ANGOLI SANNICOLESI: San Nicola la Strada e i suoi monumenti
Bellezze storiche ed architettoniche, visibili e nascoste, di San Nicola la Strada
(rubrica ideata e curata da Nicola Ciaramella e Renato Ciaramella)
(TUTTE LE FOTO, TUTTI I VIDEO E TUTTI I TESTI DI OGNI SINGOLO ARTICOLO E DELLA RUBRICA “ANGOLI SANNICOLESI: San Nicola la Strada e i suoi monumenti. Bellezze storiche ed architettoniche, visibili e nascoste, di San Nicola la Strada”, IDEATA E CURATA DA NICOLA CIARAMELLA E RENATO CIARAMELLA, SONO COPERTI DAL ©COPYRIGHT DEL CORRIERE DI SAN NICOLA. NE È, PERTANTO, AI SENSI DELLA LEGGE, ESPRESSAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE O L'UTILIZZO SENZA IL CONSENSO DELL'EDITORE)
E’ un’impresa disperata, non c’è dubbio, ma speriamo di riuscirci. Perché è veramente tanto, smisurato ed implacabile l’amore che ci lega ai ricordi e alle bellezze passate ed ora sepolte della nostra città.
Con il magone dentro, con l'ansia di chi deve far presto per non trovare altro catrame ed altro cemento al posto di quegli ultimi brandelli di storia che ancora ci sono nei vicoli, nelle stradine di campagna, all'ingresso di un “portone”, in un giardino, ad un incrocio, prima che vengano inghiottiti dalle enormi fauci di un gigante inarrestabile nella sua spietata missione di travolgere tutto ciò che appartiene al passato, convinto di farne in questo modo l'emblema del futuro.
Tracciare un itinerario storico-turistico dei monumenti e delle opere d'arte di San Nicola la Strada non è stato facile cinque lustri fa, alla fine del XX secolo, quando “Il Ponte” pubblicò “Top Guida Tuttosannicola”, figuriamoci adesso, agli inizi del terzo millennio, quando, in pochissimi anni, il volto della vecchia città ha subito un mutamento da capogiro, sostenuto dalla diffusa smania di costruire grigi oceani di palazzi, seminare polvere di bitume, cancellare ogni barlume di verde.
Quante le testimonianze di tanti storici locali, scritte, riscritte e immortalate con il sangue della passione! Quanti gli "angoli" scoperti e portati alla luce attraverso opuscoli, libri, articoli.
A tentare di scuotere gli animi al fine di salvare il salvabile di quello che un tempo fu l’ingente patrimonio artistico della nostra città, e nello stesso tempo per immortalarne i “resti” con riproposizioni storiche e dossier fotografici, fu anche il Corriere di San Nicola, che, agli inizi della sua storia, tra il ’97 e il 2001, pubblicò sulle sue edizioni cartacee una rubrica dal titolo emblematico “ANGOLI SANNICOLESI”, tesa a riscoprire soprattutto le “bellezze nascoste” della nostra città, quelle verso cui non si dirigono normalmente gli occhi del cittadino, del viandante, del “turista”, tutti molto più facilmente attratti soltanto da due o tre opere architettoniche più conosciute, quali la Chiesa di Santa Maria degli Angeli rinata dalle ceneri di un ottavo Mercalli, la chiesetta della Rotonda, il Convitto borbonico.
Tolti, quindi, questi pochi monumenti, quelli che neanche un terribile lontano terremoto è riuscito e, speriamo, riuscirebbe a distruggere, a San Nicola la Strada non è rimasto granché dei suoi gloriosi e carezzevoli vessilli architettonici.
E noi proprio di questi, riproponendo questa nostra vecchia rubrica, vogliamo soprattutto parlare.
Per ripercorrere le origini e verificare lo stato attuale, a distanza di un quarto di secolo da Top Guida e di tre lustri dalla nostra prima rivisitazione, di quegli Angoli quasi “sconosciuti” che fanno ancora parte della nostra ricchezza. Per amore della nostra storia. Per il desiderio di trasmetterla ai nostri giovani. Con l’incomparabile speranza di conservarla non solo nella nostra memoria.
Per far sì che non ci restino soltanto monumenti di cemento a misura di marziani, così lontani dai nostri occhi innamorati, così intorpiditi dalla tetraggine della modernità, così vicini alla cupidigia dei disincantati.
Vogliamo parlare di una Colonna romana, della Tana di Mazzamauriello, della Canetteria, di una fontana adornata da delfini e di un'altra a fare da sentinella a vicolo Mirri, e poi il Mulino Palomba, Le Madonnelle, i Resti di Calatia, il Palazzo de Piccolellis, il Lazzaretto, la cappellina della Masseria Cuomo, le ultime edicole votive, e poi, e poi, e poi… beh, non c'è tant'altro da raccontare...
Ma a noi basta, veramente basta, per salvare i resti di un'immagine che non c'è più, se non nei nostri cuori e nei nostri ricordi.
Nicola Ciaramella e Renato Ciaramella, 2015
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(TUTTE LE FOTO, TUTTI I VIDEO E TUTTI I TESTI DI OGNI SINGOLO ARTICOLO E DELLA RUBRICA “ANGOLI SANNICOLESI: San Nicola la Strada e i suoi monumenti. Bellezze storiche ed architettoniche, visibili e nascoste, di San Nicola la Strada”, IDEATA E CURATA DA NICOLA CIARAMELLA E RENATO CIARAMELLA, SONO COPERTI DAL ©COPYRIGHT DEL CORRIERE DI SAN NICOLA. NE È, PERTANTO, AI SENSI DELLA LEGGE, ESPRESSAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE O L'UTILIZZO SENZA IL CONSENSO DELL'EDITORE)
"ANGOLI SANNICOLESI": rubrica ideata e curata dal "Corriere di San Nicola" volta a riscoprire le bellezze storiche ed architettoniche, visibili e “nascoste”, di San Nicola la Strada.
Alcuni stralci dal Corriere di San Nicola cartaceo che pubblicò, tra il1997 ed il 2001, la rubrica di Renato Ciaramella “Angoli Sannicolesi”
Un primo ideale itinerario storico-turistico alla (ri)scoperta dei monumenti storici sannicolesi fu pubblicato nel 1990 su TopGuidaTuttosannicola edito dal periodico Il Ponte.
Una mappa stradale dei monumenti storici di San Nicola la Strada fu disegnata da Renato Ciaramella, che, nella stessa opera, realizzò anche la prima cartografia viaria del comune.
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INDICE
-Le Madonnelle, la Lourdes di Via Appia
-Canetteria, dove la storia è sepolta
-La Statua del Sacro Cuore di Gesù, frutto di raffinatezza artigianale
-Lo stemma nobiliare del Casato Santoro all'ingresso del palazzo di Via Santa Croce, 12
-La Cappella di Santa Maria delle Grazie
-La Chiesa di Santa Maria degli Angeli
-La Fontana dei Delfini
-La Tana di Mazzamauriello
-La Fontana del Carolino
-Ex Mulino Palomba
-Ex Palazzo de Piccolellis
-La Colonna di Epoca romana
-Museo della Civiltà Contadina
-Ex Real Convitto "S. Maria delle Grazie"
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Le Madonnelle, la Lourdes di Via Appia
Piccolo angolo a metà della Via Appia, tra i numeri civici 109 e 111, che ospita, in nicchiette incastonate nel muro a mo’ di grotta, due statue raffiguranti la Madonna di Lourdes e Santa Bernadette. L’opera, alla loro venerazione dedicata, fu realizzata nel marzo del 1957 dai Padri Passionisti (in occasione di una loro visita missionaria a San Nicola la Strada volta alla celebrazione del centenario dell’apparizione di Lourdes) con la collaborazione del parroco di Santa Maria degli Angeli Don Domenico D’Andrea e dei fedeli della sua comunità parrocchiale. Fu restaurata nel 2007 dalla locale Associazione N.S. di Lourdes.
La zona è dai sannicolesi “doc” conosciuta con la denominazione storico-dialettica di “’ncoppe ‘e taglie” (il nome deriva dal luogo dove, dalla metà del ‘700 fino agli albori degli anni ’60, si tagliavano le pietre di tufo).
Vi si svolge, dal 1981, la Festa della Pace in onore della Santa Vergine di Lourdes e di Santa Bernadette, la più giovane delle tre feste religiose cittadine. Ideata, promossa ed organizzata per diversi anni da un comitato presieduto da Felice Aievoli (storico notissimo amatissimo personaggio sannicolese), è oggi promossa ed organizzata dalla Associazione Nostra Signora di Lourdes, collaborata dalla Parrocchia Santa Maria degli Angeli. Nel suo lungo evariegato programma, sempre più arricchitosi di iniziative nel corso degli anni, vi sono celebrazioni di messe da parte di numerosi sacerdoti della diocesi, momenti di convivialità e di solidarietà, sagre gastronomiche, spettacoli musicali e incontri culturali; si tratta, insomma, di una kermesse inneggiante alla pace, all’amicizia, alla fratellanza e alla fede in Dio che si svolge nell’arco di due settimane e che culmina nella Solenne Processione per le vie della città con la statua della Madonna di Lourdes e di Santa Bernadette.
Nicola e Renato Ciaramella
©Corriere di San Nicola
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Le Madonnelle, la Lourdes di Via Appia
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“Canetteria”, dove la storia è sepolta...
L'inizio dei lavori per la costruzione della Reggia di Caserta indusse il Re Carlo III ad acquistare alcuni terreni necessari per aprirvi delle cave di pietra.
Ciò coinvolse anche il “casato” di San Nicola che, data la stretta vicinanza al cantiere, rappresentava il posto più idoneo.
La presenza delle cave comportò quindi la necessità di reperire dei locali dove poter riunire gli animali addetti al trasporto delle pietre.
Tali locali vennero chiamati “boverie” e per poterli costruire furono acquistati altri appezzamenti di terreno da parte dei regnanti: tra questi, l’area che si trovava ad Est della zona dove in seguito sarebbe sorta la chiesa di Santa Maria degli Angeli.
Il trasporto delle pietre ebbe però giusto la durata della costruzione della Reggia, ragion per cui i locali adibiti a boverie vennero poi ingranditi per poter essere utilizzati dal seguito della corte reale.
Carlo III ed il figlio Ferdinando erano conosciuti anche come grandi amanti della caccia e per soddisfare questa loro passione acquistarono una enorme quantità di territori (dagli Astroni ad Agnano, da Licola a Calvi, dal Lago Patria a Carditello, da Caiazzo a Maddaloni e a S.Arcangelo, ecc.) che furono popolati di selvaggina di tipo diverso a seconda delle caratteristiche che essi presentavano: in queste zone sovente erano innalzati nuovi edifici o adattate ed ampliate vecchie costruzioni per consentire la permanenza del sovrano e del suo seguito durante le battute di caccia.
Così anche alla boveria di San Nicola capitò lo stesso destino. Essendo la zona molto vicina alla Reggia, quei locali vennero ampliati e riadattati a quelle che costituivano le esigenze della passione del re, e cioè a luogo di riposo, cura e allevamento di cani da caccia. Da qui il nome di “Canetteria”.
Volumetricamente la Canetteria si presentava in un primo momento soltanto ad un pian terreno, ove venivano ricoverati ed allevati i cani. In seguito, per venire incontro anche alle esigenze delle persone che si prendevano cura degli animali, vennero innalzati un primo ed un secondo piano (quest’ultimo ammezzato).
Il pian terreno è diviso in due zone. La prima che dà su Via Appia è composta di tredici bassi e retrobassi con un androne centrale e tre piccoli cortili.
In essa vi alloggiavano le scuderie e le cucine per i canettieri e i loro garzoni. La seconda zona, invece, è composta di quattro cortili e di undici bassi, dove sorgevano tre canetterie (la prima ha un cortile e tre bassi; la seconda due cortili e tre bassi simili; la terza, invece, ha tre cortili e cinque bassi, dall’ultimo dei quali si passa ad un altro cortile piccolo che ha l’uscita su Via Bronzetti).
Dei piani superiori, il primo era destinato ad abitazione di tre canettieri, mentre negli ammezzati alloggiavano i garzoni. Ogni canettiere aveva una abitazione con cinque stanze alla quale si accedeva per mezzo di due corpi scala, uno situato nell’androne di destra e l’altro nel secondo cortile a sinistra dell’androne stesso. Il secondo piano (l’ammezzato) era suddiviso in abitazioni più piccole e di minore importanza e a seconda del grado e del ruolo lavorativo del garzone vi erano camere singole o doppie alle quali si accedeva per una scala più piccola in continuazione di quella descritta a destra dell’androne.
Il complesso, nonostante la sua straordinaria origine, dopo la caduta dei Borboni ha continuato ad essere riadattato ed adibito alle più svariate funzioni, tra le quali anche quelle di alloggi militari, per arrivare ai giorni nostri a comuni abitazioni.
E’ veramente paradossale che nel mentre ti trovi ad attraversare quei cortili e ti soffermi ad ammirare, con enorme sforzo di fantasia, quelle piccole dimore immaginandole nella bellezza di quel periodo storico, all’improvviso ti spunta sopra la testa un’antenna parabolica che sta magari captando un documentario sulle meraviglie architettoniche dell’era borbonica…
Renato Ciaramella
©Corriere di San Nicola
La Canetteria in una foto del 1988 scattata da Renato Ciaramella
La piantina della Canetteria
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"Canetteria", dove la storia è sepolta ...
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La Statua del Sacro Cuore di Gesù in Santa Maria della Pietà: frutto di esemplare raffinatezza artigianale.
La statua del Sacro Cuore di Gesù collocata nella Chiesa di Santa Maria della Pietà di San Nicola la Strada non è stata eseguita da un artista importante, come si potrebbe pensare in un primo momento, quando la si osserva; né si tratta di una scultura in legno opera di maggiore importanza. Essa fa parte di quelle opere prodotte in serie ed eseguite in botteghe o in laboratori artigiani da maestri specialisti in opere di culto.
E' un manufatto in cartapesta, ma ciò non toglie merito al suo valore che si fonde nelle radici della tradizione religiosa. Va guardata con occhio predisposto all’emozione che la figura stessa suscita; per questo suo specifico carattere la statua è carica di una particolare sacralità i cui particolari, comunque ben curati, contribuiscono a conferirle.
La statua è del 1972 ed è una donazione fatta alla Parrocchia di Santa Maria della Pietà, allora retta dal compianto Don Giuseppe Bartolucci, dalla famiglia Filomena e Gigino Cicala. La sua importanza è solo religiosa, magari è il simbolo di un voto o di una particolare devozione da parte della famiglia Cicala.
Grazie alla disponibilità ed al permesso del parroco Don Filippo Frattolillo, sono riuscito ad aprire la teca ove la statua del Sacro Cuore di Gesù è collocata ed ho fotografato sia la scultura sia la targhetta (posta sul lato destro della base) sulla quale è riportato il nome dell’autore. Su questa etichetta si può leggere chiaramente il nome del negozio, l’indirizzo ed il numero di telefono (un numero a cinque cifre e senza prefisso: ciò fa capire quanto sia vecchiotto) nonché l'autore, di cui però si legge solo il nome "Giuseppe" mentre del cognome c'è solo l’iniziale "D"; il restante è illeggibile perché in parte strappato ed abraso. Mentre cercavo di capire e decifrare il resto del cognome, mi sono ricordato (come in un flash) l'immagine di questo piccolo negozio. Mi è venuto in mente poiché lo vedevo sempre quando transitavo per quella strada (nei pressi abitava un mio amico di università) e ogni volta restavo colpito per la sua singolare particolarità: era piccolo, un po' angusto; il buio lo faceva sembrare quasi tetro anche per via di vari pezzi di statue sparpagliati qua e là con arti mancanti o logorate dal tempo e che stazionavano in bella mostra nella vetrina e anche in strada fuori dal negozio in attesa di restauro. Ogni volta, quindi, mi soffermavo a guardare la vetrina da cui sbirciavo con curiosità l'operosità e la tecnica di quell'artista che con la sua bravura e con una calma certosina vi si dedicava a lavorare. Ahimè, di tempo ne è passato; difatti mi riferisco a, più o meno, 33 anni fa. Quel laboratorio adesso non c'è più, attualmente vi è un negozio di abbigliamento. Senza pensarci due volte, spinto da quei ricordi, mi sono recato in Via San Carlo alla ricerca di qualche notizia di quel locale e del signor Giuseppe. Ho girato nei paraggi chiedendo informazioni a dei negozianti, alcuni dei quali ancora stoicamente in loco; sono riuscito finalmente a trovarne uno, un po' anzianotto, che se ne ricordava, anzi conosceva personalmente lo scultore e titolare di quell'esercizio: mi ha raccontato per sommi capi un po' di lui e della sua vita. Il nome esatto è Giuseppe Desiato, aveva aperto la sua attività tra gli anni 1968 e ’70; più che scultore egli era un restauratore; si occupava, infatti, prevalentemente del recupero di sculture, sacre e non, di pastori del 700, di campane in vetro con santi, di cornici e corone sacre; lavorava prevalentemente su committenza di varie chiese nella Diocesi di Caserta, ma anche con privati. Poche sono le sculture da lui eseguite; si limitava a comporne copie per mezzo di stampi e calchi in gesso e cartone. Ha contribuito al restauro e ad interventi di recupero di alcune sculture danneggiate dal terribile terremoto del 1980, tra le quali, pare sempre dai quei ricordi oramai un po’ svaniti e lontani di chi mi ha raccontato, anche i due Angeli che si possono ammirare sull'altare maggiore della Chiesa di Santa Maria degli Angeli in San Nicola la Strada; è suo, inoltre, anche il restauro della Corona di Maria Ausiliatrice nella Chiesa dei Salesiani di Caserta, voluto fortemente dal Sac. Don Stella che ha voluto immortalare l'intervento con una targa in cui è specificato l’autore del restauro. Per una serie di eventi (la fonte non ne ricorda i motivi) il Desiato ha lasciato la sua attività cedendo il negozio ad uno dei suoi figli fino al 1986-88, per poi aprirne una nuova, ma di tutt'altro genere (sembra nel campo pubblicitario), in Santa Maria Capua Vetere. Desiato è stato poi in Africa per alcuni anni con un altro suo figlio, pilota per una compagnia commerciale africana. Purtroppo, chi mi ha raccontato ha perso ogni contatto con il sig. Desiato, dispiacendosi, però, nel riferirmi che quest'artista è deceduto un po’ di anni fa. Nonostante sia trascorso del tempo da quando erano quasi dirimpettai con i loro negozi, ne ricorda con vero affetto quel sano rapporto di vicinato, che gli lasciato nel cuore un caro pensiero ed una dolce malinconia.
Mi auguro, con questa piccola storia, di aver reso semplice omaggio sia alla persona sia ad un artigiano ma soprattutto ad un'artista, che con la sua bravura e dedizione ha contribuito alla conservazione di opere che fanno parte in ogni modo della storia del nostro passato e della nostra cultura; un artista senza il quale questi capolavori sarebbero potuto andare persi ,cancellandone quei segni di vita.
Sebbene, quindi, la statua del Sacro Cuore di Gesù collocata nella Chiesa di Santa Maria della Pietà non sia di autore famoso e non sia di materiale nobile, non bisogna però sminuire la sua importanza artistica poiché è un'opera frutto di bravura tecnica, di capacità scultoree e pittoriche che solo raffinati maestri artigiani possono eseguire.
La tecnica di realizzazione è antica come il tempo ed il procedimento è rimasto uguale nonostante oggi esistono materiali diversi (come resine e siliconi) e macchinari computerizzati che ne facilitano l'esecuzione. Mi fa piacere, però, spiegare come vengono realizzate queste opere. Una volta scelto il soggetto, si eseguono vari disegni preparatori dai quali, poi, con le proporzioni dovute, si preparano stampi in gesso riproducenti le varie parti del corpo della figura. Nelle cavità di questi stampi (ricoperte di talco e cera) vengono incollati pezzi di cartone bagnati e sovrapposti in vari strati in modo da creare uno spessore consistente; gli stampi riempiti vengono chiusi ed una volta asciugati (almeno dopo 24 ore) vengono aperti, se ne estrae l'involucro cavo di cartapesta con le forme creatasi e si lascia asciugare. Tutti i componenti riproducenti la statua vengono assemblati e rinforzati con altre strisce di carta e colla ricoprendo l'intera superficie; si lascia nuovamente ad asciugare. Intanto si prepara una miscela di polvere di gesso, acqua, colla e cartone inzuppato a mo’ di poltiglia ed il risultato che ne esce è una densa pasta adesiva che viene stesa con un pennello in modo uniforme su tutta la superficie asciutta, ripetendo l'operazione in modo che alla fine tutto diventi un corpo solido e forte. A questo punto gli artigiani, con una pasta più densa e lavorabile come la creta, scolpiscono e rifiniscono i particolari anatomici modellando tutti i dettagli (come occhi, capelli, ecc.) e, una volta asciugatasi l'intera superficie viene scartavetrata, lisciata e rifinita per essere poi dipinta; si applica una mano di fondo e poi il colore di base. A questo punto entra in gioco la bravura artistica degli esecutori che con colori e smalti completano l'opera utilizzando anche lamine sottilissime di oro o argento per arricchire o risaltare i particolare e rendere così più sontuosa la statua. Questa tecnica è stata ed è tutt'ora la più utilizzata, anche se con la tecnologia avanzata vengono utilizzati calchi in vetroresina o in silicone e così anche le statue risultano essere più leggere e resistenti ai vari agenti termici. Occorre però dire che nonostante queste opere non siano fatte in legno, in bronzo o in marmo, rappresentano comunque dei grandi capolavori perché in esse sono comprese la bravura, la manualità, la fatica vera e propria, la passione e, sebbene l'evoluzione dei materiali e dei macchinari ne facilita il compito, la tecnica artistica rimane sempre tale.
Renato Ciaramella
©Corriere di San Nicola
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Lo stemma nobiliare del Casato Santoro all’ingresso del palazzo di Via Santa Croce, 12: un importante solco nella memoria storica di Terra di Lavoro.
Solitamente il becco del pellicano irrompe nel proprio petto e dallo squarcio sgorga il sangue di Cristo, offerto vino eucaristicamente ai tre piccoli, disposti frontalmente e pronti ad assumerne la sostanza. L’atto è comunione dal sacrificio, nel progresso dall’uomo all’Uomo, quindi Logos. Altre volte il pellicano semplicemente nutre le creature, senza necessità di (visibile) lacerazione. In ogni caso esso è l’emblema del casato Santoro (e delle linee derivanti).
La pietà dell’uccello bianco è il simbolo principe nell’araldica Santoro, di grande importanza nel casertano e in tutta la penisola. Il momento della carità si svolge dal Fratello Maggiore ai minori.
A San Nicola la Strada non sono inconsueti gli stemmi nobiliari posti all’ingresso dei vari palazzi (basti osservare lungo la Via Appia). Tuttavia uno stemma offre particolare connessione ai fatti dell’alta politica campana e romana, appunto quello del pellicano, visibile all’ingresso del palazzo in Via Santa Croce numero dodici (dai colori brillanti, probabilmente frutto di restauro). Osservando la pianta del palazzo (o più comodamente coll’ausilio di Google Map) spiccano le dimensioni, occupando buona parte del proprio lato di strada e incrociandosi, non a caso, col Vicolo Santoro.
I membri di questa importante famiglia sono tradizionalmente noti in vari contesti e cronache. Tra i personaggi di spicco della storia casertana troviamo il Cardinale Inquisitore Giulio Antonio (Ercole di Caserta, 1532 - Roma, 1602), che ricopre un ruolo primario nelle politiche della Congregazione, sfiorando addirittura l’elezione a Pontefice nel 1592. Egli è anche autore di un importante trattato sulle eresie, aspramente combattute, sollecitando alla pubblica esecuzione dei condannati al fine di scoraggiare la diffusione di idee contrarie alla Dottrina.
Ogni angelo proietta una sua ombra sul tessuto dei secoli, come anche la colta metodicità dell’Inquisitore, oggi giudicabile terribile. Nel Cinquecento i movimenti evangelici conoscono l’abiura o il rogo, alimentati dall’entusiasmo del Santoro, che assiste anche ai processi contro Tommaso Campanella e Giordano Bruno: “Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”. E’ proprio l’Inquisitore Santoro a chiedere al Senato di Venezia l’estradizione del frate domenicano a Roma. L’alto prelato si ritrova addirittura accusato di congiurare per l’assassinio di Papa Pio IV, poi scagionato.
Al di là dell’Inquisitore - tra luci e ombre - l’illustre famiglia ha lasciato un importante solco nella memoria di Terra di Lavoro e San Nicola la Strada ne conserva più di una traccia nei percorsi quotidianamente vissuti dai cittadini. A riguardo sarebbe interessante una ricerca approfondita sulla gestione del patrimonio e delle cronache politiche locali da parte del Casato, evitando tanto l’insipidezza di un semplice pallottoliere cronologico, quanto la fanfara puramente celebrativa. L’ideale sarebbe l’attualizzazione di certi fatti, leggendone il costante presente, tra meriti e demeriti delle vicende locali, provinciali e regionali.
Antonio Dentice d’Accadia
©Corriere di San Nicola
(Dalla FotoGallery del Corriere di San Nicola, febbraio 2004)
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https://www.corrieredisannicola.it/angoli-sannicolesi/notizie/angoli-sannicolesi/il-pellicano-e-il-casato-santoro-tra-inquisizione-politica-e-congiure
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La Cappella di Santa Maria delle Grazie: dalla “Confraternita di San Nicola di Bari” al Real Convitto Borbonico
La piccola chiesa di Santa Maria delle Grazie era stata proprietà della “Confraternita di San Nicola di Bari” (costituita nel 1719), prima di essere acquisita dal Re Ferdinando II per essere annessa all’Ex Real Convitto Borbonico “S. Maria delle Grazie” (il monumento storico più importante di San Nicola la Strada).
Lo stesso monarca, consideratone lo stato di fatiscenza, la fece ristrutturare nel 1831, aggiungendovi i due campanili (in quello di sinistra, fino ad alcuni anni fa, erano ancora visibili i raggi di una meridiana; in quello di destra, il Comune, negli anni successivi alla sua ricostituzione, ha applicato un orologio meccanico sonoro).
Fu benedetta l’8 settembre 1851 dal Vescovo di Caserta: per immortalare l’evento, furono apposte, ai lati della porta, sulle superfici dei campanili, due lastre di marmo trattate a bugno contenenti le seguenti dediche:
«FERDINANDO II PFX
Hanc Sacram Aedem Novo Tectorio Parietibus Inducto Ceterisque in Meliorea Formam Redactis Orphanotrophio Sub Deipara Cratiarum Matre Addixit Eandemque Hospitio cum Ipso Puellis Mancipato Quarum Parentes Optime de Re Militari Meruerunt in Tutela Mariaetheresiae Reginae Ex Austriaca Imperatorum Procenie Coniugis Florentissimae Esse Voluit
(FERDINANDO II PFX Questo sacro edificio, dopo aver circoscritto un nuovo spazio con le pareti e dopo aver portato a miglior forma le altre cose, destinò a orfanotrofio sotto la protezione della Madre delle Grazie e volle che questo, insieme allo stesso ospizio, destinato alle fanciulle i cui genitori prestarono eccellentemente il loro servizio militare, fosse sotto la protezione della splendidissima consorte regina Maria Teresa della stirpe di Imperatori Austriaci);
QUOD BONUM FAUSTUM FELIXQUE SIT
Ferdinando II Adsertori Pacis Coniugi liberis et Genti Eius Totique Utriusque Siciliae Regno Vincentius Rozzolinus Episcopus Casertanus Hanc Aedem Mariae Sanctae Cratias Largienti Sacram Vi Idus Sept A.R.S. MDCCCLI Ipsa Coelorum Reginae Natali Die Solemnibus Caeremonis et Pompa Quanta Maxima Kiero Populoque Plaudente Dedicavit
(CIO’ CHE E’ BUONO E FAUSTO E FELICE A Ferdinando II difensore della pace, alla sua consorte, ai figli, a tutta la sua gente e al Regno delle due Sicilie, Vincenzo Rozzolino Vescovo di Caserta, questo sacro edificio a Santa Maria elargitrice di Grazie l’otto di settembre A.R.S. del 1851 proprio nel giorno della nascita della Regina dei Cieli con Solenni e con Clero in pomposa processione e con il popolo che applaude, dedicò)».
Tra i due campanili suddetti vi è il “TEMPIO” ispirato alle forme dell’architettura classica; infatti su di un alto basamento in tufo si ergono quattro lesene con capitelli dorici e con relativa trabeazione; il tutto sormontato da un timpano triangolare.
L’impianto interno è a navata unica a tre campate scandite da pilastri che reggono una volta a botte, con pennacchi in corrispondenza delle aperture.
Le tre campate sono contraddistinte dalla presenza di lesene con capitelli compositi dipinti in oro che reggono la trabeazione che scorre lungo tutta la navata.
Nella prima campata in alto c’è il coro, un tempo più ampio, riservato alle ragazze orfane ospiti dell’attiguo istituto. Ai lati dell’ingresso si notano due acquasantiere in marmo a forma di conchiglia (emblema delle opere vanvitelliane).
Nella seconda campata si aprono due cappelle voltate a botte. In quella di sinistra, al di sopra di un piccolo altare in marmo è collocata una tela, opera del Maldarelli datata 1851, raffigurante S. Teresa d’Avila inginocchiata nella sua cella, intenta a pregare davanti ad un crocefisso; ai piedi della Santa uno scanno con un teschio sopra ad un frustino. In quella di destra sopra l’altare un’altra tela del Maldarelli, anch’essa datata 1851, il cui soggetto è S. Luigi dei Francesi; ai piedi dell’altare è stata posta da un decennio circa una statua di Gesù morto appartenuta alla cappella gentilizia della baronessa Petitto e donata da quest’ultima all’istituto in seguito all’abbattimento del suo palazzo.
In corrispondenza della terza campata, nelle due cappelle laterali anch’esse voltate a botte, sono stati ricavati due livelli; i risultanti ambienti riservati alle suore sono schermati da griglie in ghisa lavorate.
Una lunga balaustra in marmo delimita la zona presbiteriale nel cui centro è l’altare maggiore in marmi policromi; su quest’ultimo una tela sempre del Maldarelli racchiusa tra due lesene sorreggenti un timpano.
Essa raffigura una Madonna delle Grazie che regge il Bambino Gesù. Nel lato inferiore sinistro un angioletto che regge un giglio e, quasi in penombra alle spalle della Madonna, un gruppo di angioletti.
Giova notare che questa tela è diversa dalla Madonna delle Grazie che si trova in S. Maria degli Angeli sopra l’altare del Gesù morto.
Renato Ciaramella
©Corriere di San Nicola
LEGGI PURE:
https://www.corrieredisannicola.it/angoli-sannicolesi/notizie/angoli-sannicolesi/la-chiesa-s-maria-delle-grazie
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(TUTTE LE FOTO, TUTTI I VIDEO E TUTTI I TESTI DI OGNI SINGOLO ARTICOLO E DELLA RUBRICA “ANGOLI SANNICOLESI: San Nicola la Strada e i suoi monumenti. Bellezze storiche ed architettoniche, visibili e nascoste, di San Nicola la Strada”, IDEATA E CURATA DA NICOLA CIARAMELLA E RENATO CIARAMELLA, SONO COPERTI DAL ©COPYRIGHT DEL CORRIERE DI SAN NICOLA. NE È, PERTANTO, AI SENSI DELLA LEGGE, ESPRESSAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE O L'UTILIZZO SENZA IL CONSENSO DELL'EDITORE)
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La Chiesa di Santa Maria degli Angeli
La chiesa di S. Maria degli Angeli con la sua maestosa facciata domina il nucleo storico di San Nicola Strada (Piazza Parrocchia).
Progettata da Pietro Bernasconi (direttore dei lavori del palazzo reale di Caserta), la sua costruzione risale al 1748, ma i lavori vennero affidati a Carlo Patturelli (allievo della scuola di Luigi Vanvitelli) che li terminò, dopo varie interruzioni, solo nel 1791.
Strutturalmente la chiesa è a pianta longitudinale ed è composta da tre navate.
Vi si accede da un ampio sagrato di poco rialzato rispetto al piano stradale, il cui intento era quello di affermare una spazialità unitaria ed accentrata, mentre l'interno è impostato da una successione di vani cubici.
La navata centrale è illuminata da ampi finestroni laterali ed uno centrale ed emerge in altezza il doppio rispetto alle due laterali, a loro volta anch'esse illuminate da finestre circolari e altre a forma di mezza luna sapientemente istoriate con vetrate colorate.
Il visitatore entrando viene subito rapito dalla maestosa tela dell'800, opera di Giuseppe Bonito, posta nell'abside dietro l'altare maggiore raffigurante l'assunzione in cielo della vergine attorniata da una schiera di angeli e l'immagine del Padre Onnipotente in un gesto di protezione, mentre in basso è raffigurato l'Arcangelo Gabriele intento ad uccidere con la spada il demonio sotto le sembianze di un drago.
La semicupola dell'abside è caratterizzata anche dal grande decoro a stucco che raffigura una coppia di angeli sospesa tra le nuvole che glorifica lo Spirito Santo, una colomba tra raggi dorati e putti.
Tutt'altra Assunzione, invece, è rappresentata nella tavola del ‘500 posta in fondo alla navata sinistra sull'altare del SS. Sacramento.
Rappresenta una scena divisa in tre momenti, ma idealmente collegati fra di loro, una trilogia legata al mistero Mariano: resurrezione, ascesa e incoronazione. La Vergine che ascende al cielo tra un folto gruppo di angeli è incoronata tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo mentre nella parte inferiore del dipinto colpisce lo sguardo degli Apostoli che rimangono attoniti nel trovare fiori nel sepolcro vuoto dove era stato sepolto il corpo di Maria.
In fondo alla navata destra, invece, vi è un affresco raffigurante la Madonna del Carmine, di cui è interessante la storia. Si narra dell'apparizione della Vergine ad un giovane di San Nicola la Strada, a cui avrebbe espresso il desiderio di recitare il rosario davanti alla sua immagine. L'affresco, che si trovava in una cappella votiva sulla via Appia, venne in seguito collocato in Santa Maria degli Angeli in fondo alla navata ove fu costruito un altare dedicato alla Vergine stessa.
Un altro altare, adorno di marmi intarsiati, venne costruito in onore alla Vergine del Santuario di Pompei; in esso si può ammirare la tela della Madonna con in grembo il Bambino nell'atto di donare il Santo Rosario ai santi Domenico e Caterina da Siena.
Altre tele, seppur meno importanti ma degne di considerazione, adornano le navate: quella della vergine Maria ancora giovinetta tra i suoi genitori S .Anna e S. Gioacchino e, subito dopo l'ingresso della navata centrale, due tele datate 1805 raffiguranti una la Crocifissione, l'altra S. Emidio vestito con paramenti sacri. Il Santo è ritenuto il protettore contro i terremoti e la collocazione della tela nella chiesa madre così come la data che essa riporta, non è casuale; infatti l'opera venne commissionata a ringraziamento dello scampato pericolo dal sisma avvenuto in quello stesso anno (26 luglio del 1805, come riportato nel testo "L'Italia nei cento anni del secolo XIX 1801-1900, giorno per giorno -ediz. A. Vallardi.)
Nel presbiterio in alto, due mosaici realizzati all'inizio del ‘900 da maestri fiorentini: uno raffigurante la consegna delle tavole dei comandamenti a Mosè e l'altro la Resurrezione di Cristo tra l'incredulità dei centurioni.
LEGGI QUI:
http://corrieredisannicola.it/images/stories/videos/chiesasantamariadegliangeli.pdf
(Fonte: Aspetti culturali nel territorio di San Nicola la Strada -Progetto art.23 l. 67/88, società attuante IDMR sas, coordinatori Renato Ciaramella, Natalina Di Spazio, Maria Gravante, Anna Gambardella, Maria Serino, Sebastiano Veccia, resp. del progetto Ing. Nunzio Zarigno, lavoro a cura di Arcangelo Saputo)
La chiesa di S. Maria degli Angeli sorge in una zona baricentrica rispetto al nucleo storico del paese, così come richiede la concezione cristiana, che vede nel luogo di culto il polo di convergenza della cittadinanza. Essa è orientata secondo l’asse Nord-Sud così come voleva la concezione pagana delle civiltà italiche; a differenza della cultura ellenistica che aveva una tipologia orientata secondo gli assi Est-Ovest.
Le documentazioni storiche fanno risalire al 1748 l’inizio della costruzione su progetto di Pietro Bernasconi; ma i lavori (affidati a Carlo Patturelli) vennero in seguito più volte interrotti, per varie difficoltà economiche. Nonostante ciò la chiesa fu completata nel 1791.
Strutturalmente risulta articolata su due livelli:
livello rialzato;
livello seminterrato;
Al primo livello che costituisce il vero luogo di culto, si accede da un ampio e recintato sagrato, rialzato rispetto al piano dell’asse viario.
Originariamente il livello seminterrato, era accessibile tramite una scala a chiocciola sistemata al lato sinistro dell’altare ricavata nella pietra di tufo costituente il naturale sottosuolo della zona.
Questo luogo, meglio conosciuto come “la fossa”, un tempo adibito a cimitero ed ossario, come testimoniano le tombe dei notabili del paese, è stato interamente modellato nel blocco di tufo e si contraddistingue in due ambienti; nel primo troviamo una serie di volte a botte e a crociera sorrette da tre file di piloni; quelle estreme scandiscono la distribuzione delle navate laterali, quella centrale sostiene il piano di calpestio della navata principale.
Nel secondo ambiente oltre alla zona centrale, posta in corrispondenza del presbiterio, caratterizzata da una copertura ottenuta dall’inserzione di più volte, troviamo due cappelline in corrispondenza delle sagrestie.
È interessante notare che la pietra di tufo, impiegata per la realizzazione delle strutture emergenti della Chiesa, è stata asportata, come già fatto precedentemente per la reggia di Caserta, dalle cave di S. Nicola la Strada (le cosiddette “taglie”) fonte di ricchezza del sottosuolo.
La tipologia della chiesa è a pianta longitudinale, essa è impostata dalla successione di vani cubici ed il tutto è stato progettato con l’intento di neutralizzare gli effetti illusionistici (che sono propri degli interni di molte Chiese) con la perentoria affermazione di una spazialità unitaria ed accentrata. L’illuminazione della navata centrale è assicurata dalla presenza di finestroni, realizzati lungo le pareti del corpo centrale che emerge in misura doppia rispetto ai corpi laterali, allo stesso modo viene illuminato l’altare maggiore tramite due finestre poste simmetricamente rispetto all’asse dell’abside e orientate a mezzogiorno.
La sistemazione di tali aperture, fa in modo che la luce esterna illumini maggiormente la zona presbiteriale. La facciata si ispira ai modelli proposti per la prima volta nel 1400, ragion per cui essa manca della caratteristica di originalità nella sua concezione, sebbene riproduca degnamente dei moduli, ampiamente sperimentati.
La sua superficie è suddivisa armonicamente non soltanto in senso orizzontale, ma anche in senso verticale mediante una serie di semi colonne addossate ad una serie di lesene piatte entrambi poste su di un alto basamento e sormontate da una trabeazione con capitelli ionici al primo ordine e corinzi al secondo.
La costruzione della facciata risulta inscritta in un immaginario quadrato di circa 30 metri di lato. Infatti, a ben vedere, si equivalgono quasi le dimensioni che riguardano l’altezza dell’edificio (30 m) e la sua larghezza (32 m). Il cornicione divide ulteriormente l’immaginario quadrato in due metà: la metà inferiore si articola in due quadrati divisi dal portale centrale, sovrastato da un quadrato diviso dal portale centrale, sovrastato da un timpano triangolare classico; nella metà superiore è intuibile un quadrato, delle stesse dimensioni dei precedenti, sormontato da un timpano semiellittico che nasconde la copertura della navata centrale.
L’intero prospetto viene così ad essere compreso in una lieve intelaiatura lineare, di chiare proporzioni, entro cui si iscrivono, con sobria eleganza, i portali, l’ampio finestrone centrale e le due aperture circolari in corrispondenza delle navate laterali.
All’estremità del primo livello, invece, si innalzano maestose due coppie di pinnacoli, scolpiti in monoblocchi di tufo, che poggiano su di un massiccio architrave.
Percorrendo via Bronzetti, come pure dall’interno del convitto S.M. Grazie, si possono notare una serie di contrafforti (in numero di sei per lato), che con la loro forma arcuata scaricano sui pilastri le spinte laterali del corpo di fabbrica centrale.
Quest’ultimo presenta una copertura a doppio spiovente, in coppi di terracotta, sorretta da quindici portentose capriate lignee.
Veniamo dunque, alla descrizione della struttura della Chiesa. La costruzione è caratterizzata da un’alta navata centrale, coperta da un’unica volta a botte, e da due navate laterali distinte in tre campate coperte da cupole semisferiche.
Come precedentemente detto, la distribuzione degli spazi è effettuata per volumi cubici; giova notare che, in corrispondenza delle 4 zone in cui è suddivisa ogni navata laterale, il soffitto risulta costituito da una cupola poggiante sui 4 archi intercolleganti i pilastri che delimitano il settore di navate considerato. Tali pilastri richiamano, nella decorazione a lesene, con trabeazioni di ordine ionico e corinzio, il motivo formale già presente, come detto, nella facciata principale. Contribuisce al decoro quell’imponente coppia di angeli sospesa tra le nuvole che glorifica lo Spirito Santo; da questo si dipartono aurei raggi che virtualmente illuminano la semicupola absidale.
Oltre agli stucchi, ai fregi, alle statue, la chiesa ci offre una serie di tele preziose. L’altare maggiore è sovrastato da una tela della fine del 1700 avente le dimensioni 10m x 5m, raffigurante l’assunzione in cielo della Vergine; in primo piano si nota l’immagine della Madonna, attorniata nella parte superiore da una folta schiera di angeli; sul lato sinistro l’immagine del Padre Onnipotente in un gesto di protezione, ed in basso, l’Arcangelo Michele intento a schiacciare e ad uccidere con la spada il Demonio sotto le sembianze di un drago. La figura dell’Assunta che sovrasta la luna, come si vuole nella descrizione dell’Apocalisse, è piena di plasticità data soprattutto dal panneggio del mantello.
In fondo alla navata sinistra, sull’altare dedicato al SS. Sacramento, è posta una preziosa tavola del 1500, la cui scena sopra dipinta, è divisa in tre momenti, idealmente collegati tra loro:
L’Assunzione al cielo della Vergine, tra un folto gruppo di Angeli.
L’incoronazione della Vergine, tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Gli apostoli, attoniti nel trovare fiori nel sepolcro dove era stato sepolto il corpo di Maria.
E qui vale la pena soffermarsi sulla grandezza espressiva dei loro volti, che colpisce anche i più distratti osservatori.
In fondo alla navata destra, invece, si può notare un affresco raffigurante la Madonna del Carmine, trovato tra i resti di una cappella votiva in Via Appia e più tardi collocato in questa Chiesa in ricordo di un fatto realmente accaduto. Infatti si narra dell’apparizione della Vergine del Carmine ad u ragazzo di S. Nicola la Strada, a cui avrebbe manifestato il desiderio di far recitare il Rosario davanti alla Sua immagine.
In seguito, davanti a questo affresco venne costruito un altare dedicato appunto alla Vergine del Carmine.
Inoltre, nella parete al lato destro di questo altare è visibile una lapide epigrafata dietro la quale riposano le spoglie di Francesco Saverio GUALTIERI, Vescovo di Caserta nel 1912, che espresse il desiderio di essere tumulato in questa Chiesa proprio
ai piedi del volto della Vergine, quasi a conferma di quel miracolo avvenuto.
Sempre nella navata destra, ai lati dell’altare sopra descritto, si può ammirare un’altra Assunzione; anche in questa tela è la figura della Vergine a dominare la composizione; un gruppo di angeli si accinge a sollevarLa dal catafalco; due di essi la spingono per i piedi, l’altro quasi coperto dalla figura, è intento a sorreggerla con le braccia.
Sull’altare del Gesù morto si trova una tela raffigurante la Madonna che allatta il bambino, (nella tradizione popolare questo gesto viene considerato come simbolo di grazia) invocata da anime in pena tra le fiamme.
Nella navata sinistra emerge l’altare dedicato alla Vergine di Pompei, interamente rivestito in marmi pregiati. Sull’altare si può ammirare la tela della Madonna con il Bambino nell’atto di donare la corona del Rosario ai Santi Domenico e Caterina da Siena; un poso più in basso rispetto a questi ultimi vi è raffigurato un cane che reca un bastone tra i denti, presenza insolita rispetto alla più famosa rappresentazione che si trova nel santuario omonimo.
Nella stessa navata, a sinistra dell’altare del SS. Sacramento, si trova una cupa tela nella quale si intravede la colomba alludente allo Spirito Santo che irradia di luce la Vergine Maria ancora giovinetta ed i suoi genitori, i santi Anna e Gioacchino
Nel retro della facciata, al di sotto della cantoria in legno, troviamo altre due tele, entrambe opera di G.M. Griffo datate 1805, raffiguranti l’una la Crocefissione con Santi, l’altra S. Emidio vestito con paramenti sacri. La presenza di quest’ultimo soggetto, non è casuale, infatti poiché S. Emidio è ritenuto protettore contro il terremoto, possiamo ipotizzare che la tela sia stata commissionata a ringraziamento dello scampato pericolo dal sisma che era avvenuto nello stesso anno (26 luglio 1805).
Nell’area presbiteriale, al di sopra delle aperture che connettono gli spazi laterali con quello dell’altare principale, trovansi due mosaici realizzati all’inizio di questo secolo da maestri fiorentini; rispettivamente sulla sinistra è raffigurata la consegna delle tavole della legge a Mosè, sulla destra, invece, la Resurrezione di Cristo tra l’incredulità dei centurioni.
Prima di concludere è giusto soffermarci un po’ su altri due punti importanti della nostra trattazione:
innanzitutto i sei altari addossati alle pareti delle navate laterali, tra i quali quello dedicato al Santo Patrono S. Nicola; nonché i finestroni semicircolari, a vetri istoriati posti sopra i suddetti altari laterali, risalenti ad epoca recente, non per questo da ignorare visti la buona fattura ed il gradevole effetto luminoso che i vetri colorati donano all’ambiente interno.
Da TOP GUIDA TUTTOSANNICOLA edito da Il Ponte, diretto da Nicola Ciaramella
LEGGI PURE:
https://www.corrieredisannicola.it/numeri_cartacei/Marzo_2002/tela.htm
Quella tela... scandalosa
Angoli Sannicolesi rubrica a cura di : Renato Ciaramella
Grazie al singolare ripudio dei committenti reali, la nostra Chiesa di S.Maria degli Angeli può pregiarsi della presenza di un grande capolavoro pittorico realizzato da Giuseppe Bonito.
Continua il nostro viaggio alla ricerca di piccoli angoli caratteristici, edifici, opere artistiche, particolari architettonici presenti nel nostro comune. E’ giusto soffermarci, stavolta, su quello che possiamo definire “scrigno di capolavori” che è la Chiesa di S.Maria degli Angeli ed in particolar modo sulle tele che vi si conservano e che è possibile ammirare all’interno di essa.
Pregevole, al riguardo, è la tela di circa dieci metri di altezza e cinque di larghezza che sovrasta l’altare maggiore, risalente alla fine del Settecento, il cui autore è Giuseppe Bonito, direttore dal 1755 della Reale Accademia del Disegno (dalla quale uscirono schiere di autori minori), noto soprattutto come ritrattista tale da ricevere l’appellativo di “pittore di camera di Sua Maestà- ma che nella sua carriera ebbe modo di confrontarsi con i più grandi protagonisti della pittura napoletana del Settecento come Solimena, Mengs, Luca Giordano e Sabatino Conca.
Solo nella piena maturità artistica, il Bonito divenne anche pittore sacro ed infatti in questa tela raffigurante l’ Assunzione della Vergine in cielo si avverte un forte linguaggio unitario frutto di molteplici esperienze culturali dalla cadenza barocca all’accentuazione del senso plastico del chiaroscuro, pur mancando quella personale libertà operativa tipica dell’arte ritrattistica, anche se la sua composizione scenica è di chiaro conformismo pittorico del sacro.
Posta al centro della scena, nello stretto rigore prospettico, si nota l’immagine della Vergine come intrisa di una luce propria, attorniata da una folta schiera di angeli, mentre sul lato sinistro vi è l’immagine del Padre Onnipotente colta in un gesto di protezione. Più in basso, l’Arcangelo Michele intento a schiacciare e ad uccidere con la spada il demonio sotto le sembianze di un drago. La figura dell’ Assunta che sovrasta la luna come si vuole nella descrizione dell’ Apocalisse è piena di plasticità data soprattutto dal gioco di luce e dal panneggio.
Si dice secondo alcuni aneddoti che questa tela sia databile anteriormente rispetto a quella che attualmente si trova nella Reale Cappella di Corte a Caserta: infatti la “nostra” era stata originariamente commissionata per la Cappella Reale, ma la presenza in essa di anime dannate ed ignude non fu gradita dalla Committenza, che dovette propendere per una seconda opera che, pur non differenziandosi molto dalla prima, è priva di “sconcezze”.
E’ quindi grazie ad un giudizio certamente superficiale e tutt’altro che riguardoso nei confronti di un grande artista che oggi i fedeli sannicolesi possono ammirare, durante le celebrazioni liturgiche, una grandiosa opera che rappresenta un degno coronamento per lo splendore della nostra Chiesa di S.Maria degli Angeli.
LE "CATACOMBE" DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI
https://www.corrieredisannicola.it/angoli-sannicolesi/notizie/angoli-sannicolesi/le-catacombe-di-santa-maria-degli-angeli
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La Fontana dei Delfini
Lasciata al suo degrado e sottoposta a continui atti vandalici perpetrati da chi non conosce il termine "civiltà", la Fontana dei Delfini che domina nella Villetta comunale Santa Maria delle Grazie di San Nicola la Strada suscita sempre un fascino particolare.
Magari per tanti è solo una fontana come tante... sì, carina...tanto per fare scena... eppure essa appartiene al nostro passato storico, alla nostra cultura e rappresenta una delle tante testimonianze, lasciate in questo caso dallo scultore, nostro conterraneo, Onofrio Buccini nato a Marcianise nel 1825.
Egli fu allievo di Antonio Calì (seguace a sua volta di Antonio Canova) ed è stato tra i maggiori esponenti della scultura napoletana dell'800 contribuendo alla crescita artistica della corrente neoclassicistica del regno borbonico. Difatti, le sue opere rappresentano un'ampia fetta dell'importanza artistica della provincia casertana.
Attualmente, purtroppo, questo maestro sembra essere stato dimenticato, relegato al passato, poco valorizzato e quasi mai ricordato e celebrato, in particolar modo anche dai quei tanti politici ed amministratori, avvicendatisi nel corso delle legislature trascorse, di quei comuni che posseggono alcune delle sue opere. Amministratori che potrebbero e dovrebbero promuovere iniziative ed essere orgogliosi di queste opere, per la loro importanza culturale e storica, che potrebbero essere rivalorizzate ed ammirate anche sotto altre prospettive, come, ad esempio, quella “turistica”, di cui tanto si parla e che poco o niente raccoglie di concreto.
Onofrio Buccini, scultore dell'800, ha operato in modo prolifico su tutto il territorio campano adornando e abbellendo con la sua maestria varie piazze, giardini e palazzi.
Tra i tantissimi lavori c'è da ricordare il gruppo scultoreo della Carità a Marcianise, lo stemma della città posto sulla facciata del comune, la Fontana della Sirena Partenope e la Sibilla Cumana a Napoli in piazza San Nazzaro e la più conosciuta Statua di Luigi Vanvitelli commissionatagli nel 1868 e posta nel centro della villa comunale di Caserta proprio davanti al palazzo del Comune.
La nostra elegante "Fontana dei Delfini", invece, realizzata nel 1853, gli fu commissionata per completare il gruppo scultoreo della Fontana di Cerere ed eseguita dall'artista prendendo spunto da idee e bozze del Vanvitelli; sembra che inizialmente dovesse far parte del gruppo scultoreo della Fontana di Cerere nel parco della Reggia di Caserta ed essere collocata tra le due sculture di delfini più grandi già esistenti nella vasca ... ma non essendo risultata adatta per l'effetto scenografico che doveva far suscitare allo spettatore da quella locazione, venne tralasciata l'idea iniziale e quindi fu successivamente trasportata e posizionata nel giardino del Reale Convitto di Santa Maria delle Grazie a San Nicola la Strada.
Strutturalmente è composta da una grande vasca in marmo di m 3,75 a forma ottagonale di cm 150 per ogni lato.
All' interno di essa sorge un gruppo basale composto da un blocco centrale, un parallelepipedo a base quadrata di cm 70x70x110 di altezza.
Su di esso si innalza una colonnina circolare lavorata a stelo di calice alta circa 120 cm e decorata con motivi a foglie, sulla cui sommità poggia una vasca circolare di 160 cm di diametro a forma di coppa, al centro della quale esce lo zampillo d'acqua.
Ai lati del parallelepipedo centrale sono attaccate altre quattro basi in marmo di cm 54x79 x82 (a mo' di croce) sulle quali poggiano le sculture dei quattro delfini (purtroppo sono delle copie in vetroresina fatte in sostituzione degli originali trafugati 33 anni fa).
Una nota curiosa sulla fontana: ad attirarne maggiormente l'attenzione è la forma alquanto strana e particolare dei delfini. Essi, infatti, vengono rappresentati differentemente da come dovrebbero essere in realtà; sono scolpiti grottescamente ed hanno le sembianze di creature marine mitologiche, nulla a che vedere con l'eleganza e la bellezza del delfino stesso.
Ma ciò non è un'errata interpretazione dell'artista. Le stesse caratteristiche si possono, infatti, notare anche in tanti altri gruppi scultorei eseguiti da molti artisti dell'epoca che hanno abbellito giardini e vasche.
Come alla Reggia di Caserta.
In questo caso, osservando la Fontana di Cerere, si notano, prima del gruppo scultoreo centrale, quasi isolati uno a destra ed uno a sinistra, due delfini di eguale fattura, anch’essi figure grottesche.
Sono forse legati a simbolismi?
No, più semplicemente si tratta di opere che fanno parte di quella corrente scultorea "Grotesque" (già nota nell'epoca romana), cioè un tipo di decorazione sia pittorica che scultorea contraria al canone di rappresentazione ed imitazione della forma ideale della realtà (mimesis), che era stata ripresa, seguita e resa popolare a partire dal tardo '400 da alcuni artisti e riproposta anche nel periodo neoclassico.
Alla fine, però, ammirando l'opera e soffermandosi sui tanti particolari e sulla bellezza dell'insieme, tocca allo spettatore stesso dare una sua personale interpretazione facendosi trasportare dal suo stato d'animo che quel momento suscita.
Renato Ciaramella
©Corriere di San Nicola
LEGGI PURE:
(https://www.corrieredisannicola.it/varie/notizie/varie/la-fontana-dei-delfini-trafugati)
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Resti di Villa Romana in Via Grotta
(là dove c’era la “Tana di Mazzamauriello”):
bellezza archeologica nascosta
Tra la fine del 2007 e l’estate del 2008, nel corso dei lavori di realizzazione della strada in prossimità della nuova fiera-mercato in Via Grotta, in località conosciuta come “Tana (o Grotta) di Mazzamauriello” (il folletto che, secondo la leggenda popolare e i superstiziosi, andava in sogno a chi gli era simpatico dicendogli dove erano nascosti i tesori e che, all’occorrenza, veniva “usato” dalle mamme sannicolesi di inizi-metà Novecento quale orco cattivo per ammonire e …mettere paura ai figlioletti capricciosetti allo scopo di tenerli buoni), vennero alla luce, dissepolti da una fitta coltre di terra ed erba selvatica di una viuzza di campagna denominata “’ncoppe ‘a rotta”, alcuni resti di una Villa Romana di epoca imperiale.
Della eccezionale scoperta fu immediatamente informata, dall’allora sindaco Angelo Pascariello e dall’allora assessore ai lavori pubblici Giovanni Battista Zampella, la Soprintendenza ai Beni Artistici e Culturali di Caserta (Uff. Archeologico di Maddaloni, diretto dalla D.ssa Elena Laforgia), che predispose accurate indagini dichiarando l’area di grande interesse archeologico.
Allo stesso tempo, fu predisposto dall’amministrazione un progetto ad hoc finalizzato al completamento degli scavi e alla valorizzazione e salvaguardia di quest’opera dal valore inestimabile per la storia e per la cultura (ma anche per il turismo) della città di San Nicola la Strada.
Grande merito ascrivibile all’amministrazione Pascariello, a testimoniare sensibilità ai valori della storia sannicolese, fu la realizzazione di una “deviazione” stradale con la quale si pensò di proteggere la zona interessata dalla “tana”.
Dalla Sovrintendenza giunse poi il consenso ad un progetto predisposto dall’ufficio tecnico comunale per lo scavo completo e per la valorizzazione dell’intera area, in un continuum dal sapore classicheggiante tra la “Corte del Dominus” (o “Domus del Centurione”), ovvero i reperti ritrovati durante gli scavi, “Le botteghe del centurione” (denominazione assegnata all’area mercatale, nata dal parere degli esperti archeologi che la costruzione di epoca romana imperiale fosse appartenuta ad un centurione romano) e il Teatro Comunale intitolato al grande commediografo latino Tito Maccio Plauto.
L’idea elaborata dall’Ing. Zampella fu quella di realizzare un percorso per il visitatore (provvisto di fari per l’illuminazione), un affascinante itinerario culturale e turistico a complemento e cornice della struttura comprendente il teatro comunale e l’area mercatale.
Il progetto fu finanziato ed iniziato (si vedono ancora il cancelletto di ingresso e quello di uscita), ma è rimasto solo tale, in quanto nessuna delle amministrazioni che da quel momento hanno governato e si sono succedute è stata in grado di portare a compimento il bellissimo disegno di dare la giusta attenzione ad un manufatto di rilevanza storica indiscutibile.
Quei resti di “villula romana” che furono la leggendaria “tana di Mazzamauriello”, venuti alla luce per puro caso a concreta testimonianza della storia di San Nicola la Strada, sono tornati, da quell’anno negli anni, patrimonio quasi interamente sepolto da erba e terra. E per vederli, almeno per quello che è possibile, occorre aspettare il lunedi, giorno di apertura dei cancelli della fiera settimanale.
L’erba rigogliosamente cresciuta e non curata ha nascosto anche quella parte della struttura che fino a pochi anni fa era visibile attraverso una finestra di vetro ricavata sul marciapiedi. L’erba selvaggia, insomma, è ritornata padrona e ha di nuovo ricoperto quasi tutto di quei reperti venuti alla luce nel 2008.
L’intera zona è indubbiamente importante dal punto di vista archeologico e non si esaurisce con le cisterne portate alla luce: un’altra costruzione romana, infatti, sembra che sia sepolta nel lato opposto della strada (ne sono visibili alcune pietre).
La speranza, comunque, è sempre l’ultima a morire. Chissà se un giorno la “tana di Mazzamauriello”, quell’atavico ancestrale “buco” della fantasia popolare, già sepolta per millenni, poi, per puro caso, riportata alla luce ed ora di nuovo “ri-sepolta”, riuscirà ad occupare quel posto di privilegio nel patrimonio storico-culturale di San Nicola la Strada che certamente merita.
(Leggi articolo https://www.corrieredisannicola.it/arte-cultura-e-spettacoli/notizie/arte-cultura-e-spettacoli/la-ri-scoperta-della-tana-di-mazzamauriello
e guarda VIDEO-intervista https://youtu.be/QaPbyaSAoGE su Corriere di San Nicola)
LEGGI PURE:
https://www.corrieredisannicola.it/angoli-sannicolesi/notizie/angoli-sannicolesi/resti-di-villa-romana-in-via-grotta-la-dove-c-era-la-tana-di-mazzamauriello-bellezza-archeologica-nascosta)
I reperti, dal valore storico-architettonico-culturale inestimabile, venuti alla luce nel 2007-2008, nel corso dei lavori di realizzazione dell’Area Mercato, grazie alla forte attenzione dell’Amministrazione Pascariello, sono, purtroppo, andati “ri-sepolti” negli anni e non sono accessibili a potenziali visitatori.
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La Fontana del Carolino
La Fontana del Carolino, che si trova all’incrocio tra Vicolo Mirri e Via Santa Croce, fu realizzata nel 1851 dall’architetto Domenico Rossi, su commissione del sovrano borbonico, che ne fece dono alla cittadinanza.
Essa rappresentò uno dei tantissimi terminali dell’Acquedotto Carolino, il grandioso progetto di ingegneria idraulica elaborato tra il 1753 ed il 1770 da Luigi Vanvitelli per il re di Napoli, Carlo di Borbone (in onore del quale fu così denominato), che permetteva il convogliamento di risorse idriche dalle sorgenti del Taburno per rifornire i siti reali casertani (il parco della Reggia con tutte le annesse strutture) e le popolazioni abitanti nelle zone limitrofe.
Ma oltre ad essere fonte primaria di acqua potabile per i cittadini, la fontana del Carolino, come si evince da alcune testimonianze rinvenute in documenti storici, funse per svariati anni anche come abbeveratoio per buoi e cavalli dei quali si servivano i contadini per trasportare le merci agricole dalle campagne.
La Fontana di epoca borbonica si trova in uno slargo delimitato da due setti murari alti circa tre metri che formano un angolo retto nella cui vertice si inserisce il blocco dell'abbeveratoio. Nonostante sia di fattura mediocre dovuta per la povertà del materiale utilizzato, l'autore si è basato sugli schemi neoclassici ed infatti essa è composta di tre parti distinte proprio come una colonna di stile classico: c'é una base, un fusto ed una sommità e proprio come una colonna ne rispetta anche le giuste proporzioni con sobria eleganza nonostante il fusto un po' tozzo in larghezza.
La fontana poggia su un basamento composto da tre grandi pietre calcaree semicircolari alto circa 15 cm e la vasca, che segue la forma semicircolare bel basamento, è ricavata da tre blocchi di pietra calcarea sapientemente scolpita in modo tale da avere una successione toro-trochilo-toro proprio come la base (ma molto ingigantita nelle dimensioni) di una colonna neoclassica che richiama quelle delle colonne poste sia sulla facciata di Palazzo Reale che quelle poste nelle gallerie laterali della Cappella Reale.
Il fusto cilindrico, invece, è costruito interamente in mattoni ed ha un diametro più piccolo rispetto a quello della vasca, emergendo a tutto tondo.
Infine, sulla sommità del cilindro è posta una coppa lavorata in pietra calcarea che armoniosamente prende il posto del capitello.
C'è da aggiungere una nota molto negativa (sarebbe meglio metterci una pietra sopra…) a questa bella opera (seppur povera nel materiale costruttivo ma molto significativa e di interesse storico), che con un certo sarcasmo fa chiaramente capire il modo in cui sia stata amata e considerata dai sindaci e dagli amministratori locali che man mano si sono succeduti negli anni. Qualcuno ben pensò, alla fine degli anni ’80, di riempire l'alveo della vasca con una bella colata di cemento. Altri, nel 1996, ripresero in considerazione l’opera con un restauro (o meglio, una lavata di faccia...) apponendo una targa di ricordo tanto per lasciare l'impronta dell'attenzione dell’amministrazione, per poi lasciarla nuovamente all'abbandono. Altri ancora, nel 2015, pensarono ad una nuova pittatina. Lo spazio che ospita la fontana, è vero, è angusto, un po’ nascosto e questo certamente influisce negativamente sulla fruizione visiva, ma, nell'insieme, come abbiamo già detto, l'opera seppur povera nel materiale offre comunque al visitatore una storica testimonianza e andrebbe quindi pienamente rispettata.
©Corriere di San Nicola
diretto da Nicola Ciaramella
-foto copertina di Luigi Cirillo
La Fontana del Carolino, ubicata all’ingresso del Vicolo Mirri (proprio per questo denominato, in dialetto locale, come ricorda lo storico Francesco Nigro nei suoi preziosi libri, “inte ‘a funtana”), come si vedeva prima del restauro del 2015 (foto di Luigi Cirillo).
La Fontana del Carolino dopo il restauro del 1996 fatto eseguire dallo storico Francesco Nigro, allora sindaco di San Nicola la Strada (foto tratta da una delle quattro “cartoline della città” fatte realizzare, a sue spese, da Nicola Ciaramella nel 2005 per raccogliere fondi a favore della edificanda nuova chiesa della Rotonda).
Particolare di Via Santa Croce con la Fontana del Carolino vista dall'alto (foto del 2004 tratta dalla Videogallery del sito del Corriere di San Nicola)
La Fontana del Carolino a dicembre 1987 (foto di Renato Ciaramella)
La targa in marmo dedicata a Giuseppe Mirri, all'ingresso del vicolo, prima del restauro.
Mirri, maggiore garibaldino, viene ricordato perché proprio a San Nicola la Strada, il 17 novembre 1860, stilò il rapporto sul combattimento di Castel Morrone avvenuto tra camicie rosse e borbonici in data 1° ottobre 1860.
Questo il testo dell'iscrizione: “A RICORDO DI GIUSEPPE MIRRI MAGGIORE DEI GARIBALDINI CHE A SAN NICOLA LA STRADA IL 17 NOVEMBRE 1860 SCRISSE IL RAPPORTO SUL COMBATTIMENTO DI CASTELMORRONE DEL 1° OTTOBRE 1860”.
La targa che ricorda il restauro della Fontana del Carolino eseguito nel 1996 dall'amministrazione guidata da Francesco Nigro.
Così c’è scritto: “FONTANA DEL CAROLINO CONCESSIONE BORBONICA SECONDA META’ XIX SECOLO RESTAURATA NEL 1996”.
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Ex Mulino Palomba, la storia, le idee...
Il “Mulino Palomba”, posto su Via De Gasperi a metà strada tra il Municipio e il Viale Carlo III, è sorto due secoli fa come esempio di opificio industriale destinato a mulino e pastificio (nell’epoca della cosiddetta “rivoluzione industriale”) ad opera di Luigi Palomba sull’antica Via delle Pagliare. Alcune fonti (progettisti di idee per il recupero dell’edificio) rilevano che probabilmente è datato 1823 e fu costruito ad opera di Antonio Fisone, industriale napoletano trasferitosi nella nostra cittadina, con la antica denominazione di “Pastificio Fisone”. A conferma del fatto che non fosse stato Palomba a costruirlo, ma che invece questi fosse intervenuto più tardi, altre fonti parlano di un precedente proprietario, Francesco Rossi, che nel 1889 denunciava la consistenza complessiva dell’edificio e l’articolazione dei vari ambienti, e che a questi, nel 1908, succedeva il nuovo proprietario Palomba che realizzava consistenti ampliamenti e sopraelevazioni. Poi, nel 1942, in piena guerra, l’edificio veniva requisito dal “ramo guerra” per essere poi occupato dagli americani che lo utilizzeranno come quartier generale e come alloggio e ricreazione per i soldati (pare che il corpo edilizio a Nord-Ovest su Vicolo Casermette, a più piani e oggi senza solai, in cui si intravedono alcuni vecchi disegni sui muri con didascalie in lingua inglese, sia stato manomesso e privato dei solai per ospitare un cinema). Sull’area retrostante, nello stesso periodo e in successivi, furono realizzate delle “Casermette” (piccoli edifici ad un sol piano, per di più coperti probabilmente con amianto, quali pertinenza dell’immobile principale, destinati a residenza di militari), che oggi versano in uno stato di totale abbandono.
L’edificio copre una superficie di circa 2460 mq e si erge con i suoi 30.000 mc circa su tre livelli fuori terra. La pianta irregolare a corte, che si sviluppa intorno ad una corte centrale di circa 517 mq, è costeggiata a nord dall’area suddetta “le casermette” e sul fronte nord-ovest da ampio cortile, nonché circa 30.000 mq di area a verde di proprietà demaniale.
(Fonte: numero cartaceo di aprile 2003 del Corriere di San Nicola)
Foto storica dell'interno del cortile del Mulino Palomba scattata da Renato Ciaramella: trattasi di esemplare unico esistente.
(TUTTE LE FOTO DI QUESTO SERVIZIO SONO COPERTE DAL ©COPYRIGHT DEL CORRIERE DI SAN NICOLA. NE E' ESPRESSAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE O L'UTILIZZO SENZA IL CONSENSO DELL'EDITORE)
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Foto aeree dell'area del Mulino Palomba realizzate dal Corriere di San Nicola nel 2004
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Il Mulino Palomba visto dalle Casermette (Foto storiche con esemplari unici scattate da Renato Ciaramella)
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Una finestra assolutamente da salvare!!!
Un’opera d’arte giace tra i ponteggi metallici…
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«… un particolare poco conosciuto di questo antico edificio, in penoso e completo stato di abbandono, del quale si parla ormai da oltre un quarto di secolo in tutti i programmi dei nostri politici: c'è chi avrebbe voluto farne un centro polifunzionale, chi ne ha fatto un deposito per i camion della nettezza, chi vorrebbe adibirlo a scuola d'arte, chi lo ha soltanto transennato per preservare i passanti dai frequenti crolli di cornicione.
Nella speranza che a qualcuno non venga in mente l'idea di …abbatterlo (con il benestare dei Beni Culturali), ci soffermiamo, in questa sede, su di un particolare architettonico che caratterizza il corpo di fabbrica sinistro la cui facciata superiore è interamente in tufo a vista. Sul portone di ingresso a questa ala della struttura si apre una finestra a bifora, cioè suddivisa in due aperture (molto usata negli stili medioevali e nel primo rinascimento). L'edificio però è del secolo scorso per cui, logicamente, non possiamo dare grosso rilievo o valore storico a questa bifora, però è interessante sottolineare ugualmente la sua bellezza ed il suo stile, ma soprattutto l'uso del materiale ed il modo in cui essa è stata ideata. Lunga m. 3.30, ripropone un modulo ben chiaro ed infatti la sua altezza è la metà di quella del portone (alto m.4,70) mentre la sua ampiezza è un sesto della lunghezza della base dell'edificio sinistro (m.25). Lateralmente fuoriescono due lesene piatte che oltre ad aggettare verso l'esterno il corpo centrale, fanno anche da cornice; le due finestrelle ad arco sono inquadrate da tre semicolonne di cui una fa da asse centrale del portone.
Le semicolonne sono interamente in blocchi di pietra di tufo sapientemente sagomate e di colore più chiaro rispetto a quelle della facciata, mentre mattoncini in terracotta ne alternano la composizione; inoltre poggiano su un lungo davanzale formato da un blocco unico di pietra chiara buccettata. Gli infissi in legno purtroppo non esistono più, sono rimaste solo le due arcate a raggiera. E' una finestra semplice, costruita con materia povera, umile (tufo e terracotta) tipica della nostra zona, materiali che sapientemente accoppiati e lavorati ne hanno fatto un esempio di ricchezza creativa…».
(Estratto da un articolo di Renato Ciaramella pubblicato sul numero storico 12 del Corriere di San Nicola cartaceo, ottobre 2001)
A sinistra, il cortile del Mulino Palomba transennato a causa del crollo avvenuto il 21 febbraio 2010. A destra, interno del fabbricato con evidenti segni dei continui crolli e atti di vandalismo e di saccheggio perpetrati nel tempo (Foto con esemplari unici scattate da Renato Ciaramella).
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Il cortile del Mulino Palomba visto dall'alto della torre del fabbricato (Foto storica con esemplare unico scattata da Renato Ciaramella)
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Il "Concorso di Idee" del 2002
La riqualificazione del fatiscente ex opificio di Via De Gasperi al fine di destinare la struttura ad attività socio-culturali fu oggetto, nel 2002, di un “Concorso di Idee e Progettazione per il risanamento dell’ex Mulino Palomba” indetto dall’amministrazione comunale guidata da Angelo Pascariello.
Dieci i professionisti che parteciparono e altrettante le proposte interessanti che furono presentate. Non fu affatto facile il compito della commissione giudicatrice della gara, composta dall’Ingegnere Capo del Comune di San Nicola la Strada, Paolo Vasta, dall’architetto Raffaele Fimmanò (responsabile della sezione urbanistica del Comune), dall’architetto Saetta nominato dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Caserta, dal presidente dell’ordine degli Ingegneri di Caserta, Severino, nonchè dall’architetto Berardelli nominato dalla Sovrintendenza ai beni artistici ed ambientali.
Il primo premio dell’importo di 2.500 euro fu assegnato, dopo molteplici sedute di valutazione conclusesi nell’aprile 2003, al team composto dagli architetti Pasquale Iaselli e Giancarlo Leone e dagli ingegneri Corrado D’Alessandro e Gianfranco Ditella. Il progetto proposto dai vincitori proponeva l’utilizzo della struttura come duplice “galleria” culturale e ricreativa (Galleria del Museo e Galleria dell’Incontro) in stretta relazione ambientale con il centro storico: non un’opera fine a se stessa, ma ricucita accuratamente nel contesto urbano di Piazza Municipio e proiettata verso una futura ridefinizione dell’area “Casermette”.
Oltre a questa, da ricordare tantissime altre idee proposte dai concorrenti, come un Museo del Bambino, un Centro di riabilitazione per anziani, un Palazzo della cultura, una Torre Belvedere. Una serie di progetti con al centro strutture culturali ed aggregative, come biblioteche, auditorium, musei, mostre permanenti, teatri, videoteche, scuole di restauro, sale convegni, parchi urbani e addirittura un centro di documentazione delle tecniche di agricoltura biologica, un ristorante su tre livelli con terrazza panoramica e la ricostruzione della ciminiera con un sistema di ascensore e scala all’aperto.
Nulla da invidiare, insomma, alle opzioni studiate per l’Officina Mulino Palomba, che, bisogna sottolineare, trova la sua grandezza per l’ampia, praticamente totale, destinazione della struttura a tutte le fasce sociali della popolazione, dai giovani (Atelier delle Professioni e Laboratorio delle Idee) alle donne (Centro AntiViolenza sulle donne), dalle famiglie (Centro di Mediazione Familiare) agli immigrati (Centro di Mediazione InterCulturale), dai bambini (Servizio Integrativo per l’infanzia) agli anziani (Centro per Anziani) e ai disabili (Centro di Aggregazione per Disabili): una serie comprensiva di tutti i servizi sociali e culturali indispensabili per le attuali soffocate esigenze dei cittadini sannicolesi.
Del concorso e di tutti gli elaborati presentati furono dati ampi risalti, in esclusiva, dal Corriere di San Nicola.
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L' ex Palazzo de Piccolellis
L’edificio (come riportato da in Top Guida TuttoSannicola, 1990, edito da Il Ponte, diretto da Nicola Ciaramella) risale al XVIII secolo. Di origine napoletana, i De Piccolellis (nobile famiglia che ha avuto tra i suoi antenati un certo Ottavio, deputato del Parlamento Borbonico -) occupavano nello spessore sociale del nostro paese uno dei principali spazi.
Il palazzo, venduto nel 1940 ad un acquirente locale (famiglia Pinto), presenta una facciata, prospiciente Piazza Municipio, dall’architettura semplice.
Sotto l’arco a tutto sesto dell’ampio portone di ingresso, alloggia lo stemma di famiglia scolpito nel marmo. L’arma è costituita da uno scudo di modello sannita diviso in quattro parti uguali e da due linee, una verticale ed una orizzontale.
Il primo quarto (superiore a destra) è occupato dall’arma gentilizia primitiva, tre rose bottonate in banda: emblema della bellezza, dell’onore incontaminato, della soavità dei costumi della nobiltà e del merito riconosciuto.
Nel secondo quarto (superiore a sinistra) sono scolpite cinque lune crescenti montanti disposte a croce.
Nei quarti inferiori campeggiano le figure araldiche di tre bande e di un leone rampante (bocca aperta, lingua sventolante, coda ripiegata verso la schiena, testa in profilo) simboleggiante la forza, la grandezza, il comando e la magnanimità.
Sovrasta lo scudo d’arme, a ricordo della cavalleria e delle imprese militari, un elmo di nobile: profilo pieno verso destra graticolato di nove pezzi e con la visiera alzata.
Agli appartamenti, costruiti su due piani, si accede attraverso una scala di artistica fattura che si snoda sul lato destro dopo l’ingresso. All’apice di essa, si trovano i locali dove per moltissimi anni ebbe ad esercitare la sua professione il Dr. Alessandro Pinto, una delle figure storiche dei medici di famiglia dell’epoca.
Dall’ampio cortile del palazzo, al centro del quale si staglia un tiglio ultra secolare, si accede ad un meraviglioso caratteristico giardino di notevole interesse storico-botanico, in larga parte dismesso negli anni più recenti, e ad una cappella gentilizia che si affaccia su Via XX Settembre.
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La Colonna di Epoca romana in Piazza Parrocchia
Una Colonna in granito rosso sorge in Piazza Parrocchia, all’incrocio tra Via Appia e Via Bronzetti.
Alla sua base vi era, fino ad alcuni anni fa, un cippo marmoreo collocato dall’amministrazione comunale, che fu inaugurato il 18 dicembre 1988, alle ore 11:00, in ricordo e a celebrazione del XXIII centenario della costruzione della antica Via Appia dei Romani, iniziata da Appio Claudio il Cieco nel 312 avanti Cristo. Su di esso un’epigrafe riportava le seguenti parole: “COMUNE DI SAN NICOLA LA STRADA, XXIII CENTENARIO DELLA COSTRUZIONE DELLA VIA APPIA, 18 DICEMBRE 1988”.
Il cippo e la targa sono scomparsi da diversi anni: non si sa se perché trafugati da ladri o da vandali o se buttati via forse perché corrotti dal tempo.
La colonna ha delle caratteristiche ben precise che la fanno datare circa alla stessa età dell’Appia. Ha una altezza totale di m. 3,65; il suo granito rosso è simile a quello esistente presso l’Anfiteatro campano di S. Maria C.V.
L’ipotesi che la colonna sia una pietra miliare dell’Appia, come qualcuno ha accennato in passato, sembra da scartare del tutto. La tipologia delle pietre miliari, infatti, con la loro struttura, la loro non eccessiva lunghezza, il materiale usato (prevalentemente pietra viva o travertino) e le iscrizioni, è lontana dalle caratteristiche espresse da questa colonna.
Le pietre miliari dell’Appia, come quelle conservate presso i Musei Vaticani, sono, infatti, molto più piccole e riportano scolpite le indicazioni del miglio.
Un’ipotesi che, invece, regge, è che questa colonna potrebbe ritenersi una colonna di transetto di un tempio pagano calatino riutilizzata per una chiesa paleocristiana, che sorgeva nei pressi della attuale chiesa parrocchiale e poi collocata in quel sito al fine di ricordarne l’esistenza.
Bisogna, inoltre, ricordare che la collocazione in quel posto potrebbe anche sottolineare la presenza di un “mansio” (stazione di posta), numerosi lungo l’Appia e citati da Orazio nella V Satira del libro I.
Oppure poteva indicare l’approssimarsi dell’ingresso della città di Calatia, oppure ancora il reperto può essere stato collocato in quel luogo per indicare il centro del sorgente villaggio di San Nicola.
Il granito rosso e la lunghezza, che nella sua totalità supera di poco i tre metri, farebbero, inoltre, pensare ad una colonna impiegata per qualche monumento funerario o tempietto posto lungo l’Appia.
(La prima foto, la più recente, è di Biagio Pace. Tutte le altre, soprattutto quelle scattate quando ancora c'era il cippo con l'epigrafe, sono di Renato Ciaramella)
©Corriere di San Nicola
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Museo della Civiltà Contadina
Il “Museo della Civiltà Contadina” fu istituito l’8 ottobre del 1993, ai sensi della Legge Regionale n. 4/83, grazie all’interessamento dell’allora Sindaco Francesco Nigro, storico e raffinato cultore della storia e delle tradizioni di San Nicola la Strada. Per allestire il “luogo delle memorie”, egli si appellò al buon cuore dei sannicolesi, a loro chiedendo di raccogliere testimonianze storiche della civiltà contadina e delle tradizioni passate. In breve tempo furono recuperati oggetti conservati nei sottoscala, nelle soffitte nei cortili, come ad esempio le zappe, le carrucole di legno, mozzi di carri e reperti anche di grande rarità e curiosità.
Il Real Salone Borbonico non a caso fu scelto come sede del museo, in quanto all’interno si respirava un’atmosfera che riportava indietro nel tempo.
“Un passato che non deve essere dimenticato; le nostre origini devono essere ricordate ed il museo della civiltà contadina è un patrimonio storico da tutelare”: con queste parole, ogni volta che capita l’occasione, Francesco Nigro è solito testimoniare il suo amore per il passato.
Negli anni, purtroppo, lo stesso Salone Borbonico è stato trascurato e lasciato all’usura del tempo; di conseguenza, anche il tanto apprezzato museo comunale ha risentito di tale incuria. Purtroppo le varie amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni poco hanno fatto per rinvigorire e dare lustro a questi luoghi ricchi di memoria.
Da ricordare, comunque, che il Museo Comunale della Civiltà Contadina ha un regolamento approvato con delibera di C.C.n.38/2008 del 23.9.2008. Dal giugno 2012, inoltre, ha assunto la nuova denominazione, scarsamente recepita, di "MAC -Museo di antropologia culturale di San Nicola la Strada”.
Poi è sopraggiunto Vito Marotta, artefice di importanti azioni e decisioni volte a ridare al Museo la dignità e il decoro che gli spetta.
©Corriere di San Nicola
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Ex Real Convitto "S. Maria delle Grazie"
Da TOP-GUIDA TUTTOSANNICOLA (sezione "Itinerario turistico") edita da "Il Ponte", direttore Nicola Ciaramella, 1990
IL REAL CONVITTO E ORFANOTROFIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE DI SAN NICOLA LA STRADA
-di Francesco Nigro, 2004-
http://corrieredisannicola.it/images/stories/videos/libroilrealconvittodinigro.pdf
(per gentile ed esclusiva concessione al direttore del "Corriere di San Nicola", Nicola Ciaramella, da parte dell'autore Francesco Nigro e del realizzatore del file Michele Cavaso)
I SOTTERRANEI DEL CONVITTO BORBONICO
https://www.corrieredisannicola.it/angoli-sannicolesi/notizie/angoli-sannicolesi/i-sotterranei-del-convitto-borbonico
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.......continua.....
(TUTTE LE FOTO, TUTTI I VIDEO E TUTTI I TESTI DI OGNI SINGOLO ARTICOLO E DELLA RUBRICA “ANGOLI SANNICOLESI: San Nicola la Strada e i suoi monumenti. Bellezze storiche ed architettoniche, visibili e nascoste, di San Nicola la Strada”, IDEATA E CURATA DA NICOLA CIARAMELLA E RENATO CIARAMELLA, SONO COPERTI DAL ©COPYRIGHT DEL CORRIERE DI SAN NICOLA. NE È, PERTANTO, AI SENSI DELLA LEGGE, ESPRESSAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE O L'UTILIZZO SENZA IL CONSENSO DELL'EDITORE)
NIKIPEDIA
"TuttoSanNicola"
l' Enciclopedia
di San Nicola
la Strada
fondata e diretta
da
Nicola Ciaramella
PROSSIMAMENTE ON LINE
I LIBRI DI ANTONIO SERINO
Tutti gli scritti del saggista cattolico sannicolese
(Tutta la produzione letteraria è pubblicata su ©Corriere di San Nicola)
VIDEOFOTOTECA
Documenti filmati e fotografati per la storia e per l'attualità
-di Biagio Pace-
IL VADEMECUM DELLA RACCOLTA DEI RIFIUTI
Tutto quanto bisogna sapere sulla raccolta dei rifiuti a San Nicola la Strada
VINCENZO SALZILLO, PIANISTA
Tutta la carriera artistica del talento musicale sannicolese
(a cura del ©Corriere di San Nicola)
NAPOLI NEL CUORE
Tutta la storia dell'evento promosso da Alfonso Moccia narrata ed immortalata dal Corriere di San Nicola
LA STORIA DELLA PROTEZIONE CIVILE DI SAN NICOLA LA STRADA
Fiero di averla narrata ed immortalata sin dal primo giorno sulle pagine del Corriere di San Nicola.
Onorato di essere il giornalista più titolato a parlare di questa grandissima squadra.
Nicola Ciaramella
STORIA DEL CORPO DELLA POLIZIA MUNICIPALE DI SAN NICOLA LA STRADA
Fu istituito nel 1990. Le carriere dei sei comandanti che sinora lo hanno guidato.
LA “GIORNATA IN RICORDO DELLE VITTIME SANNICOLESI DEL COVID”
Si celebra ogni anno il 7 Aprile
OGNI CITTADINO PUO' SALVARE UN CITTADINO
Tutti gli articoli del "Corriere di San Nicola" sul progetto
"SAN NICOLA LA STRADA CARDIOPROTETTA"
Come possiamo salvare un bambino con le vie aeree ostruite da corpo estraneo
IMPARIAMO TUTTI QUESTE MANOVRE !
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-Buone pratiche di protezione civile a cura anche del Nucleo della Protezione Civile di San Nicola la Strada-
IL MIO REGALO ALLA MIA CITTA'
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Un “clic" quotidiano cominciato mercoledì 9 febbraio 2005...
Una città, il cuore, la mente...
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PAOLO CONTE, PILOTA
(TUTTO sulla carriera del piccolo grande fenomeno del motociclismo casertano)
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Gruppo Facebook "DON ORESTE NON E’ ANDATO VIA”: continua, senza pause, l’iniziativa creata da Nicola Ciaramella per mantenere sempre vivo il ricordo dello scomparso amatissimo parroco di Santa Maria della Pietà.
29.ma Festa del Tesseramento dell’Associazione N.S. di Lourdes
Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione.Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione. 1
GIUSEPPE STABILE,
talento canoro sannicolese
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Il nostro GRAZIE a quanti hanno scelto le nostre immagini dall'alto di San Nicola la Strada quali icone di siti internet e di gruppi facebook locali
TUTTO IL "DISSESTO FINANZIARIO" MOMENTO X MOMENTO
Come si giunse al giorno più nero della storia amministrativa sannicolese e chi nulla fece per evitarlo
San Nicola la Strada SEMPRE nel cuore
...Una bellissima iniziativa per tutti i sannicolesi...
PERCORSO QUARESIMALE CON LA SANTA SINDONE
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