Rinviata «’A lummenera ‘e Santu Nicola»
Per le avverse condizioni meteorologiche
Tempo inclemente, nulla da fare. E' stato deciso di rinviare a data da destinarsi la "Lummenera di San Nicola" che si sarebbe dovuta svolgere stasera, 5 dicembre 2023.
Il primo fuoco si sarebbe dovuto accendere alle ore 18 in Largo Rotonda. Da lì i podisti della Asd Atletica San Nicola avrebbero portato la fiaccola attraverso Via XX Settembre per giungere in Piazza Parrocchia, dove si sarebbe alzata un’altra fiamma per la benedizione di Don Antimo.
A seguire, sempre nella massima sicurezza garantita e controllata dalla Protezione Civile e dalla Polizia Locale, ci sarebbe stata una gustosissima serata allietata dal corpo di ballo dell’Associazione “La barca di Teseo” e da Gabriele Esposito: il tutto degustando un piatto tipico sannicolese (probabilmente pasta e fagioli) preparato dal maestro chef Mimmo Iannotta e dai soci della Pro Loco, nonché i dolci offerti dall’Associazione “Il Filo di Arianna”.
Ha vinto, per il momento, la pioggia. Ma è previsto, a breve, il recupero.
* * *
«’A lummenera ‘e Santu Nicola» è una delle più antiche tradizioni di San Nicola la Strada, che viene riproposta da alcuni anni dal Comune e dalla Pro Loco (prima si svolgeva nella Villetta Santa Maria delle Grazie e da alcuni anni in Piazza Parrocchia e Rotonda).
E’ un falò, un rito propiziatorio che si accende la sera del 5 dicembre di ogni anno, alla vigilia di San Nicola, Santo Protettore della città, per far sì che egli porti prosperità e benessere.
La storia, ricercata nelle sue fonti disponibili da Nicola Ciaramella e pubblicata sull’Enciclopedia Corriere di San Nicola, racconta che quando San Nicola la Strada era un piccolo borgo agricolo con pochi abitanti tutti dediti alla coltivazione della terra, nella sera del 5 dicembre la gente si riuniva in tutti gli angoli delle principali strade del paese intorno ad un grande falò per fare baldoria.
A fare da colonna sonora ci pensavano i versi della filastrocca “Suonno si viene, viene alla buon’ora all’ora ca’ nasceva Santu Nicola”.
Come spiega lo storico Franco Nigro e come ricorda anche Nicola Ciaramella, dopo la mattinata e il pomeriggio spesi per raccogliere il materiale da bruciare (fascine, paglia, legna), la sera si faceva a gara, soprattutto nei due quartieri storici della città, il “Tuorno” (la Rotonda) e il “Trivice” (la piazza) per allestire le “lummenere” più grandi, più luminose e più durevoli.
«‘O tuorno», ovvero la Rotonda, dalla forma del largo intorno ai due “emisferi” cittadini spezzati dal Vialone, detta anche i “pellicci” (i prati) per l’erba che ricopriva i suoi campi.
«‘O trivece», ovvero il “trivio”, dall’incrocio di Via XX Settembre (‘A via ‘a Maronna, detta così da quando esiste, perché era ed è la strada che conduce alla chiesa di Santa Maria della Pietà), Via Santa Croce (‘A via ‘a roce, detta così perché vi era una cappella della Santa Croce, patronato della settecentesca famiglia Santoro) e Via De Gasperi (‘A via ‘e pagliare, che conduceva al tenimento detto La Pagliara, ove nel 1813 la reale amministrazione acquistò del terreno per costruirci lo Stradone e i Passeggiatoi davanti alla reggia).
Ma non solo al “Tuorno” o al “Trivice”.
A fare la propria “lummenera" ci pensavano anche gli altri abitanti del paese, tutti rigorosamente individuati in base alla propria strada di provenienza.
C’erano, così, oltre alla “lummenera di for ‘o tuorno”, della “Via ‘a Maronna”, della “Via ‘e pagliare” e della “Via ‘a roce”, anche le “lummenere” di “ ‘A ret Sant Cummar” (Via SS. Cosma e Damiano), “ ‘A via ‘e nunziatelle” o “ ‘Ncopp ‘e taglie” (Via Appia), “ ‘a Via ‘e perruni” (Via Bronzetti), “ ‘A via ‘o turco” (Via Cairoli), ecc.
Ogni strada, insomma, aveva la sua “Lummenera”.
Tutti, il giorno dopo, a vantarsi di aver fatto quella con la fiamma più alta. Tutti a sfottersi e a scherzare (ma a volte si faceva anche sul serio...) per prendersi il merito di essere i campioni della “lummenera”.
Un po’ come un palio: dove per pochi batte il cuore del proprio quartiere e per tutti la gioia della propria città.
Tutti, insomma, per vincere una gara il cui unico premio era la soddisfazione di poterlo raccontare a tutti gli altri.
E poi, con il freddo imperante, la gente si riuniva intorno al fuoco e raccontava “i cunti” (chiacchiere, “fattarielli”, episodi realmente accaduti o personalmente vissuti e anche fantasie) nella speranza di trarre da essi insegnamenti, per sè stessi e per chi ascoltava.
A narrarli erano per lo più i vecchi, molto rispettati e dei quali si riconosceva la saggezza. E poi, mentre le strade della città continuavano a non spegnersi della luce dei falò, intorno al fuoco anche giochi, scherzi, balli e tammurriate organizzate dai più giovani e, immancabili, assaggi di vino nuovo, di pettole e fagioli e abbuffate di dolci fatti in casa.
Momenti di grande socializzazione per tutti, vissuti all’insegna della semplicità.
C’era bisogno di calore e di allegria nella fredda serata invernale. Ed ecco, a questo punto, l'abilità dei giovani che si lanciavano a saltare nelle fiamme per raggiungere il lato opposto del falò. Era un gioco divertente, ma anche pericoloso, che suscitava meraviglia e ammirazione negli spettatori. Il giovane che attraversava il fuoco con un lungo salto sembrava un angelo che volava indenne, senza essere bruciato dalle alte fiamme.
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