La speranza di un PUC a consumo di suolo zero
Ai sensi della normativa nazionale vigente, per una cittadina come San Nicola la Strada (più di 20mila abitanti) il verde pubblico deve essere non inferiore ai 180mila metri quadrati. Per farsi un'idea si consideri che la Rotonda misura all'incirca 30mila metri quadrati.
-di Pietro Scola-
Avere cura, conservare e migliorare il territorio dovrebbe essere prerogativa di chi amministra. I risultati dello stato delle città, spesso non proprio cresciute in maniera organica e con il rispetto di norme e vincoli, sono sotto gli occhi di tutti. Sulla carta le linee guida del governo del territorio dettano i principi per un'urbanizzazione attenta e civile, atta a garantire una giusta e buona qualità della vita. Standard di verde pubblico, spazi comuni, strutture scolastiche e sportive, attenzione alla mobilità leggera ed altri servizi per la realizzazione di beni comuni e diffusi che possano vedere realizzata la figura del cittadino, centro della società, cui garantire una vita dignitosa.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Standard_(urbanistica)
Dalla normativa nazionale vigente, cui il link precedente si riferisce, si deduce che relativamente al verde pubblico gli standard minimi di verde per abitante devono essere di 9 metri. Pertanto per una cittadina come San Nicola la Strada (più di 20mila abitanti) il verde pubblico deve essere non inferiore ai 180mila metri quadrati. Per farsi un'idea si consideri che la Rotonda misura all'incirca 30mila metri quadrati.
Per realizzare tutto questo, o almeno parte di questo, c'è bisogno di scelte coraggiose, che mettano in discussione gli interessi di singoli o singoli gruppi di interessi economici e che dovrebbero essere a vantaggio di tutti o almeno della maggioranza dei cittadini. Ed allora queste scelte devono passare da quel che è lo strumento principe del governo del territorio: il piano urbanistico comunale.
(il preliminare di PUC del comune di San Nicola la Strada).
Se nei preliminari, dove sono stati adottati, non si è avuto il coraggio di classificare non edificabile le aree cosiddette bianche o grigie, con i piani urbanistici, in coerenza con le politiche di consumo di suolo zero, rispettando gli standard urbanistici, si potrebbe contribuire decisamente alla speranza di salvezza del paesaggio e della stessa vita sulla terra. E' indispensabile classificare quelle aree come aree verdi non edificabili. Questa auspicata coerenza alle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici è, allo stesso tempo, e soprattutto, una questione di giustizia sociale.
Ora i proprietari potrebbero lamentare un danno economico ed è probabile che per questo motivo le amministrazioni spesso decidono di non decidere e di rimandare le questioni al futuro. Si temono ricorsi e molto probabilmente perdite di bagagli di voti alle future elezioni. Eppure sarebbe interessante affrontare gli eventuali ricorsi in giudizio, per andare diritti al punto fondamentale della questione: chiedere ai proprietari se hanno acquistato oppure no, a suo tempo, quelle aree a basso costo, come aree verdi e se possono dimostrare i danni economici subiti. Spesso non ricorre alcun caso di abbassamento del valore, area verde era all'origine ed area verde si conferma con il piano urbanistico.
Se hai acquistato un'area non edificabile e per la stessa viene sancita la non edificabilità, dove è il danno? Spesso ci troviamo di fronte ad imprenditori che hanno accresciuto i loro imperi economici, i loro patrimoni, senza fare impresa, soltanto con la" fortuna" di vedere variata la destinazione urbanistica di una determinata zona della città.
Fortuna, che è bene ricordare, non è stata per l'intera cittadinanza o per la maggioranza dei residenti. La proprietà del suolo, per Legge, non dà diritto automaticamente all'edificazione. Spesso gli amministratori comunali dimenticano questo. Lo spazio al di sopra delle aree e quello sottostante è bene demaniale, cioè proprietà di tutti. Tant' è che in passato i permessi a costruire si chiamavano "concessioni edilizie": il comune ti concedeva la possibilità di edificare, oggi è necessario comunque il permesso a costruire. Le amministrazioni, pertanto, nell' interesse generale e per un bene diffuso della cosa pubblica, stabiliscono a mezzo del PUC la gestione del territorio, le funzioni ed i servizi necessari. Prima di rilasciare ulteriori permessi è bene tenere presente tutti questi aspetti. Vogliamo salvaguardare il futuro del territorio con l'adozione di un Puc a consumo di suolo zero? Quali sono le ricadute economiche per la cittadinanza tutta in caso di ulteriori edificazioni? Le linee guida del Puc vanno nella direzione del miglioramento della qualità della vita per la maggioranza dei cittadini? Sono necessarie ulteriori residenze? Se è provato che l'incremento demografico del nostro territorio è a saldo negativo è evidente che non sussiste il bisogno di nuove case. Esistono già tanti appartamenti sfitti. I vantaggi economici per le casse comunali derivanti dagli introiti dei tributi dei permessi a costruire andranno rapidamente vanificati, come già accaduto, dagli enormi costi dei servizi che le amministrazioni dovranno affrontare ed i cittadini dovranno sopportare: nuovi allacci alle reti fognarie (con rischi alluvionali concreti per la rete non più adeguata al maggior numero di residenti che si aggiunge alla maggiore impermeabilizzazione del suolo), ripercussioni sulla portata idrica, lievitazione dei costi smaltimento rifiuti, aumento del traffico veicolare ecc. Di tutto questo bisogna tenere conto nelle valutazioni di futuri permessi a costruire. E' auspicabile per tutti i comuni della provincia l'adozione di PUC a consumo di suolo zero. Non ci saranno ripercussioni economiche per il settore dell'edilizia, le cui attività potranno essere indirizzate alle opere di riqualificazione e recupero dei centri storici e non solo, diventando anch'essi protagonisti della lotta ai cambiamenti climatici e attori per il miglioramento della qualità della vita delle nostre cittadine.
Pietro Scola
©Corriere di San Nicola
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