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 Numero storico 20 - Marzo 2003 ->  Home
IN QUESTO NUMERO :


Practical School: la fucina dei professionisti
Bilancio... Sotto tono
La nuova mappa del potere
Il "teorema"dei morti
Una scuola a "misura di ragazzo"
La Via Santa Croce abbandonata
SPECIALE PRG :
Abitare responsabile
Pascariello: "Nessun sacco urbanistico"
I due nodi dello sviluppo
25.000...Aggiudicato
I "numeri" del PRG
Il territorio e le sue destinazioni
   
Anziano dove vai ?
Il laboratorio delle tradizioni
Cultura a piano terra
Una variante per accordare tutti
A quattro passi dalla morte
Notizie...In Breve
Podisti Sannicolesi alla ribalta
TeatrArte 2003
Moving Art: il fascino di un nuovo look
   


Speciale - Dossier Pi Erre Gi - Abitare Responsabile - Pag. 5

Non è più possibile lasciar costruire scatole per abitare...

Per chi legge queste righe ed è a digiuno di urbanistica, si deve dire che il PRG, o Piano Regolatore Generale, è lo strumento normativo comunale che regola le trasformazioni sul territorio; significa dire, tradotto in linguaggio elementare, che nel PRG è prescritto se su un terreno ci si può costruire oppure bisogna destinarlo a verde oppure ci passerà sopra una strada oppure ci sarà una nuova scuola ecc. ecc.
Il PRG però non è solo la prescrizione di cosa si può o non si può edificare su un dato terreno o quanto si possa o non ristrutturare una casa, ma contiene una serie di studi di base e di previsioni di città futura di cui le norme specifiche sul tale terreno sono solo la finale semplificazione e pratica traduzione.

Ciò significa che lo spirito di base del PRG, quello che ha animato a suo tempo i dibattiti sulla città e i tecnici che lo hanno redatto, è stato quello di immaginare che tipo di città si poteva prevedere e realizzare, partendo dalle trasformazioni in atto, dalle intenzioni dei cittadini e dalle potenzialità di sviluppo insite in loro stessi e nel loro territorio.
E’ chiaro che, dagli anni in cui è stato affidato l’incarico di redazione del PRG vigente, è passato del tempo, e probabilmente molti degli assunti di base si sono quanto meno modificati. Ma è pur vero che la gestazione di un PRG è cosa lunga e difficile, che probabilmente - stando alle statistiche - non si esaurisce nei pochi anni di reggenza di una legislatura. Pertanto, per questione di pragmatismo, è ammissibile che l’Amministrazione Comunale abbia ritenuto opportuno innanzitutto ritenere l’attuale PRG uno strumento normativo - e quindi una legge a tutti gli effetti - ancora legittimo; poi richiederne una verifica su standard e “numeri” (per verificare l’attualità delle previsioni di aumento del numero dei residenti e del relativo fabbisogno abitativo); quindi metter mano ad alcuni temi - alcuni scottanti come la “zona 167” e il completamento della “lottizzazione Michitto” - che si è continuato a rimandare di volta in volta, pur nella continua ricerca, da parte di ogni legislatura che si è succeduta, della migliore soluzione al problema.
Al di là della guerra giornalistica dei “numeri” del PRG (a volte come la cabala per ipotizzare previsioni), al di là di critiche sulle scelte di indirizzo (che l’Amministrazione è legittimata a percorrere nel modo che ritiene più opportuno e corretto) e delle proteste di “cementificazione selvaggia”, che sempre in questi casi sorgono istintive, bisogna riflettere su un paio di questioni.

L'assessore all'urbanistica Giuseppe Esposito

Se si pensa che i numeri in discussione siano ancora corretti, bisogna considerare questa intrapresa come una politica precisa di sviluppo della città, una occasione di qualificazione, non come una inverosimile necessità di “emergenza casa”.
Le dinamiche demografiche subiscono delle modifiche, e quelle migratorie a volte dipendono da fattori extraterritoriali e anzi a volte sono cagionate proprio dalla offerta di residenza a buon mercato: ragion per cui i numeri di per sé non giustificano matematicamente le azioni.
In tal senso, oltre a ricordare che la crescita della città è fatta non solo di case da abitare ma anche di parcheggi, scuole, attrezzature e verde (quelli che si definiscono in gergo gli “standard”), si è sicuri che l’Amministrazione voglia intendere questo sviluppo come questione di ambito extracittadino, cioè abbia in animo di attivare meccanismi tali da rendere la città di San Nicola la Strada partecipe delle iniziative che stanno interessando tutta l’area Sud-orientale di Caserta, la ex Saint-Gobain e il Policlinico.
Le iniziative a corollario delle previste edificazioni residenziali dovrebbero tendere a esprimere le caratteristiche e le qualificazioni proprie della città di San Nicola, offrire maggiore qualità positiva di vita, “allearsi” con i paesi limitrofi non per contrastare ma per competere con il capoluogo per cura e raffinatezza, per scrollarsi di dosso il supposto “provincialismo” che si immagina per ogni città periferica.

E ciò si può realizzare costruendo una definita immagine economica e sociale della città, tendendo ad una possibile specializzazione che caratterizzi la sua crescita e ne sia alimento.
Se ciò non fosse, il territorio rimarrebbe malamente sconnesso dal contesto più ampio, e si riproporrebbero quelle sgradevoli “zone dormitorio” che difficilmente se non dopo decenni riescono a riprodurre un “effetto città” necessario a sentirsi appartenere ad una terra e quindi rispettarla. Purtroppo di esempi ne abbiamo a decine, ancora oggi in corso nel capoluogo e in tutta la provincia.
Ma c’è un’altra questione.
Se ogni volta che si deve costruire si parla di “cementificazione”, non è perché si usa il cemento, nella maggior parte dei casi inevitabile, ma perché c’è la motivata preoccupazione che ciò che sorgerà al posto di un’area potenzialmente verde sia una bruttura, tale da assomigliare ad una struttura in cemento armato rimasta allo stato incompiuto, dove si vedono solo scheletri o muri con impalcature non rimosse. Non si può dare torto a questa preoccupazione, e per tenerla - anzi - assolutamente in massima considerazione, l’Amministrazione deve attivare sistemi di controllo e garanzia della qualità dell’edilizia.
Approfondiamo l’argomento. E’ chiaro che la città è solo il contenitore fisico delle azioni dei cittadini, che invece esprimono con la politica le loro intenzioni e con le associazioni la loro vivacità e vitalità; ma è pur vero che la città è lo specchio della politica e delle condizioni di vita che si succedono volta per volta, e ne contiene indelebili sul suo volto i segni passati e presenti. Possiamo infatti distinguere nelle città gli interventi succeduti negli anni, quelli di inizio secolo, quelli dell’edilizia economico-popolare, quelli del boom economico e quelli dei rampanti anni 80 con gli strascichi del condono. In ognuno di questi interventi si rinviene precisa individuazione delle tensioni di quegli anni, e soprattutto si leggono negli edifici il rispetto per la socialità, per il contesto, per il clima, per i rapporti con gli altri (uomini e fabbricati), oppure la assoluta indifferenza, quasi il disprezzo per qualsiasi punto di vista. Inoltre, in ognuno di questi interventi si può distinguere se c’è stata una volontà espressiva, un religioso rispetto per l’ambiente, una “tensione” verso la qualità, oppure non c’è proprio nulla che possa definirsi gesto umano.
Se allora siamo convinti di vivere il nostro tempo con dignità e passione, se davvero l’Amministrazione si sforza di produrre migliori condizioni di vita per i suoi cittadini (che è poi l’obiettivo finale di qualsiasi pianificazione), questa dovrà garantire che la crescita che si prevede per la città non sia fatta di quantità, ma di qualità. Oltre alla necessaria attenzione per la dotazione di standard e per le finiture delle parti comuni - strade, marciapiedi, verde - la stessa qualità dell’edilizia dovrà essere il segno inequivocabile di una città del nostro tempo, dovrà riflettere modernità e costituire un avanzato esempio di residenza, anzi potrà costituire - suggeriamo - un “laboratorio di architettura”. Potrà essere esso stesso motivo di attrazione per residenti, curiosi e specialisti, costituire nuove tipologie abitative, concorrere a costruire pezzi di “centro urbano”, dare modo di affrancarsi dalle stereotipate immagini di quartieri di periferia e palazzi isolati introversi, ciascuno chiuso nel suo angusto lotticino.
Non è più pensabile lasciar costruire scatole per abitare o riecheggiamenti di palazzi baronali, non è possibile qualificare nemmeno la semplice offerta di abitazioni se non si utilizzano nuove tipologie attraenti, che possono essere sperimentate proprio a margine di quelle nuove edificazioni della ex Saint Gobain e del Policlinico che, almeno sulla carta, si preannunciano come esempi di architettura europea. Come non è più prevedibile che in una città le intenzioni o i “disegni nel cassetto” o gli “edifici ripetuti” (perché ricostruiti identici ad altri costruiti prima e in altro luogo) di qualsiasi operatore immobiliare possano di per sé costituire qualificazione dell’ambiente. La stessa tenacia che l’Amministrazione ha talvolta dimostrato costringendo gli imprenditori al tavolo delle trattative (per il bene della città) dovrà essere utilizzata perché essi, che sono il motore delle iniziative, siano messi di fronte alle loro responsabilità nei confronti della città e dell’ambiente che vanno a modificare, siano ben consigliati nel realizzare un edificio che rimarrà forse per centinaia di anni a “dire la sua” a chi passeggia, a chi passa in automobile o a chi si affaccia dal balcone di fronte.
Se nuove residenze si ritengono necessarie, dovranno richiamare abitanti dell’intera conurbazione casertana, intese per chi vuole vivere alle porte di Caserta, non per chi vuole vivere alle porte di Napoli. Anzi, San Nicola è una parte, importantissima, di un territorio urbano distinto in più centri, che va da Capua a Maddaloni, un unico organismo che solo per limiti amministrativi si sente diviso in parti, come una moderna città europea di medie dimensioni, con ampi spazi tra i quartieri e lunghi tempi di percorrenza, ma che riesce ad essere città nel rispetto delle singole identità. Come si fa a Via Manzoni a sentirsi su un lato casertani e su un altro sannicolesi?

Si impiega pietra, legno, cemento; se ne fanno case, palazzi; questo è costruire.
L’ingegnosità lavora. Ma, di colpo, il mio cuore è commosso;
sono felice e dico: è bello. Ecco l’architettura.
Le Corbusier 1923


Pasquale Laselli

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