosa che non riusciremo mai comprendere se non siamo in linea con il Suo Mistero. Ciò significa approfondire il significato della Sua Parola che insegna, dirige ed assiste in ogni momento il cammino percorso dai propri figli. Solo in tal modo sapremo dare veramente un senso alla nostra vita attribuendole un valore ed un significato vitale che comportano, inevitabilmente, priorità all’appartenenza a Dio.
PARTE TERZA
DISCERNIMENTO E CONSAPEVOLEZZA FAMILIARE
28 -UN UOMO, UNA DONNA, UNA FAMIGLIA
Cosa può fare e come può influire il discernimento nel contesto familiare? Se il nucleo familiare resta inglobato nel concetto che ne fa solamente di una parte della società e che partecipa agli avvenimenti quotidiani, allora diventa sterile allocare la sua posizione nella scena della storia. Se, invece, tale nucleo è considerato come fulcro di tutta la dinamica sociale, allora si deve necessariamente rivalutare sia il concetto di famiglia che tutto ciò che ad essa si riferisce. In questa ottica così è capitato che nell’ambito del progetto parrocchiale di avviare il previsto corso di catechesi per le giovani coppie prossime alle nozze, mi è stata data l’opportunità di avviare il cammino di preparazione e/o formazione cristiana al matrimonio, improntando il tutto sulla consapevolezza necessaria per porre solidità alla prossima costituzione familiare. Il concetto di base è che bisogna doveroso porre in esame innanzitutto la mentalità che sia la nozione di famiglia inteso nella sua socialità che in quello puramente religioso debba ricevere una importanza basilare per il successo del ménage stesso e per poter costruire un legame tra le varie risorse espresse dai componenti della stessa. Devo ritenermi fortunato di questo invito molto gradito non solo perché mi dava l’opportunità di confrontarmi con giovani di diversa estrazione sociale e professionale, ma anche per darmi l’opportunità di prestare il mio personale contributo alla loro riflessione che, possiamo senza dubbi riconoscerlo, non sempre considera in modo preventivo gli aspetti e gli sviluppi del matrimonio. Questi cicli di incontri poi si sono susseguiti nel corso del tempo ed ormai da tempo ho il piacere di incontrare queste belle realtà per dialogare con loro circa le problematiche, dal punto di vita prima di tutto prettamente cristiano, che potrebbero incontrare nella loro vita. In particolare ciò che mi coinvolge di più è l’assetto giovanile, quello relativo ai prossimi sposi, ai quali tengo principalmente per rappresentare loro quelle che sono le finalità del prossimo matrimonio ed i molteplici aspetti della vita coniugale. Devo sottolineare innanzitutto la ricchezza che mi producono questi incontri in quanto l’atteggiamento degli intervenuti, prima guardingo e poi espansivo, penetra nella mia umanità rifornendola di elementi molto utili alle mie riflessioni, tant’è che alla fine riuscendo un po' a fare il riepilogo di tutto ed a tirare le somme sulle nuove conoscenze acquisite, riesce facile annotare che gli incontri si sono incentrati con maggiore importanza sulla composizione della famiglia non intesa come quantità di persone che la formano, ma come insieme di risorse e di patrimonio individuale che si uniscono nell’unico ideale , quello matrimoniale. Questo percorso delineato proprio per i fidanzati è volto a favorire la loro crescita umana e spirituale e con esso si tende ad aiutarli a rileggere l'esperienza del loro amore alla luce del Vangelo: è quindi un cammino rivolto a tutti i giovani che vogliono vivere più in profondità la ricchezza del periodo di fidanzamento per cui è fondamentale non parlare solo di famiglia intesa come struttura sociale ma in particolare va considerata sotto l’aspetto religioso quale nuova e prossima composizione dato che il concetto base è che la famiglia prima che appartenere alla società appartiene a Dio, perché da lui costituita. Papa Francesco è consapevole della leggerezza con cui oggi tante coppie di giovani affrontano il senso matrimoniale per cui richiede maggiore coinvolgimento anche da parte della circostante comunità mediante corsi, incontri e preparazioni adatte a dare consapevolezza alle scelte degli sposi, sempre presi dalle più frivole attività dei preparativi. Per questo motivo egli precisa che il matrimonio va inteso come un puro cammino di maturazione che non deve basarsi su aspettative troppo alte. Secondo la sua personale visione bisogna inculcare nella mentalità dei giovani che la parola del Signore - per quanto difficile - sia da intendere come profusione di grande gioia perché per ricolmare i cuori e la propria vita bisogna solo aderire al Suo progetto, il resto saranno la Sua opera e la Sua Parola a dare una risposta per ogni necessità. La base di partenza è quella che in realtà il nostro pensiero deve adeguarsi a un nuovo modo di concepire la coppia. Quando ci domandiamo infatti se la religione, o meglio, il Vangelo di Cristo potrebbe essere visto come una soluzione ai nostri problemi, la risposta che ci troviamo di fronte è affermativa nella misura in cui sappiamo trarre dalla narrazione dei fatti, dagli eventi indicati nel Vangelo, la corrispondente verità, la morale, o la spiegazione al nostro problema! Si potrebbe obiettare che sono belle parole ma di difficile considerazione e quindi di applicazione. Ciò è vero, si tratta di una annotazione giusta, e per questo prendiamo in debita considerazione il significato. Partiamo allora dalla base, ovvero dalle fondamenta, d'altra parte una casa senza fondamenta non dà sicurezza e comunque pregiudica la sicurezza e la stabilità dell'intero fabbricato; la famiglia che non pone i suoi pilastri sulla concretezza delle proprie consapevolezze rischia di crollare di fronte agli scossoni della vita. Non vogliamo dire che la famiglia improntata nel carisma cristiano sia immune dai pericoli che sono al di fuori della porta di casa ma, forte delle energie che le sono state impresse dalla formazione e dalle convinzioni cristiane, potrà sicuramente ad affrontare simile avventura. Non a caso il presupposto principale che va considerato è che l'uomo e la donna non sono soltanto due persone, due corpi, due fisici, due materialità; essi rappresentano specialmente due mondi autonomi, complessi e straordinari che oltre al proprio materialismo sono fatti anche di risorse intime ed indecifrabili; ognuno ha le sue potenzialità, perché Dio ha concesso loro di essere semplicemente unici nel senso che non si troverà mai una persona uguale ad un'altra, magari ci potrà essere una certa assomiglianza nei caratteri psicosomatici o anche in quelle caratteriali ma mai una vera e propria uguaglianza. Chiediamoci infatti perché Dio non ci ha creati in serie e perché ci ha fatti in modo esclusivo. Ci è sempre stato detto che Dio ha creato l'uomo e la donna per far costruire la famiglia , ma è una frase ridotta ai minimi termini; in realtà la creazione di queste due figure è collegata alla creazione di un mondo nuovo in cui due diverse realtà si fondono per diventare un unico centro di interesse e da cui si svilupperanno quelle risorse e tutti quegli elementi che caratterizzeranno il regno voluto da Dio. Quindi non Creati per essere singoli, ma per appartenere al mondo, per abitarlo, per rispettarlo, per renderlo ricco e gioioso agli occhi del Signore. In altri termini l'uomo e la donna devono congiungersi innanzitutto a livello relazionale per modificarsi, integrarsi e migliorarsi affinché la successiva vita di coppia sia una diretta e felice conseguenza di quanto unito; in questo modo i rispettivi caratteri senza alcun dubbio si auto modificheranno ed anche se tante volte si farà muro contro muro, o snobbare l’altrui intelligenza , o far prevalere la propria idea sull'altro, sarà tutto fuoco di paglia. Di scaramucce ce ne saranno a migliaia e termineranno in pace o muso lungo a seconda se uno dei due saprà fare il passo della riconciliazione; questo momento costituirà la fase fondamentale per la crescita della relazione di coppia. Molte volte anche avendo ragione in una discussione bisognerà scusarsi come se si avesse avuto torto; è un atteggiamento difficile da adottare perché risulta strano che questo genere di questo comportamento porterà la consapevolezza che farà cambiare, apportando beneficio alla relazione con il partner. Il rapporto che vede la coppia partecipante alla realizzazione del progetto Divino inizia come da manuale per cui si sarà prima cosa l'incontro, seguirà la conoscenza reciproca che comporterà l’inevitabile innamoramento al cui interno si rivedranno le affinità del fidanzamento, il matrimonio e quindi la famiglia. Quindi tutto ciò che essa farà sarà una diretta conseguenza di ciò che Dio pone in essi per far conoscere la propria volontà, fatta di amore e di misericordia. Posto in questi termini la scelta, quasi obbligata, dell’unione tra i due fidanzati, ci si può porre la domanda se effettivamente non dovremmo dar ragione alla definizione della religione che ne dà qualche formazione politica di estrazione comunista che la considera come oppio dei popoli: la risposta potrebbe essere di sì se proseguissimo in questa direzione ma come sempre c'è una sostanziale differenza: infatti, in definitiva non è vero che l’uomo deve sentirsi come “obbligato” in quanto costretto a fare scelte predeterminate perché se è pur vero che Dio ha “visto” la possibilità di far congiungere due diverse realtà per Suo compiacimento, alla fine di ogni singola circostanza Dio stesso ci lascia il libero arbitrio, ovvero la facoltà di prendere decisioni diverse da quelle che aveva scritto nel futuro di una determinata coppia, per cui siamo saranno sempre i due interpreti a scegliere cosa e come voler operare. In questo percorso si sviluppano tanti elementi che evidenzieranno le virtù e i difetti del futuro della coppia: ricordiamoci infatti che gli sposi lasceranno padre e madre per unirsi e costituire una carne sola. È vero che ognuno è attratto dalla bellezza del compagno, della compagna, dagli atteggiamenti, dal sorriso, da altri elementi piacevoli ma quando oltre a questo incontro vi è anche l'apertura del cuore nell'altro soggetto solo allora potremo dire che è veramente scoccata la famosa fiamma d'amore. I due soggetti inizieranno a prendersi cura dell'altro reciprocamente quasi per forza di inerzia ma devono sapere che si tratta di una consapevolezza che viene da lontano, da un’appartenenza Divina, ed è proprio in questo legame che si deve evidenziare la riconoscenza al Signore. E’ in questa chiave che troviamo la risposta alla domanda quasi rituale del perché bisogna sposarsi in Chiesa e non basterebbe dare il proprio consenso in Comune? Ci si sposa in chiesa per dare senso reale al desiderio espresso da Dio nel vedere compiere il miracolo dell'unione tra i due suoi prescelti, cioè gli sposi. Quindi ritorniamo al concetto di base che non siamo noi a scegliere il convenuto ma è Qualcun’altro che lo consente al fine di poter creare le condizioni per realizzare il Suo disegno su questa terra. Quindi se il Signore ha progettato un suo disegno per ognuno di noi, col matrimonio egli unisce due strade e due progetti per realizzarne uno solo: questo è il principio per cui essi avranno un'unica vocazione. Egli nel selezionarci ci affida un compito non proprio facile: costruire, formare, rafforzare una famiglia cioè quella cellula primaria della società che dovrà diventare Santa per Suo diretto intervento e se non dimentichiamo che il Signore ci offre il suo aiuto in ogni istante della giornata allora non abbiamo motivo di non aver Fede e nell'essere fiduciosi e per essere consapevoli se lo siamo o meno andremo a verificare il sistematicamente il nostro rapporto con Dio. Come? Dio parla di ognuno di noi ed in ognuno di noi a seconda del carattere, della personalità, delle emozioni, dei sentimenti o, infine, a seconda del lavoro che svolge o degli incarichi che riveste e noi siamo obbligati a rispondergli per ricevere la parte di Santità e per beneficiare delle sue infinite Grazie. Il cammino che gli sposi devono intraprendere con la vita coniugale non può basarsi solo sul proprio amore, non basta che raggiungano un livello di perfezionamento che consenta loro di vivere a pieno la bellezza della loro unione. Bisogna che essi rivitalizzino ogni giorno quell'amore, per far sì che esso diventi il motivo centrale della loro vita di coppia, con la pazienza, la benevolenza, l'altruismo ed il Perdono. Nell'amore tra i coniugi si evidenzia l'amore stesso di Dio, nel comportamento degli Sposi si deve ricalcare il concetto espresso da Dio, quindi gli sposi non devono farsi sorprendere dall'istinto e lasciarsi prendere dal desiderio di reagire, controbattere a chi offende. Attenzione però perché l’essere pazienti non vuol dire soggiacere supinamente alla supremazia o alla tirannia di chi detiene la forza dominante, ma sta a significare che la presa di coscienza del torto subito non impone altresì di reagire impulsivamente: la pazienza non è una semplice accettazione della sottomissione ma diventa un meccanismo nel quale la nostra coscienza prende forza e si consolida. Da questo momento in poi prendiamo consapevolezza di fare bene e del bene. La pazienza non è un sentimento ma un movimento che porterà solamente al bene. E nel vivere con amore ci si accorge che l'io lascia il posto agli altri. Se permettiamo al male di entrare nella nostra vita e ancor di più nel nostro intimo corriamo il rischio di annidarci dentro un rancore che crescerà sempre di più, perché invaderà tanti aspetti della nostra vita crepando l’equilibrio finora mantenuto. Così facendo inizierà ad originare diverse forme di ritorsione o di vendetta, mentre il perdono rende accomodante ogni situazione e possibile ogni genere di pace. Nel contesto familiare i gesti che si producono ingrandiscono l'unione tra i componenti e li fortifica allo stesso tempo perché evidenziano quel legame sentimentale che contraddistingue ogni movimento. Papa Francesco ripete che semplici parole come “Permesso, Grazie, Scusa” debbano essere all’ordine del giorno ed evocate spesso per poter dare più senso alla vita familiare; infatti quanti silenzi pregiudicano e causano danni alle famiglie per voler a tutti i costi imporre la propria personalità sugli altri. Padre Matteo La Grua, indicava spesso le condizioni da osservare per ottenere un buon cammino unitario della Coppia: egli interpretava l'unione degli sposi non come l'inizio di una favola bensì come la sua fine, poiché col matrimonio finiscono le belle cose che ci si aspetta di avere ed inizia una nuova vita, scura ed ignota, che nasconde ogni possibile novità alle proprie idee, perché nei giorni che seguono la celebrazione del matrimonio gli occhi dei giovani sposi si spalancano sulla scenografia della realtà e così loro iniziano ad interpretare non più il ruolo degli spettatori bensì quello degli attori del film che si gira, un film la cui trama si basa esclusivamente sull'abbandono al partner, all'amore e alla fiducia che si ripone nel coniuge. A chi gli chiedeva consiglio a padre La Grua di come raggiungere l’equilibrio nell'unione padre egli rispondeva che la realtà va affrontata con coraggio unitario e con fede per cui gli sposi non devono dar retta a parenti ed amici ma hanno un solo obbligo: sentire il peso delle proprie responsabilità perché la voce dei sentimenti ha un lasso temporale definito, quello della vita e non si può creare una famiglia basandola su criteri e parametri che hanno una limitata validità temporale; invece bisogna costruire qualcosa che duri di più nel tempo, che sopravvivesse alla stessa morte e che rispondesse a quell'amore giurato davanti a Dio, che si presterà a dare conforto ad ogni nostra azione e contro cui nessuno potrà mai prevaricare.
29 - IL PRIMO FIGLIO
Questo è un argomento relegato alla marginalità degli interessi ma che come tante altre persone l’ho sempre considerato degno di attenzione: la nascita dei figli in una famiglia, costituisce una fase lieta e nello stesso tempo terrificante in un contesto familiare perché vi origina un terremoto nelle relazioni sia nella stessa famiglia che nella rete dei consanguinei. La cosa, poi, diventa ancor più interessante ed intrigante dal punto di vista organizzativo allorquando si va a riflettere su ciò che accade o accadrà nel momento in cui si parla esclusivamente del “primo bebè”. Piacere, sorrisi, gioia, imprevisti e quant’altro sono e saranno all’ordine del giorno per cui credo che sia inevitabile non tenerne conto. Cosa succede nella realtà? In tante neo famiglie solitamente si pensa giustamente - prima o poi - di incrementare il numero dei componenti e di progettare l’arrivo di un bebè. Oggi tale decisione riflette una scelta ponderata, viste le accresciute necessità occorrenti per sostenere le spese della composizione così configurata. Ma tanti altri aspetti, invece, nell’analisi dei futuri genitori scappano alla loro attenzione, forse perché sono considerate prerogative incluse nel “pacchetto”, ma tali fattori andrebbero anche considerati sotto altri punti di vista. Argomentare quindi la nascita del primo figlio in una famiglia costituisce un grande momento di riflessione e consapevolezza. Infatti, come è ben immaginabile, l’arrivo di un figlio all’interno di un nucleo familiare comporta per prima cosa un disequilibrio della normalità e delle operazioni che si facevano precedentemente. Per certi versi non si tratta solo di un improvviso cambiamento delle abitudini cui si era molto piacevolmente abituati a fare ma quello che invece preme forse di più è un altro elemento critico, forse il più imbarazzante: il disagio, cioè quello stato di cose che vede costretti i neo genitori a fare cose mai fatte prima ed a sottostare a determinate cose che molto difficilmente si sarebbero fatte prima, e questo in virtù della presa di conoscenza di un nuovo stato familiare. In questa circostanza si è consapevoli che tutto ciò che prima si faceva regolarmente in seguito sarà difficile, se non impossibile, effettuare senza una ferma coscienza che ad ogni azione cui siamo diretti corrisponderà un livello di responsabilità quasi interiore che anche se non è esternamente visualizzabile, certamente umanizza, in quanto avvolge il sentimento più puro che è quello dell’amore per la famiglia. L’arrivo di un figlio, quindi, comporta inevitabilmente una riorganizzazione nella struttura e nella movimentazione della famiglia. Già in questa delicata fase assistiamo ad un fenomeno mai registrato prima: l’innalzamento del livello di maturità della coppia, perché trovandosi di fronte a una serie di innovazioni nell’assetto familiare se non è preparata all’evento può diventare vittima di quei cambiamenti e riflettersi sull’equilibrio della coppia, portandola anche alla crisi. Durante il periodo di fidanzamento capita di parlottare sull’argomento considerandone solo l’aspetto positivo e tralasciando quelle che sono o potrebbero essere le difficoltà o gli imprevisti post matrimoniali; già in questa circostanza considerare solo la visuale positiva di quel tipo di futuro è un errore serio, perché ciò potrebbe pregiudicare il rapporto fresco fresco di istituzione, perciò ci auguriamo che ciò sia fatto solo a titolo di scaramanzia (anche se sappiamo bene che in tutto ciò che si fa siamo sempre e solo noi gli arbitri del gioco). L’arrivo di un bebè in famiglia è una rivoluzione copernicana, che non investe solo i neo genitori ma interessa anche le relazioni che ricorrono con gli altri parenti, specie con i neo nonni, con i quali vanno intessuti nuovi tipi di rapporti sociali, visto che si tratta di un evento multi generazionale (ci sono infatti i neo genitori, i neo nonni ma anche neo zii, i neo cugini, ecc,.). Che trasformazione! Ma andiamo per fasi: la prima che i prossimi genitori incontrano è la gravidanza. Solitamente la notizia di una gravidanza dà piacere principalmente alla mamma cui seguono subito le nonne e poi papà e nonni. In questo periodo son tutte rose e fiori: lo stato di grazia in cui si trova la donna contagia tutti coloro che le sono intorno. Si vive contemplando la gioia dell’arrivo che sarà, dei sorrisi impressi sul visino che esprimerà il nascituro, dei sentimenti con cui lo si allieterà per intere giornate stringendolo fortemente in braccio ma attenzione che è in questo momento che, per non restare delusi in seguito, non va dimenticato che il futuro non si scrive come lo vogliamo noi, che si presenterà bene o benissimo, ma purtroppo potrà nascondere anche qualche difficoltà; in tal caso non bisogna demordere ed anzi occorrerà trovare forza in qualcos’altro che possa infondere sicurezza e serenità. Quindi, si passa dalla leggerezza con cui si è goduto nel periodo dell’attesa alla depressione in cui ci si imbatte perché, purtroppo, le cose non sono andate come si desiderate o prospettate. Questa delicata situazione va affrontata subito perché l’immediatezza con cui si procederà fornirà coraggio ed energia per il prosieguo, è in questa energia che la nuova famiglia troverà il vigore per affrontare poi in futuro le sfide che le si presenteranno. A dare forza infatti non saranno solo il papà e la mamma, ma anche un bambinello che non sa ancora parlare con la propria voce ma che sa però dare voce al proprio cuore, con lo sguardo e la sua tenerezza. Con la nascita e l’ingresso tra le pareti della casa del nuovo ospite si va incontro alla fase due: lo sconvolgimento del ménage finora in corso: col varcare la soglia dell’entrata della casa il bebè romperà gli equilibri; non ci saranno orari prefissati per le cose prima standardizzate, come non ci saranno divertimenti o appuntamenti da poter programmare se prima non si è in grado di determinare i fabbisogni e le necessità del bimbo/a e quelli propri, ovviamente adattati alle circostanze. Come abbiamo evidenziato l’impreparazione a questa situazione da parte dei neo genitori può sfociare in continui distacchi, liti, e può arrivare alla famigerata crisi. Per questo va rivisto il rapporto familiare, che deve essenzialmente assestarsi su un altro tipo di equilibrio, che tenga conto delle variazioni da apportare. Infatti, la dinamicità con cui si sviluppa l’affiatamento marito – moglie adesso è leggermente aggravato dalla presenza di un terzo che, in questa circostanza diventa incomodo, ma lo è solo per il tempo strettamente necessario per accudire alle sue esigenze: fatto questo, infatti, il rapporto fra i due potrebbe tornare senz’altro nei limiti di quelle che erano le precedenti abitudini. Diventare genitori comporta necessariamente l’assunzione di un tipo di responsabilità cui non si era abituati, per il fatto stesso che non se ne era mai parlato o considerato. Ciò comporta timori e paure da affrontare subito, magari anche con l’aiuto di persone più esperte tra i quali spiccano ovviamente i nonni. Ma diciamo anche che ciò si verifica intorno al primo anno di vita, quando ancora il ritmo di vita del bambino non è tanto esigente quanto lo diventa tra il secondo ed il terzo anno, cioè quando la sua vita inizia a cambiare per la necessità di trovare altri contatti ed altre sensazioni, riducendo ancor più il tempo a disposizione dei genitori e riportandoli quindi ad una limitazione delle proprie risorse e della propria vita privata; ma ciò dipenderà sempre da come ci si vorrà approcciare alla vita a tre. Ed arriviamo adesso al terzo momento, per porci una domanda fondamentale: il figlio reale è anche ideale? I neo genitori hanno atteso nove mesi prima di poter vedere il proprio figlio/a e tale attesa, specie per il primogenito, è maggiormente avvertita. Nel periodo dell’attesa, essi hanno elaborato fantasticherie e progetti sul nuovo soggetto che sta per arrivare fino ad idealizzare un tipo di figlio che farà questo o quello, diventerà questo o quello, e poi, semmai, si vedrà cos’altro potrà fare. In altre parole i genitori hanno disegnato per il prossimo arrivato una programmazione ventennale, ed anche forse trentennale, che tiene conto solamente di ciò che loro vogliono o desiderano, mentre non hanno per niente valutato che quel nuovo arrivato è un cumulo di risorse che gestirà autonomamente e secondo modalità che egli stesso riterrà opportune e che non darà alcun riscontro alle proposte fatte dai confamiliari. Nelle considerazioni genitoriali programmate, infatti, non si è tenuto contro del suo stato fisico, delle sue emozioni, delle sue tendenze, della sua personalità, e si è agito in modo che non si sta per accogliere nel modo più congeniale il nascituro ma lo si sta solo già prevaricando, caricandolo di imposizioni cui loro sicuramente non vorranno sottostare. Per questo motivo il bambino crescerà attorniato da fantasie e desideri che contageranno ed influenzeranno il suo modo di comportarsi, esponendo negativamente le sue potenzialità che potranno essere ridotte o addirittura annullate. L’importanza quindi dei genitori e ancor di più dei nonni, che solitamente sono i più “accoglienti” , è quella di assicurare al figlio una vita fatta senza filtri e senza limitazioni soggettive. Tutto questo diventerà realtà quando si ricercherà l’equilibrio familiare. Le necessarie cure per il bambino e l’interessamento alla sua salute da parte della mamma genera necessariamente, e molto sovente, un allontanamento del consorte, allo scopo di poter prestare le dovute attenzioni e la dovuta priorità alle necessità del nuovo arrivato. Può sembrare strano ma la forza del marito potrà essere determinante nell’equilibrio fra madre e figlio, perché dovrà essere in grado di contenere gli innumerevoli cambiamenti di umore cui assisterà mei mesi successivi al parto. Le statistiche che rilevano i casi di crisi coniugali riportano un’alta percentuale di casi in cui il marito avrebbe abbandonato la moglie in questo tipo di assistenza. E questo stato di cose fa nascere il sospetto, oggetto di completa rottura tra le parti, che ci fosse un disinteresse per le problematiche di che trattasi o magari un menefreghismo di sana natura maschilista. La relazione a tre è per molti aspetti un nuovo modo di stare insieme anche per quelle coppie che vivono già la propria esperienza relazionale da più tempo: assisteranno anch’essi ad un radicale cambiamento delle relazioni familiari, perché dovranno agire e fare tutto in funzione della disponibilità verso il nuovo arrivato che ne cattura l’attenzione e si presta a gratificare con un piccolo sorriso ed allora è lecito chiedersi come potremmo chiudere questa fase? Potremmo dire che prepararsi al lieto evento vuol dire non solo essere felici per il prossimo evento che caratterizzerà la gioia di una famiglia, ma anche gestire tutto in modo da saper adeguatamente accogliere il cambiamento, con le cose belle e quelle meno belle che potranno derivare da quella nascita. Ecco dunque come la funzione si può rivoluzionare la concezione del matrimonio: un genuino discernimento metterà in risalto svariati aspetti che sfortunatamente sono sempre meno considerati nel ménage familiare e che invece, opportunamente rivalutati ribaltano in toto la visuale della vita quotidiana, in ogni suo aspetto, attraverso sia la preparazione alla nuova vita comunitaria che mediante l’esame dei diversi atteggiamenti e comportamenti da assumere in vista della trasformazione del piccolo nucleo, oppure con l’intelligenza con cui i due prossimi genitori dovranno valutare ogni possibile eventualità che incontreranno e che non dovrà assolutamente influenzare il corso ordinario delle loro giornate. Il discernimento apportato al proprio sistema di concezione allora tenderà a caratterizzare la famiglia con una genuina vita in cui si potrà ottenere un “ensemble” vero e sereno, vòlto all’unità ed al bene familiare.
C o n c l u s i o n e
Presi come siamo dalla spirale della vita quotidiana, dalle continue agitazioni per “fare subito”, dalle incessanti richieste che il mondo esterno ci obbliga a svolgere ed in modo istantaneo, purtroppo non prestiamo la dovuta attenzione a quello che, invece, si propone come il vero e proprio strumento per la soluzione delle nostre preoccupazioni, che vanno dal serio al faceto e che racchiudono la nostra vita in un pugno di secondi, in una manciata di istanti in cui essa scorre senza che ci potessimo accorgere della sua grande potenzialità che offre. Il can can giornaliero, infatti, ben si presta ad oscurare o addirittura a cancellare le funzioni vitali del sistema intellettivo o a sviare l’attenzione che dovrebbe attendere verso le necessità neuropsicologiche di cui l’uomo abbisogna. E’ come dire che l’uomo ha perso la cognizione della sua vera natura, che non è quella di vivere per sopravvivere, ma è quella di rispondere alle domande esistenziali: da dove veniamo? cosa facciamo? dove ci vuole portare la vita? ma più fondamentale è la domanda: come vogliamo costruire la nostra vita? Sono le domande che sono sempre riportate negli schemi filosofici , nelle disquisizioni che dall’antichità ad oggi, e diremo anche per il domani, rappresentano l’incognita esistenziale che si evidenzia sempre più, e che si presentano quando ci troviamo di fronte a circostanze complesse che scuotono un certo interesse che investe – molte volte anche improvvisamente - la sfera emotiva, interiore e sociale dell’essere e che durante il tempo ultra millenario trascorso che ha caratterizzato il suo innato sviluppo ha deviato il percorso iniziato con la sua creazione, indirizzandolo verso ben più piacevoli, materiali, semplicistiche e accomodanti vicende in cui ha posizionato la propria vita, eludendo i princìpi cardine della sua esistenza. E’ capitato dunque che dal suo intelletto, proteso verso l’individuazione di ciò che gli avrebbe procurato solo bene, l’uomo ha tralasciato il senso della ragionevolezza, della consapevolezza, della meditazione o della ancor più semplice riflessione. In poche parole si ritiene che lo sviluppo delle affinità interiori e l’elevazione spirituale sia al di sopra di ogni propensione umana, e dovrebbe costituire quell’aspetto al quale la mente dell’uomo dovrebbe essere protesa al fine di capire o carpire i misteri connessi alla sua creazione. La mancanza di questi principi - stante l’automaticità dominante delle proprie azioni - ha trasformato la vita di ogni uomo in un insignificante periodo di nullità individuale e, come diretta conseguenza, ha totalmente cancellato ogni possibilità di riposizionarsi sui livelli pregressi. L’uomo oggi non riflette e non medita più. Secondo i concetti più insistenti nella sua mentalità, oggi è necessario agire, fare, e produrre mentre non ci si deve prestare ai sistemi che comportano riflessione, analisi e psicologia, cioè dedicarsi a strumenti puri di meditazione che grazie alla sublimazione mentale conduce ad un efficace rinnovo delle facoltà organizzative ed intellettive mentali e che, perciò potrebbe senz’altro essere molto più adeguato e conveniente. Grazie a questa forma di autovalutazione l’uomo potrebbe riuscire a raggiungere alte forme di riconsiderazione sia della propria vita che per il miglioramento del proprio stile di vita per ricavarne solo benessere. Il fedele cattolico che abbina questo esercizio alla messa in pratica della Parola di Gesù, acquisisce ed avrà a propria disposizione un catalogo di possibilità di interventi che, una volta azionati lo metteranno in condizioni di modificare la vita guardando, ascoltando, riflettendo, analizzando, comprendendo e vivendo di conseguenza. Questo è il senso delle qui diverse valutazioni o se vogliamo, piccole meditazioni che, partono dalla valutazione degli atteggiamenti che l’uomo assume in determinati momenti della sua vita e che contrastano nettamente col vivere sociale, ma più principalmente con i criteri della religione, che sovrintende al normale decorso della sua vita sotto l’egida del rispetto dei canoni religiosi e spirituali. Una serie di piccole vicende in cui appare evidente non solo la simbiosi tra il Divino e l’Umano ma anche il carattere associativo tra le due realtà, la continua ed incessante connessione tra le due parti che, come parti sinallagmatiche, agiscono secondo la propria posizione per elargire misericordia da una parte e raccoglierne i frutti, dall’altra.
Autori consultati
- Card. Raniero Cantalamessa
Dal 1980 è predicatore della Casa Pontificia, con l’incarico di argomentare nel periodo di Avvento e Quaresima, oltre che nel Venerdì Santo, le tematiche importanti davanti al Santo Padre ed alla Curia Romana
- Don Fabio Rosini
Esperto biblista e commentatore di radio vaticana, è docente alla Pontificia Università della Santa Croce in “Bibbia & Comunicazione della Fede”
- Don Luigi Maria Epicoco
Affermato scrittore, è un apprezzato teologo e formatore spirituale. Già preside dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose a L’Aquila e Docente di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense, oggi è Docente di Antropologia Filosofica sia alla Pontifica Accademia Alfonsiana che alla Pontificia Facoltà Teologica Teresianum
- Lloyd Newell
E’ un famosissimo scrittore e divulgatore religioso americano, molto conosciuto anche per la sua trasmissione che è la più antica finora mai andata in onda settimanalmente per discutere di religione e di vita familiare
- Frate Stefano Maria Bordigno
Appartiene ai Servi di Maria. Frate Stefano “l’internauta” ha saputo coniugare la missione evangelizzatrice passando dalla normale predica alla diffusione del messaggio evangelico attraverso l’etere , raggiungendo migliaia di seguaci che ogni giorno, da ogni parte del mondo, ascoltano le sue semplici parole con le quali testimonia la Parola di Cristo
Ralph Waldo Emerson
E’ stato certamente lil personaggio più emblematico del trascendentismo americano del XIX secolo. Filosofo e scrittore ha lasciato in eredità numerosi saggi nonché il contenuto di oltre mille conferenze tenute in tutti gli Stati Uniti sul trascendentismo e sul pragmatismo
- Charles Haddon Spurgeon
E’ comunemente ricordato come “Il Principe dei predicatori”. Durante la sua vita ha tenuto centinaia di sermoni e prediche donando in eredità ai suoi posteri la sua grande esperienza personale e comunitaria e per aver lasciato una incredibile fonte di cultura sulla religione battista riformata
I N D I C E
Presentazione ……………………………………………………… pag. 7
Parte Prima
IL PERCHE’ DEL DISCERNERE
- Betania…………………………………….…………………....pag.12
- La necessità di comprendere……………………..……..… .pag.18
Parte Seconda
DISCERNIMENTO E CONSAPEVOLEZZA
- Bambini……………….…......….…………………………….....…pag.48
- Sciuména ed il Delegato…….…………………….……………… pag.55
- Il linguaggio ……………….…………………….…………..….….pag.62
- Convivialità ……………………………,,,,…………..…...…….…pag.66
- Evangelizzazione ………………………………………..............…pag.70
- Fratelli………..........................................................................…pag.74
- Giovanni il Battista .…………….…..………….………......……pag.80
- Il giusto vivrà per la sua fede …………………..………...........pag.89
- Il momento più bello ……….………………………….………….pag.94
- L’uomo, lebbroso del 2000 ….………....................................... pag.100
- Il Fuoco di Dio………………………….............................… . .pag.108
- Pace & Armonia ….…………..…..…...….......................… . pag.114
- La Ragazza Scomparsa …....…….................................... . pag.118
- Bravi, ma ottusi !!……………………............................…… pag.123
- La Consapevolezza di sbagliare..……………..................… pag.128
- Cosa fare? ………….… ………..…………… ……………..… pag.134
- Con gli occhi chiusi …......................................................... pag.140
- La vita .......................................................................... pag.145
- Chi sono io? ……………….………….….........................…. pag.147
- Universo e Amore ……………………………………....... .…. pag.150
- Pregare? Sì, pregare! .……………………………..……........ pag.157
- L’invito di Dio …………………………………...… …………..pag.168
- Lo Spirito Santo ……..……...................................................pag.171
- La forza del perdono………………..……….. ………..............pag.177
- Forza e coraggio……………………….………….………….....pag.184
Parte Terza
DISCERNIMENTO E CONSAPEVOLEZZA FAMILIARE
28.Un uomo, una donna, una famiglia……..………..……….........pag.192
29.Il Primo Figlio ………………………..………………….…..……pag.205
Conclusione.………………….…..….............................……...…pag.215
Autori e Critici consultati……….………………………..….… pag.219
Indice ……………………………...………………..………..….… pag.221
Stampato in Caserta nel mese di ottobre 2024
Sono riservati all’Autore i diritti di riproduzione,
anche parziale, del testo e delle immagini
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Gruppo Facebook "DON ORESTE NON E’ ANDATO VIA”: continua, senza pause, l’iniziativa creata da Nicola Ciaramella per mantenere sempre vivo il ricordo dello scomparso amatissimo parroco di Santa Maria della Pietà.
29.ma Festa del Tesseramento dell’Associazione N.S. di Lourdes
Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione.Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione. 1
GIUSEPPE STABILE,
talento canoro sannicolese
La biografia artistica
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Il nostro GRAZIE a quanti hanno scelto le nostre immagini dall'alto di San Nicola la Strada quali icone di siti internet e di gruppi facebook locali
TUTTO IL "DISSESTO FINANZIARIO" MOMENTO X MOMENTO
Come si giunse al giorno più nero della storia amministrativa sannicolese e chi nulla fece per evitarlo
San Nicola la Strada SEMPRE nel cuore
...Una bellissima iniziativa per tutti i sannicolesi...
PERCORSO QUARESIMALE CON LA SANTA SINDONE
I VIDEO dei cinque incontri del programma promosso da Don Antimo Vigliotta e dal Prof. Luciano Lanotte