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Numero Storico 30 - Aprile 2005 - Home 29 aprile 2024 12:00:42

Caro Concittadino, ti scrivo...
Delli Paoli: il "sogno" non è svanito...
Le "amnesie" della Zuccaro
L' "IMPORTANZA" del voto










La posta dei lettori
FUORI DAL “TUNNEL” CON LA FORZA DI MARIO!

“Egregio Direttore, Le invio una lettera in cui descrivo la mia esperienza su droghe ed i risultati ottenuti grazie al programma Narconon. Chiedo la Sua disponibilità a leggerlo ed a pubblicarlo sul Suo giornale. In attesa di un Suo riscontro, l’occasione mi è gradita per porgerLe cordiali saluti.
Mi chiamo Mario e vorrei, con questa lettera, riuscire a far capire ad altri ragazzi che si può uscire dall’incubo della droga ed indicare loro la strada giusta ed efficace per uscire dalla tossicodipendenza. La mia vita era un vero e proprio calvario. Il solo pensiero di dovermi alzare dal letto la mattina ed affrontare la giornata, che per me era diventata impossibile e colma di difficoltà..., faceva sì che io restassi a letto oppresso dai sensi di colpa, arrabbiato con tutto e con tutti.
Il mio unico scopo era quello di sconvolgermi, di non pensare per non vedere la pessima situazione in cui mi trovavo e che giorno dopo giorno mi distruggeva. Prima di tutto per me c’era la droga, qualsiasi tipo di droga, accompagnata da psicofarmaci e da alcool in modo tale da formare un cocktail micidiale per ottenere quella che per me era la felicità...: uno stato d’incoscienza che mi metteva in condizione solo di combinare guai a me stesso ed a chi aveva la sfortuna di essermi vicino. Quello che all’inizio era un divertimento alla fine si era trasformato in una vera e propria disperazione senza che io me ne rendessi minimamente conto.
Negli ultimi tempi non mi divertivo nemmeno più a sballarmi, anzi il più delle volte divenivo più triste di quello che ero già…, ma ormai ero pienamente intrappolato nel tunnel delle droghe. Tutto questo fino a quando mio padre mi fece vedere un volantino, trovato in un negozio, del centro Narconon Astore. Per farlo felice, andai a fare un colloquio. Arrivai al centro ed incontrai il direttore, che iniziò a spiegarmi lo svolgimento del programma. Mi parlò delle saune e dei corsi didattici che avrei seguito per andare a capire cosa mi aveva portato a far uso di droghe. Più lui parlava e più io vedevo la soluzione ai miei problemi; difficile da spiegare quella sensazione, ma da subito non ebbi dubbi che quella era la strada per uscire definitivamente dal tunnel. Tornai a casa, feci i bagagli e lo stesso giorno tornai al centro per iniziare il programma. Giorno dopo giorno mi rendevo conto di migliorare; mi affascinava tutto ciò e potevo toccare con mano i cambiamenti positivi di cui mi aveva parlato il direttore durante il primo colloquio; il tempo passava e la speranza di cambiare definitivamente vita diventava certezza. Si creò una vera e propria famiglia con gli altri studenti ed i ragazzi dello staff ed è incredibile come in così poco tempo si possono creare dei rapporti splendidi con persone che non conoscevi. Ora, grazie al programma Narconon, sono un ragazzo libero dalle droghe che ha ritrovato completamente le sue capacità... ed abilità..., ma che soprattutto è tornato ad amare la vita, ad avere il deside-rio di affrontare le giornate, di svegliarsi la mattina con la voglia di fare cose costruttive per me e per chi mi circonda. Voglio ringraziare di cuore tutto lo staff del centro Astore di Novilara e voglio dire ai ragazzi che hanno problemi di droga di telefonare al n° 0721-286996 e che si può riuscire senza alcun dubbio a tornare a vivere e ad apprezzare la vita.
(Mario)

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Tutti coloro che, come gli operatori dell’Associazione Narconon Astore, contribuiscono a riaccendere la luce della vita in un essere umano in crisi meritano l’encomio della società civile. Ma sono fermamente convinto, carissimo Mario, e ti prego di perdonarmi il tono confidenziale che la tua lettera mi ha spontaneamente ispirato, che l’applauso più fragoroso lo meriti tu. Tu non hai mai perso di vista, in un momento così duro e difficile della tua esistenza, i veri valori per i quali bisogna sempre combattere. Sei stato umile, cosciente di ciò a cui stavi rinunciando, ma soprattutto hai avuto fede in chi ha cercato di tenderti una mano. Solo un uomo forte ed intelligente, come tu sei, poteva accorgersi che stava sbagliando. Sì, Mario, la tua umiltà e la tua intelligenza ti faranno grande, ne sono convinto, e tutti beneficeranno della tua riacquistata voglia di costruire: dalla tua famiglia agli amici, dagli sfortunati che stanno lottando alle istituzioni che si prodigano.Tutti dobbiamo dirti grazie, perché sei riuscito a non abbandonarci. Intanto, se ti fa piacere, il portale del Corriere è a disposizione tua e di tutti coloro che ti hanno aiutato. I vostri contributi godranno sempre di particolari privilegi.
Ti abbraccio.
(Nicola Ciaramella)


QUEL SACERDOTE POLACCO CON LA W…
Il Cav. Michele Petrone, ottantacinquenne cittadino di San Nicola la Strada, ci racconta:

- Il 19 marzo del 1944 inizia l’odissea dei prigionieri italiani, quelli che dignitosamente avevano rifiutato di collaborare con i tedeschi. Essi vennero imbarcati per essere avviati al Pireo e poi destinati, quattro mesi dopo, in Polonia; almeno quelli che avevano, a richiesta, documentato di essere infermieri qualificati. Dovevano essere utilizzati in una specie di campo d’internamento di ufficiali italiani. I qualificati, tra i quali c’ero anch’io, furono 19. Dopo aver trascorso un’intera notte di veglia, digiuni pure da qualche giorno, iniziammo il lungo viaggio tra stenti e minacce. Impiegammo circa quattro mesi, fino a giugno; un giorno il cui mattino ci destò un inatteso e festoso suono di campane. Fatti discendere dal mezzo che ci portava, stipati con altri prigionieri, ci accorgemmo che nei pressi vi era una chiesetta. Il portone di questa venne aperto da un individuo che poi venne avvicinato da uno di noi sedici con la speranza che avesse qualcosa per calmare la fame che quasi ci abbrutiva. L’uomo si rivelò quale sacerdote; forse quello che aveva suonato le campane che ci avevano svegliato, probabilmente a compimento di una locale tradizione religiosa. Come attratti da qualcosa, in contrasto certamente con le sofferenze, gli stenti e le visioni drammatiche dei nostri viaggi di prigionieri ribelli, entrammo tutti in quel luogo sacro.
Il sacerdote era in abito nero e ci accolse dicendo con gioia commovente ed in un italiano alquanto difficile a comprendersi “peccato, non ho nulla da potervi dare a sollievo della vostra fame, che si legge nei vostri tratti disperati e sconvolti”. Detto questo aggiunse: “Però posso darvi il pane” (costituito da pezzetti di grano scuro) e, riprendendo, “Questo pane appartiene al corpo di Gesù, mangiatene tutti”. Sorpreso dall’italiano e dalle parole sante del sacerdote, nonché da quanto offertoci da masticare (più che mangiare), mi affrettai a chiedere il suo nome e come mai conoscesse la lingua italiana. Mi guardò con un lieve sorriso sulle labbra e senza parlare scrisse su di un foglio qualcosa come un cognome con la “W” e altri appunti che non tutti sapemmo o potemmo riuscire a leggere e che io, adesso, non riesco a ricordare. Improvvisamente avvertimmo al di fuori della chiesa il vociare secco e sprezzante delle SS tedesche. Entrate in chiesa, queste si rivolsero contro di noi e contro il sacerdote minacciandoci, anche con qualche colpo del calcio del fucile.
In quel momento avvenne qualcosa che noi prigionieri tutti non avremmo più dimenticato e che ricordo perfettamente oggi, ottantacinquenne, a distanza di sessant’anni e oltre. Il sacerdote, rivolto agli ossessionati tedeschi, disse, prima in un masticato italiano e poi in tedesco: “questa non è una caserma, ma la casa di Dio” e poi, sempre in tedesco, pressappoco: “Fra fructe mencscaiser”. In italiano, era “andatevene, puzzolenti!”. Udito ciò, una delle SS puntò il fucile contro il sacerdote per minacciarlo e fargli capire che aveva in pugno la sua vita. Poi, rivolto a noi, ci intimò di uscire dalla chiesa e di risalire sul camion che ci avrebbe portato alla stazione ferroviaria. Nel viaggio di ritorno in Italia ci accolse la Croce Rossa Internazionale, nel giugno dl 1945, alla stazione Termini di Roma. Ci diedero un cestino di vivande, che non toccammo neppure, dato che eravamo stremati. Ci chiesero se eravamo in possesso di oggetti, dati, documenti o altro che potesse essere utile per dar loro notizie di altri prigionieri italiani, al fine di aggiornare le famiglie che ancora attendevano il ritorno dei loro cari di cui da tempo non avevano notizie. Lo facemmo prontamente ed io, in particolare, consegnai loro il foglietto sul quale aveva scritto i suoi dati e altre notizie il sacerdote polacco con la W, Papa Giovanni Paolo Secondo!
(Cav. Michele Petrone, ottantacinquenne cittadino di San Nicola la Strada)
***
Grazie, Cavaliere, per questa bellissima e.mail che ci ha inviato. Un commento sull’episodio?...Nooooo, sig. Petrone, e chi può permettersi di aggiungere una sola parola a quanto ci ha raccontato e dopo tutto quello che è successo? E poi, l’anima del Santissimo Padre non ne ha certo bisogno. Lui ha agito con le opere, i pensieri e la sofferenza: quanti, oggi, in questo mondo, ne sono degni? Ma mi permetta di suscitarLe altri ricordi, egregio lettore. Le pubblico delle foto che la dicono tutta sull’entusiasmo che Giovanni Paolo II ha saputo trasmettere. Il 24 maggio 1992, come tutti sanno e serbano nel cuore, il compianto Sommo Pontefice si recò in visita a Caserta, transitando per Viale Carlo III: che bello ricordare tanta gente in trepidante attesa…Un po’come oggi, mentre Egli ci guarda dal paradiso…Un po’come sempre!
(Nicola Ciaramella)


 
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