“La Parola educa”, in ebraico “Dabar”

L’editoriale di Don Franco Catrame nel nuovo numero del periodico diocesano Il Poliedro

 

E’ uscito, e sarà distribuito domenica in tutte le parrocchie, il numero di maggio 2021 del periodico Il Poliedro edito dalla Diocesi di Caserta e diretto da Luigi Nunziante.
Molti ed interessanti, come sempre, gli articoli pubblicati, che spaziano da temi di attualità a cronache di vita della comunità di riferimento.
Tra i preziosi contributi di questo numero cinque dell’anno sesto, troviamo l’editoriale dal titolo “La Parola che educa”, scritto da Don Franco Catrame, di cui riportiamo il testo integrale.

La parola educa (in ebraico Dabar). Non solo la Bibbia in sé (Antico e Nuovo Testamento) -scrive il Parroco di Santa Maria degli Angeli- si presenta come un sentiero educativo, ma il suo contenuto è una relazione di amore che fa crescere.

Dalla Bibbia emerge una radicata abitudine al cammino, un dinamismo continuo verso la meta della salvezza. Una veloce carrellata storica potrebbe aiutare a richiamare almeno alcune tappe di questo cammino. In primo luogo, Israele esce dall’Egitto verso la Terra promessa: la Bibbia si attesta qui come un cammino di liberazione. Se l’esodo è l’evento fondante, la libertà dagli idoli e dal sopruso diventerà una chiave di lettura di tutta la storia del popolo di Dio. Ma nell’Antico Testamento, Jhwh mostra il suo volto di educatore non solo perché libera (cfr.il libro dell’Esodo), ma anche perché sostiene il popolo durante la terribile fatica della libertà (cfr. il libro dei Numeri).

Così si legge nel libro del Deuteronomio: «Dio trovò Israele in una terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio» (Dt 32,10). Dio dunque si prende cura del suo popolo raggiungendolo nella sua terra di dolore ed educandolo, cioè conducendolo fuori verso la libertà; poi in questo nuovo tempo lo sostiene giorno per giorno (con l’acqua dalla roccia, con la manna, con le quaglie, con la Parola). E così è anche per i discepoli nel Nuovo Testamento, che vengono convertiti da Gesù e dis-orientati dalle loro vecchie mete, per convergere insieme con lui verso la città santa di Gerusalemme dopo aver attraversato le strade della Palestina. È questa l’immagine biblica dinamica con cui ciascuno di noi può continuamente confrontare la propria esistenza di fede.

 

  1. Là dove si trova l’uomo

Il testo di Deuteronomio richiamato in precedenza diceva che Dio «trovò Israele in una terra di ululati solitari…» (Dt 32,10). Questo è il luogo di partenza della relazione educativa tra Jhwh e il popolo d’Israele. Il Dio biblico raggiunge il suo popolo là dove si trova. Ebbene, la stessa dinamica si verifica per ciascuno di noi. Il Dio biblico non teme di venirci a trovare là dove ci troviamo: lo ha fatto quando ci ha chiamato alla vita (nella nostra famiglia) e poi tante altre volte, senza stancarsi di continuare a farlo ancora. Ci viene a trovare persino nei nostri peccati: per tirarci fuori dalle nostre terre d’Egitto che ci seducono, ma che anche ci schiavizzano… Lasciarsi educare dalla Parola di Dio significa entrare in questa dinamica del lasciarsi trovare (cfr. Gen 3,9) da Dio, lasciarsi condurre da lui nel deserto (cfr. Os 2,16), lasciarsi riconciliare con lui (cfr. 2Cor 5,20).

 

  1. Secondo il passo dell’uomo

Il Dio della Bibbia prende l’uomo là dov’è e lo porta a libertà secondo un ritmo biologico delicato e progressivo. In questo ritmo personalizzato, c’è la possibilità di appropriarsi davvero della libertà e di interiorizzarla.

Si tratta quindi anche di saper cogliere la misura evolutiva della propria crescita.

A questo proposito, richiamando lo stile di Gesù stesso, scriveva ancora il Card. Martini: «Alla bambina di dodici anni risuscitata, Gesù non chiede alcun gesto particolare, se non la semplice voglia di riprendere a vivere, ordinando ai genitori “di darle da mangiare” (Marco 5,43).

All’indemoniato guarito, che desidera stare con lui, Gesù non lo permette: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto” (Marco 5,19).

A colui che dichiara di aver osservato i comandamenti fin dalla giovinezza, chiede il massimo: Va’, vendi, vieni, seguimi! (cf. Marco 10,21)». La Parola di Dio educa quindi ad un sano realismo, ad una obbedienza sapiente alle fasi della nostra vita, ai segmenti della nostra esistenza.

 

  1. Con tolleranza…

Ciascuno secondo la propria misura può seguire un percorso educativo a tappe in vista della meta prefissa. In questo orizzonte, educare se stessi o gli altri significa individuare un metodo, e farsi accompagnare o accompagnare l’altro perché non si perdano coraggio e costanza. Se nel cuore dell’uomo albergano debolezze, fatiche o pigrizie, non per questo si deve smettere di educare alla crescita. In genere, il cristiano sa riconoscere e stigmatizzare il male, ma sa anche che il male purtroppo è parte della storia umana. Il cristiano non è connivente con il male, lo denuncia con forza: ma è anche consapevole di non dover trascinare nel suo giudizio severo le persone che se ne rendono protagoniste. Così facendo, apre forse uno spazio insperato alla crescita continua del soggetto e persino alla sua conversione. L’immagine biblica che più ci aiuta è quella della zizzania e del grano che crescono insieme (Mc 13,24-30). Il seminatore conosce bene la differenza tra l’una e l’altro, e sa anche che la zizzania minaccia la buona crescita del grano: eppure, invita a saperne tollerare la presenza, perché quello che più importa è che il grano ha in sé la forza di arrivare a maturazione.

 

  1. Nella difficoltà

Un itinerario veramente evangelico si riconosce non solo per la simpatia verso il bene presente nel mondo, ma anche per lo spirito critico verso ciò che nel mondo non è evangelico. Ci lasciamo seriamente educare dalla Parola di Dio quando entriamo progressivamente nella logica pasquale del Cristo. Un esempio concreto di traduzione della Pasqua nella vita è la ricerca costante della giustizia, anche a costo di pagare di persona: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). L’educazione cristiana non è dunque sempre del tutto a proprio agio con le logiche di questo mondo. Per questa ragione incontra a volte delle severe resistenze, anzitutto nel cuore stesso dell’uomo. Si richiede quindi una conversione costante. In questo ambito, il Dio biblico si rivela educatore energico: nel libro dell’Apocalisse, ad esempio, rimprovera alla Chiesa di Laodicea di essere “tiepida” (cfr. Ap 3,14-16). Al contempo, si ha la percezione sicura che questo rimprovero è dovuto non ad uno sfogo o all’impazienza, ma all’amore di Dio per quella Chiesa. C’è un profondo bisogno di amore in ciascuno di noi, così spesso prigionieri delle nostre solitudini.

È il bisogno di una parola di vita che vinca le nostre paure e ci faccia sentire amati.

Il profeta Amos descrive con efficacia questa situazione: “Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore” (8,11). E sant’Agostino - che quella Parola ha incontrato, fino a farne la ragione di tutta la sua vita - così presenta la risposta del Dio vivente al nostro bisogno: “Da quella città il Padre nostro ci ha inviato delle lettere, ci ha fatto pervenire le Scritture, onde accendere in noi il desiderio di tornare a casa” (Commento ai Salmi, 64, 2-3).Se si arriva a comprendere - come è capitato a tanti credenti di ieri e di oggi - che la Bibbia è questa “lettera di Dio”, che parla proprio al nostro cuore, allora ci si avvicinerà a essa con la trepidazione e il desiderio con cui un innamorato legge le parole della persona amata.

 Allora, Dio, che è insieme paterno e materno nel suo amore, parlerà proprio a ciascuno di noi e l’ascolto fedele, intelligente e umile di quanto egli dice sazierà poco a poco il nostro bisogno di luce, la tua sete d’amore.

Imparare ad ascoltare la voce di Dio che parla nella Sacra Scrittura è imparare ad amare: perciò, l’ascolto delle Scritture è ascolto che libera e salva.

Il Dio che parla

Solo Dio poteva rompere il silenzio dei cieli e irrompere nel silenzio del cuore: solo lui poteva dirci - come nessun altro - parole d’amore. Questo è avvenuto nella sua rivelazione, dapprima al popolo eletto, Israele, e poi in Gesù Cristo, la Parola eterna fatta carne. Dio parla: attraverso eventi e parole intimamente connessi, egli comunica se stesso agli uomini. Messi per iscritto sotto l’ispirazione del suo Spirito, questi testi costituiscono la Sacra Scrittura, la dimora della Parola di Dio nelle parole degli uomini. Il Signore dice ciò che fa e fa ciò che dice. Nell’Antico Testamento annuncia ai figli d’Israele la venuta del Messia e l’instaurazione di una nuova alleanza; nel Verbo fatto carne compie le sue promesse oltre ogni attesa. Antico e Nuovo Testamento ci narrano la storia del suo amore per noi, secondo un cammino con cui Dio educa il suo popolo al dono dell’alleanza compiuta: l’Antico Testamento si illumina nel Nuovo e il Nuovo è preparato nell’Antico. Perciò, i discepoli di Gesù amano le Scritture che lui stesso ha amato, quelle che Dio ha affidato al popolo ebraico, e che essi leggono nella luce di lui, crocifisso e risorto. Il compimento della rivelazione, infatti, è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per noi, la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui ci dice tutto e ci dona tutto. Nutrirsi della Scrittura è nutrirsi di Cristo: “L’ignoranza delle Scritture - afferma san Girolamo - è ignoranza di Cristo”(Commento al Profeta Isaia, PL 24,17).Chi vuole vivere di Gesù deve ascoltare, allora, incessantemente le divine Scritture. È in esse che si rivela il volto dell’Amato. Ed è lo Spirito Santo, che ha guidato il popolo eletto ispirando gli autori delle Sacre Scritture, ad aprire il cuore dei credenti all’intelligenza di quanto è in esse contenuto. Perciò, nessun incontro con la Parola di Dio andrà vissuto senza aver prima invocato lo Spirito, che schiude il libro sigillato, muovendo il cuore e rivolgendolo a Dio, aprendo gli occhi della mente e dando dolcezza nel consentire e nel credere alla verità. È lo Spirito a farci entrare nella verità tutta intera attraverso la porta della Parola di Dio, rendendoci operatori e testimoni della forza liberante che essa possiede.

Nella sua Parola è Dio stesso a raggiungere e trasformare il cuore di chi crede: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4,12).

 Affidiamoci, allora, alla Parola: essa è fedele in eterno, come il Dio che la dice e la abita. Perciò, chi accoglie con fede la Parola, non sarà mai solo: in vita, come in morte, entrerà attraverso di essa nel cuore di Dio: “Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio” (San Gregorio Magno).Alla Parola del Signore corrisponde veramente chi accetta di entrare in quell’ascolto accogliente che è l’obbedienza della fede. Il Dio, che si comunica al nostro cuore, ci chiama ad offrirgli non qualcosa di nostro, ma noi stessi. Questo ascolto accogliente rende liberi: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8,31-32).Per renderci capaci di accogliere fedelmente la Parola di Dio, il Signore Gesù han voluto lasciarci - insieme con il dono dello Spirito - anche il dono della Chiesa, fondata sugli apostoli.

Essi hanno accolto la parola di salvezza e l’hanno tramandata ai loro successori come un gioiello prezioso, custodito nello scrigno sicuro del popolo di Dio pellegrino nel tempo. La Chiesa è la casa della Parola, la comunità dell’interpretazione, garantita dalla guida dei pastori a cui Dio ha voluto affidare il suo gregge. La lettura fedele della Scrittura non è opera di navigatori solitari, ma va vissuta nella barca di Pietro.

 

Accogliere la Parola nel silenzio e nella contemplazione

È l’amore il frutto che nasce dall’ascolto della Parola: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi” (Giacomo 1,22). Chi si lascia illuminare dalla Parola, sa che il senso della vita consiste non nel ripiegarsi su se stessi, ma in quell’esodo da sé senza ritorno, che è l’amore. L’ascolto costante della Sacra Scrittura ci fa sentire amati e ci rende capaci di amare, dando gioia e speranza al nostro cuore: se ci consegniamo senza riserve al Dio che ci parla, sarà lui a donarci agli altri, arricchendoci di tutte le capacità necessarie per metterci al loro servizio. La Parola è guida sicura perché - fra i rumori del mondo - ci conduce a impegnarci per gli altri sui passi di Gesù, a riconoscere negli altri la sua voce che chiama: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25,40).Chi ama la Parola, sa quanto sia necessario il silenzio, interiore ed esteriore, per ascoltarla veramente, e per lasciare che la sua luce ci trasformi mediante la preghiera, la riflessione e il discernimento: nel clima del silenzio, alla luce delle Scritture, impariamo a riconoscere i segni di Dio e a riportare i nostri problemi al disegno della salvezza che la Scrittura ci testimonia.

Certo, il silenzio necessario all’ascolto non è mutismo, ma espressione di un amore che supera ogni parola. Solo l’amore apre alla conoscenza dell’Amato, come è stato per il discepolo, che ha posato il suo capo sul petto del Signore nell’ultima cena:“Poteva comprendere il senso delle parole di Gesù, soltanto colui che riposò sul petto di Gesù” (Origene, In Joannem, 1,6).

Anche noi dobbiamo poggiare il capo sul cuore di Cristo e ascoltare le sue parole, lasciando che esse parlino al nostro cuore e lo facciano ardere del suo amore.  

©Corriere di San Nicola
diretto da Nicola Ciaramella 

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