“A casa mia si mangia così”
Parte da Caiazzo il concorso teso a riscoprire attraverso la narrativa gli usi e i costumi dell’antica arte culinaria italiana.
Associazione ARDA, Associazione Culturale “Giovanni Marcuccio”, Associazione Fotografica “Elvira Puorto”, Centro Madre Claudia, Centro di promozione Culturale “Franco de Simone”, Il pungolo verde, Medievocando, Monte Carmignano per l’Europa, Museo KERE, Termopili d’Italia, con il patrocinio del Comune di Caiazzo,
con l’intento di riscoprire attraverso la narrativa gli usi e i costumi dell’antica arte culinaria che diversamente potrebbe cadere nel dimenticatoio,
Organizzano
la I edizione del Concorso Nazionale di Narrativa - Racconto Breve “A casa mia si mangia così” (i ricordi di ieri e di oggi mi ammaliano e mi deliziano).
Questo il Regolamento:
-La partecipazione è consentita agli autori di ogni età, nazionalità, etnia, religione o sesso.
-I racconti dovranno essere inviati in lingua italiana o in vernacolo con relativa traduzione.
-Possono partecipare al concorso racconti sia editi che inediti.
-Ogni autore può inviare fino a 3 (tre) racconti (massimo 5 cartelle, 10000 battute, carattere 12).
-Di ogni racconto inviato sono richieste 5 (cinque) COPIE di cui una con la firma e i dati personali dell’autori (indirizzo, recapiti telefonici, indirizzo di posta elettronica).
-È richiesto per ogni racconto un contributo di partecipazione alle spese di 5 euro (cinque euro).
-La quota di partecipazione dovrà essere versata sulla seguente
POSTE PAY Evolution Intestata a Giuseppe Pepe C:F; PPEGPP45H25B362M
IBAN IT43LO760105138203865503866 causale da indicare: “partecipazione RACCONTO BREVE”.
-L’autore deve inoltrare una dichiarazione nella quale afferma che i racconti sono frutto del proprio ingegno ed autorizza al trattamento dei dati personali.
-I racconti dovranno essere inviati entro il 30 maggio 2021, farà fede il timbro postale, a: Concorso Nazionale di narrativa – Racconto breve “A casa mia si mangia così…” (i ricordi di ieri e di oggi mi ammaliano e mi deliziano) Giuseppe Pepe – Via Umberto I, 27/5 – 81013 Caiazzo (CE) oppure inviati all’indirizzo email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Partecipano senza versare alcuna quota di partecipazione
- I giovani che non abbiano raggiunto la maggiore età;
- Gli scrittori diversamente abili, con invalidità riconosciuta superiore al 45% (allegando una copia del provvedimento che ne riconosce lo status);
- Gli ospiti delle case circondariali.
Per info e contatti visitate la pagina Facebook https://www.facebook.com/AcasamiasimangiacosiConsorsodiNarrativa
O scrivete all’indirizzo email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.m
L’arte culinaria in tutte le realtà periferiche delle cittadine italiane era prevalentemente di origine e di elaborazione popolare.
Le saporite pietanze che quotidianamente venivano preparate dalle massaie nelle private abitazioni paesane e contadine rappresentavano anche le succulenti attrattive che Osti ed
Ostesse magistralmente servivano agli affezionati clienti.
Caiazzo, cittadina dell’alto casertano, non era da meno, oltre a dare i natali a pittori, artisti, poeti, scrittori, scienziati, dai primi decenni del secolo XX, per due volte a settimana, mercoledì e domenica, teneva un ricco mercato. In grande abbondanza giungevano commercianti di prodotti di genere diverso.
Era il più importante mercato del circondario e ospitava, dal pomeriggio del giorno
precedente, molteplici venditori che giungevano carichi della loro mercanzia non solo dalle
campagne ma anche dai paesi viciniori. Essi offrivano la loro merce ad innumerevoli
acquirenti.
Questi, venditori ed acquirenti, avevano il piacere di assaggiare, sia a pranzo che a cena,
appetitosi ed accattivanti piatti, innaffiati dall’ottimo vino locale, preparati da:
1) Panificio di “Zi’ Ciccio” di Francesco Pepe.
L’attento e amorevole occhio ha avvolto, come se fossero delle creature, in spessi
lenzuoli e allineati in contenitori di legno, fragranti pezzi di caldo e odoroso pane, di
pezzatura diversa, pronti per essere consegnati ai locali negozi. Questi, chiamati “ ‘a
cocchia ‘e pane”, avevano la forma di due pagnotte legate a forma di otto.L’operoso lavoro notturno era terminato.
Al finir della notte, nelle primissime ore dell’alba, la meglio gioventù, dopo una nottata
trascorsa a girovagare per le strade del paese impegnati in interminabili discussioni,
senza giungere mai ad una conclusione condivisa, su sport, storia, letteratura, poesia,
musica e politica si intrufolava nel panificio. Zi’ Ciccio, alto di statura, capelli biondi e
lisci, occhi sereni e luminosi, li riceveva con il solito bonario saluto:
“pure stanotte state che rrote pe terra” e preparava la mitica, saporosa, sempre ben
accetta, “pizza ‘ngan’ ‘u furno”. Una vera delizia.
Altre notti uno dei baldi giovani portava un barattolo di vetro, frutto di un bonario
furto alle riserve di casa. Era festa grande. Zi’ Ciccio arricchiva i corposi, caldi fragranti
panini con la succulenta salsiccia conservata nella sugna. In un attimo la sugna sciolta
impregnava il panino. Che nettare. Il corposo bicchiere di rosso vino aiutava la
digestione.
1 a) ‘A Cantina ‘e Zi’ Stefanina” di Stefanina Santacroce.
A pochi passi dal forno del marito Ciccio Pepe, insisteva” ‘a cantina ‘e Zi’ Stefanina”.
Donna paziente, serena, materna, sempre disponibile e al momento opportuno anche
molto energica. Il suo impegno quotidiano, svolto sempre con diligenza, era ripartito
tra l’accudire i sei figli, di carattere, indole e personalità molto diversa, e la gestione e la
conservazione della cantina a cui aveva dato un’impronta familiare e popolare. I piatti
che venivano serviti erano di carattere casereccio in quanto a pranzo e a cena anche la
famiglia si riuniva in cantina. Quotidianamente, per sfamare i figli e gli acquirenti non
molto danarosi cucinava zuppe con i diversi legumi. Ceci, fagioli e lenticchie
rappresentavano il sacro, corposo e sempre ben accetto alimento.
Nei fine settimana parte della locale gioventù, la più intraprendente, per vincere la
noia, si riuniva nella cantina di Zi’ Stefanina per giocare a “padrone e sotto”. Gioco di
carte napoletane che ad ogni mano stabiliva chi era deputato al ruolo di “padrone”,
conduttore del gioco, e chi “sotto”, che assumeva il compito di controllare, collaborare,
od ostacolare lo stesso gioco. Il padrone, a cui era affidata la gestione di 2 o 3 birre,
chiedeva se un suo amico potesse degustarne un bicchiere. Se l’offerta riceveva il suo
avvallo, il privilegiato invitato poteva bere, altrimenti quella birra doveva essere
ingurgitata dal padrone. Il detto comune era: “quan’ ‘u sott’ è buon’ ‘u patrone nu serve”.
Naturalmente il gioco consolidava amicizie o acclarava divisioni. Alla fine il gioco
decretava il fatidico deriso “chiuppo”, colui che, per avversa sorte, non aveva assaggiato
neanche una goccia di birra e il suo gargarozzo era rimasto a secco. Quando gli animi
s’infervoravano e il tono delle voci diventava molto alto Zi’ Stefanina, da attenta
commerciante, interessata anche a che il gioco si dilungasse per lungo tempo e
proseguisse serenamente in modo da vendere un numero sempre più consistente di
birre, interveniva da paciere, dicendo “va bbuo’, nun t’ ‘a pigglià, chesta man’ è ghiuta
accussì, ‘a prossima va meglie”, o da castigamatti con la minaccia di accompagnare alla
porta chi non rispettava un educato buon comportamento.
A gioco terminato i giovani, dopo aver pagato, si affrettavano a lasciare il locale, Zi’
Stefanina raccomandava loro “ jat’ a sbaria’ for’ ‘u monte pecchè fra poco caccrun’ ‘e vuie
farà ‘u palummo”.
1- b) “Antica Osteria Pizzeria Pepe” di Stefano Pepe.
L’annoso e massacrante lavoro notturno nel forno del meticoloso padre gli avevano
permesso di acquisire una profonda esperienza in merito ai vari tipi di farina (dura di
grano tenero) lo convinse, agli inizi degli anni ’60, ad imbarcarsi in una nuova e
appassionante avventura: aprire l’Antica Osteria Pizzeria Pepe.
L’Italia stava vivendo un periodo di risveglio, il Boom economico. Il grosso incremento
delle attività lavorative in tanti campi permetteva ai giovani ma anche a intere famiglie
di trascorrere un momento conviviale in ristorante ma innanzitutto nella nascente
pizzeria.
Stefano, uomo alto, slanciato, biondo, dal sorriso allegro e paziente, era scrupoloso e
sempre pronto a soddisfare le richieste degli avventori. Ebbe il piacere di acquisire
un’affezionata clientela “assicurando la qualità e il rispetto del territorio”. Con maestria
preparò “le pizze della tradizione classica napoletana”, in primis la regina “Margherita”
e a seguire, marinara, diavola, capricciosa, quattro stagioni, calzone, ma anche crocchè
di patata ed il rinomato soffritto rosso di frattaglie, tutto accompagnato dalla bionda
birra. Il continuo afflusso di clienti ha ampiamente dimostrato che la sua scelta aveva
colto nel segno.
A volte alle 11.00/11.30 del mercoledì, giornata di mercato, mi attendeva, all’inizio dei
giardinetti che delimitano il locale pizzeria, con tegamino di terracotta tra le mani.
Sapevo che mi avrebbe salutato con: “Frato’ assaggiamme na furchtat’ ‘e linguine cu’
cheste marruzzell’ ‘e siente comme chiammano”.
Il volto descriveva l’immagine di una persona che sta chiedendo una cortesia.
La risposta era “’e sent’ ‘e sente, jamme”, e la giornata irradiava il mio cuore di gioiosa
contentezza.
La prelibatezza che assaporavo nel tirare fuori, con uno stuzzicadenti, la carne delle
lumachine di mare era arricchita dal profondo significato di quell’invito.
1- c) Dopo la dipartita di Stefano, la conduzione dell’Antica Osteria Pizzeria Pepe è
passata ai figli Francesco, Antonio e Massimiliano.
“L’innovazione si sposa felicemente con la tradizione, con quanto tramandato dal
capostipite Stefano (Papà)”
1- d) Dopo 15 anni di gestione comune, Francesco, primogenito, si è staccato
dall’azienda di famiglia ed ha intrapreso un percorso tutto suo.
La lenta, continua e meticolosa realizzazione del suo sogno antico.
Ed è nato: “Pepe in Grani”.
“Pepe in Grani è un luogo dove fermarsi a ragionare sul concetto della pizza, dove un
disco di pasta contiene saperi e sapori che parlano di terra, di passione e di dedizione per
il proprio lavoro”.
2) “ ‘A cantina d’ ‘a Pacchiana” di Filomena Pasquariello.
La piazza del mercato dava accesso alla scuola, al palazzo vescovile, alla cattedrale e al
vicolo in cui aveva sede la cantina. Ciò permetteva agli ospiti di accedervi e sgattaiolare
senza essere visti.Era gestita da Filomena Pasquariello, donna solare, intraprendente ed esperta, che
sapeva camuffare le ansie del tormentato periodo con una triste allegria.
Il soprannome che le era stato affibbiato era “Pacchiana”, dovuto non solo al suo
abituale abbigliamento. In testa l’immancabile “maccaturo”, un fazzolettone per
contenere i capelli, e a volte, la mitica “sparra”, sistemata sul capo in modo da tenere in
equilibrio capienti ceste di vimini contenenti pesi consistenti. Colorate gonne lunghe
fino ai piedi ed ampie camicie a contenere pettorali gonfi e tremolanti coperti
dall’immancabile scialle triangolare bloccato in vita. I piedi infilati in robusti zoccoli di
legno.
Con la speranza di portare clienti alla sua cantina, nei giorni antecedente il mercato,
martedì e sabato, gli avventori, i venditori ambulanti e i cittadini potevano assistere a
bonari, divertenti e grossolani battibecchi pregni di doppi sensi, che a volte
rasentavano la volgarità, tra la nostra Pacchiana ed altre bottegaie della piazza.
A tutte le ore della sera si poteva gustare il saporito “pane cotto con i fagioli”.
Nel primo pomeriggio la nostra Pacchiana rosolava e stufava in olio d’oliva la saporita
cipolla e peperoncino, appena imbiondita, univa, per farli insaporire, brodosi fagioli già
lessati e salati ed infine immergeva abbondanti duri tozzetti di pane raffermo.
L’aggiunta di un filo d’olio, quale tocco finale, completava l’opera. Inoltre, con maestria,
aveva cucinato il soffritto, servito in un piatto fondo sopra un letto di fette di duro
pane. Immancabili e numerosi erano i quartini di un vino rosso corposo proveniente
dalle vigne del circondario.
Al centro del pavimento della cantina, una botola, chiusa da una porta, immetteva, per
mezzo di una scala in legno, al vano sottostante. Qui, ad una temperatura abbastanza
bassa, erano conservate le botti contenenti il vino.
Nel periodo della vendemmia, per la pulizia interna, le botti, tirate da funi, venivano
riportate nel vicolo per mezzo di binari presenti sui montanti della scala.
3) “ ‘A Cantin’ ‘e Zi’ Peppe Agli’ Aglio” di Giuseppe Ponsillo.
Nelle torride o fredde serate nella cantina di “Peppe Agli’ Aglio”, uomo burbero ma di
indole buona che in innumerevoli occasioni aveva dato ampia dimostrazione della sua
giusta generosità, le operose mani di Zi’Gnese e di Nanninella, con amore, passione e
dedizione preparavano squisiti cibi di una volta.
Il corso più importante della città era arricchito da accattivanti odori del baccalà fritto
e del succulento soffritto. In autunno, invece, era spettatore attento del rotolio delle
botti da lavare, in cui una grossa catena di ferro immersa in acqua, rotolando, ne
raschiava l’interno detergendola.
Ora le botti erano pronte a contenere il vino novello.
Un frizzante bicchiere della mitica Spuma permetteva a imberbi giovani avventori di
assistere ai programmi televisivi serali. Ai palati più fini, a richiesta, veniva servito
dell’ottimo Zibibbo, vino dolce, giunto in botti di 25 litri dalla Sicilia. La bontà della
semplicità.
4) “ ‘A Cantin’ ‘e Jolanda ‘a schiavetta” di Violante Diana.
All’imbrunire dalla cucina della “Cantina di Jolanda a schiavetta” si espandeva nella
piazza lo stuzzicante odore di verdi peperoni fritti, alla brace, cucinati in delicata salsa
di pomodoro, oppure imbottiti con pane raffermo, alici e capperi. Piatti semplici ma
squisiti. L’obiettivo da centrare era solleticare l’olfatto per soddisfare la gola. Difatti, al
rientro dalla passeggiata pomeridiana, la Prima Donna cittadina, attratta
dall’accattivante buon odore, si fermava per informarsi: “Cosa avete preparato di tanto
buono da stuzzicarmi l’appetito?”. Invitata ad entrare, si fermava ed assaggiava con
gusto tutto ciò che gli servivano, dimenticando spesso di lasciare quanto dovuto. Il
dispiaciuto commento: “pur’ oggi ‘a fatica se ne ghiuta p’ ‘u sciumm’ abbascio”. La
Regina era la solare Madonna Jolanda, bella donna, sguardo carezzevole, occhi luminosi
ed intriganti, intelligente, sensibile. Gli abitudinari commensali erano gli ospiti del suo
piccolo albergo e la locale gioventù che per assistere ai programmi televisivi
decidevano di trascorrere la serata in quel confortevole salotto in cui spesso si
discorreva anche di politica, di musica, di poesia e di cinema.
Il soffritto, accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso, la faceva da padrone.
5) “ ‘A cantina dei coniugi De Luca” di Maria Colombo e Raffaele De Luca.
Alla fine del secondo decennio del secolo ‘900, i coniugi Maria Colomba e Raffaele De
Luca, originari di Trentola Dugenta, si stabilirono a Caiazzo e diedero inizio alla loro
attività di Osti. La cantina aveva sede sotto il Sopportico degli Zingari.
La sig.ra Maria Colombo preparava con maestria i piatti più succulenti, quelli richiesti
dai clienti provenienti dalle campagne circostanti.
Questa cantina ha avuto grande importanza nei giorni antecedenti i mercati settimanali
e quelli delle quattro fiere che Caiazzo ospitava. Il secondo conflitto mondiale ridusse
enormemente il numero di clienti che li costrinse ad intraprendere altre attività
lavorative, dal che la cantina chiuse i battenti.
6) “ ‘A Cantina - Trattoria d’ ‘o Ciardiniello” di Angela Ponsillo.
Angelina Ponsillo, donna solare ed energica, saggia e disponibile, già titolare della
“Cantina-Trattoria do Ciardiniello”, rimasta vedova all’età di 46 anni di Alfredo
Mastroianni, con 6 figli da accudire, non si perse d’animo. La sorte le aveva riservato il
doppio ruolo di mamma e papà. Lei, da vera roccia, non cedette allo sconforto e
consolidò l’egregio lavoro svolto fino ad allora, “cucinare in modo casereccio”.
Il piatto forte era il soffritto, una sorta si zuppa di frattaglie di vitello (cuore, guancia,
carne sanguosa, cioè il diaframma, rene, polmone e trippa) arricchita con un sugo di
pomodoro.
Non da meno era il ruolo ricoperto dalla succulenta “minestra maritata”, maritata
perché le verdure (scarola, bietole, cicoriette, borragine, torzelle, broccoli, cavolo
verza) e gli aromi (sedano, carote, prezzemolo, timo, alloro e chiodi di garofano) si
sposano magnificamente con la carne.
Lo stuzzicante profumo che aleggiava nell’aria della strada rappresentava il biglietto da
visita per eventuali ospiti, ma innanzitutto per i notabili del paese. Difatti le loro lesignore, per arricchire il menù giornaliero, mandavano in trattoria le loro cameriere
che, munite di pentole, portavano a casa queste bontà.
Spesso i facoltosi contadini del contado, per fare una bella figura il giorno del
matrimonio dei loro figli (il tanto atteso giorno della Zita), si avvalevano nella
preparazione del pranzo da offrire agli invitati della riconosciuta, meticolosa e
competente bravura culinaria dell’Ostessa. Le pietanze dovevano essere copiose e
variegate. “E Zi’ Ngiulina li faceva ben comparire tutti”.
Era solita affermare:
Aglio, Cipolla, Patate,
Frattaglie, Pomodoro Peperoncino,
alici, sarde e baccalà
Zia Angelina trasformava
in vera bontà.
Cucina naturale e genuina
condita con sapienza sopraffina
servita nel rispetto del cliente
soddisfatto e contento.
7) “ ‘A Cantina ‘e Rega” di Concetta Giannelli e Gennaro Rega.
Divenne un rito fare una meritata sosta alla “Cantina Rega” per gli avventori che
entravano o lasciavano il paese e soprattutto per i carrettieri che trasportavano
legname, accolti dallo schietto sorriso di Donna Concetta e dai modi garbati di Gennaro,
suo marito. I carrettieri trovavano il vitto e, nelle stalle che ospitavano cavalli e muli
anche l’alloggio. Nella cantina Rega si respirava un’aria molto familiare e gioiosa grazie
anche agli otto figli che sempre davano una mano ai genitori insieme ai due garzoni che
li aiutavano nelle attività. Gli avventori trovavano un tavolo imbandito a qualsiasi ora
del giorno e della notte e dalla cucina provenivano sempre profumi invitanti. Oltre a
paste e zuppe a base di legumi, alla cantina si poteva gustare ’a curatella” (fegato,
cuore, trachea, prima lessati e poi soffritti in olio, carota, cipolla, aglio con l’aggiunta, al
momento opportuno, di salsa di pomodoro) e “’a mnestra maritata”. Non mancavano
mai anche i carciofi e i peperoni imbottiti, lo stock e il baccalà, fritto e in bianco. Erano
sempre presenti i fagioli lessi, conditi con l’ottimo olio delle olive caiazzane e
accompagnate dalle saporose cipolle, il tutto adagiato su un letto di pane biscottato. Il
succulento soffritto di frattaglie fungeva da re delle pietanze. Il rosso pallagrello
collaborava ad arricchire il pranzo.
Una buona partita a bocce facilitava la digestione.
8) “ ‘A Cantin’ ‘e Zi’ Ntunetta” di Antonietta Santacroce.
Zi’ Ntunetta “a cantina”, accoglieva a tutti il suo sorriso sereno e materno e portava in
tavola piatti profumati e saporiti, come il suo soffritto con purea fagioli con un pizzico
di peperoncino e alloro accompagnato da bottigliette di rosso sanguigno campagnolo
che lasciava il segno in bocca e nell’anima.
Quotidianamente la cantina accoglieva a pranzo i dipendenti degli uffici presenti a
Caiazzo. Ospiti fissi erano gli impiegati del locale Banco di Napoli. Questi interrompendo per qualche ora il meticoloso lavoro economico/finanziario trovavano
ristoro in quel confortevole ambiente familiare. Zi’ Ntunetta, sempre prodiga di
consigli, suggeriva quali odorose pietanze aveva con amore cucinato, e loro, fiduciosi,
accettavo i suggerimenti della buona Ostessa.
Non erano più semplici clienti perché nel tempo avevano acquisito li titolo di
componente di una famiglia allargata.
❖
In pianura, prima dell’inizio della ripida strada che conduce al centro urbano,
insistevano due importantissime taverne:
- • “ ‘A taverna ‘e coppa” della famiglia Insero;
- • “ ‘A taverna ‘e sotto” della famiglia Navarretta.
L’inizio attività è riconducibile alla metà del secolo ‘800 ed ha avuto fine nel decennio
successivo alla fine del secondo conflitto mondiale.
Per permettere scambi commerciali, assolvevano al fondamentale compito di stazione
di sosta, di cambio cavalli e di ristoro.
L’unico mezzo di trasporto del periodo era il carro trainato da cavalli.
I cavalli potevano riposarsi, abbeverarsi e mangiare fieno e biada. I loro ferri se
consumati o rotti, potevano essere aggiustati o sostituiti da competenti maniscalchi.
I cavalli dormivano in piedi, ad occhi aperti, se sani, ad occhi chiusi manifestavano
qualche disturbo. Ai carrettieri era affidato il gravoso compito di prelevare e
consegnare, a negozi e mercati, soprattutto viveri, come pasta, olio, vino, oltre a
frumento, granturco, ortaggi e frutta. La lunghezza del carro dipendeva dalla quantità
di merce da condurre ai mercati delle grandi città.
Alle due taverne si fermavano anche carri lunghi 6 metri, con 3 assi, 6 ruote, trainati da
3 coppie di robusti cavalli.
9) “ ‘A Taverna ‘e coppa” di Maria Michela Reale.
La sosta alla “taverna ‘e coppa” per i carrettieri, alla guida di carri gravati da pesanti
carichi, era mirata, in quanto la taverna, per permettere di superare le grandi difficoltà
della ripida salita, da nord, unica strada di accesso al centro del paese, aggiungeva ai
cavalli due grossi buoi per mezzo di solide catene. Inoltre venivano ricevuti
dall’allettante profumo della cucina casereccia in cui si preparava baccalà fritto, pasta e
fagioli con cotiche di maiale, patate cotte sotto la cenere, pane cotto con fagioli o con
rape, fumanti soffritti piccanti sempre accompagnati da boccali di vino genuino. Al
piano terra era organizzata la cucina: un grande focolare, un treppiedi su cui erano
depositati grossi recipienti di rame e le “furnacelle” a carbone. I carrettieri giungevano
alla taverna a tutte le ore del giorno e della notte. Ad attenderli c’erano alimenti quasi
pronti, come fagioli già lessi conservati in grandi pignatte di terracotta. “Gli spaghetti
alla carrettiera” erano il piatto veloce più richiesto. Agli spaghetti lessati e conditi con
olio d’oliva, aglio, sale e pepe veniva aggiunto pane grattugiato, prezzemolo, origano e
cipolla. Al piano superiore le camere da letto.
Maria Michela Reale, di carattere volitivo e tenace, non potendo più contare
sull’appoggio del marito, gestiva la taverna con mano ferma. La fonte di tanta determinazione la si poteva ricercare nel dolore mai sopito. Gli acquirenti, che con
scadenza settimanale si servivano dell’ospitalità della sua taverna, la rispettavano e
provavano veritiero affetto, apprezzando la donna sola che, con valida organizzazione,
teneva fronte a tutte le variegate incombenze.
Salvatore Insero, suo marito, molto legato ai cavalli che allevava e di cui si serviva per
tutte le necessità della taverna, rifiutandosi di affidarli ai tedeschi in ritirata che li
avevano requisiti, li segui fino a Cassino. Di lui non si ebbero più notizie e fu dato per
disperso. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
10) “ ’A Taverna ‘e sotto” di Giuseppe Navarretta.
Giuseppe Navarretta, proprietario della “Taverna ‘e sotto”, uomo robusto, gioviale ed
ospitale con i suoi avventori, era ben voluto da tutti. Allevatore di cavalli che
pascolavano liberi nella campagna circostante e che amava non solo per l’aiuto
quotidiano che riceveva da essi nel trainare i carri fino al centro del paese ma
soprattutto perché rappresentavano l’emblema della forza, della potenza e della
libertà. Lui, Zi’ Peppe, non riceveva clienti ma ospiti che accudiva e dava loro massima
soddisfazione.
Alla Taverna di Zi’ Peppe anche se si giungeva a notte inoltrata, c’era sempre
conservata una pignatta, con fagioli caldi, che con pezzi di pane e un buon filo d’olio
d’oliva, faceva scordare le fatiche del viaggio. I cavalli che avevano trovato riposo in
attrezzate stalle, erano già pronti a ripartire la mattina al sorgere del sole.
L’abbondante cenere prodotta dalla combustione della legna arsa nei focolari e i grassi
animali non consumati venivano gelosamente conservati per un loro riutilizzo. Difatti
rappresentavano gli ingredienti fondamentali per la preparazione di saponi fatti in
casa necessari alla famosa “culata” e all’economia della taverna. Dopo aver portato ad
ebollizione l’acqua, si aggiungeva la cenere setacciata insieme al grasso animale.
Le foglie d’alloro i residui degli agrumi premuti e conservati nel tempo avevano il
compito di dare la giusta profumazione. Le lenzuola lavate con questo detersivo
naturale riacquistavano l’accattivante odore e biancore.
Durante il conflitto mondiale i tedeschi, accampati nelle vicinanze della taverna,
avevano sempre avuto un comportamento rispettoso delle persone che vi abitavano e
dei carrettieri che vi sostavano.
All’inizio della ritirata, un soldato tedesco tentò delle brutali avances nei confronti di
Maria Santoro, figlia quindicenne di Luigi Santoro e Mariannina Navarretta. La ragazza,
seria e timorata, di indole solare e collaborativo, era intenta a sfornare pane appena
cotto, con fastidio rifiutò e tentò la fuga. Il soldato, per bloccarla, prese un panello
bollente e lo scagliò, con violenza, sulla sua testa ustionandole il cuoio capelluto. Il
repertino intervento dei nonni, con bastoni, mise in fuga il malintenzionato tedesco.
Nel frattempo Maria, con il cuore in gola, trovò riparo nel covone, il suo nascondiglio
segreto, il luogo della sicurezza.
Con l’intento di riscoprire attraverso la narrativa gli usi e i costumi dell’antica arte
culinaria che diversamente potrebbero cadere nel dimenticatoio
le Associazioni
ARDA, Associazione Culturale “Giovanni Marcuccio”,
Associazione fotografica “Elvira Puorto”, Centro Madre Claudia,
Centro di promozione culturale “Franco de Simone”, Il Pungolo Verde,
Medievocando, Monte Carmignano per l’Europa, Museo KERE, Termopili d’Italia
con il Patrocinio del Comune di Caiazzo (CE)
ORGANIZZANO
un Concorso Nazionale di Narrativa, racconto breve, denominato:
“A casa mia si mangia così”
(i ricordi di ieri e di oggi mi ammaliano e mi deliziano)
Quante storie conserviamo nella nostra memoria.
Quanti episodi vissuti nell’intimità familiare hanno accompagnato la nostra infanzia, la nostra
giovinezza.
Ricordiamo il momento intrigante, ammaliante che assaporiamo ancora, con dolce, delicato,
malinconico compiacimento.
Non era solo la preparazione di un piatto che la nonna con gesti decisi ma morbidi e carezzevoli realizzava.
Era la particolare atmosfera che ci avvolgeva, l’attesa del desco imbandito.
E innanzitutto “come, con che cosa e con chi”.
Mi ritorna in mente la minuziosa descrizione.
Si era nel mondo, ma fuori dal mondo in un ambiente un’atmosfera nostra solo nostra.
- • RaccontiAMOci con gusto.
- • OffriAMOci il gusto di raccontaRegolamento:
- • La partecipazione è consentita agli autori di ogni età, nazionalità, etnia, religione o
sesso.
- • I racconti dovranno essere inviati in lingua italiana o in vernacolo con relativa
traduzione.
- • Possono partecipare al concorso racconti sia editi che inediti.
Il giudizio della giuria è insindacabile
- • Ogni autore può inviare fino a 3 (tre) racconti
(massimo 5 cartelle, 10000 battute, carattere 12).
- • Di ogni racconto inviato sono richieste 5 (cinque) COPIE di cui una con la firma e i dati
personali dell’autore (indirizzo, recapiti telefonici, indirizzo di posta elettronica).
- • È richiesto per ogni racconto un contributo di partecipazione alle spese di 5 € (cinque
euro).
- • La quota di partecipazione dovrà essere versata sulla seguente
POSTE PAY EVOLUTION INTESTATA A GIUSEPPE PEPE C.F.PPEGPP45H25B362M
IBAN IT43L0760105138203865503866
causale da indicare: “partecipazione RACCONTO BREVE”
- • L’autore deve inoltrare una dichiarazione nella quale afferma che i racconti sono
frutto del proprio ingegno e autorizza al trattamento dei dati personali.
- • I racconti dovranno essere inviati entro il 30 maggio 2021, farà fede il timbro
postale, a:
Concorso Nazionale di narrativa -Racconto breve “A casa mia si mangia così…”
(i ricordi di ieri e di oggi mi ammaliano e mi deliziano)
Giuseppe Pepe – Via Umberto I, 27/5 – 81013 Caiazzo (CE)
O inviati all’indirizzo email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
PARTECIPANO SENZA VERSARE ALCUNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE
▪ I giovani che non abbiano raggiunto la maggiore età;
▪ Gli scrittori diversamente abili, con invalidità riconosciuta superiore al 45%
(allegando una copia del provvedimento che ne riconosce lo status);
▪ Gli ospiti delle case circondariali.
PREMI IN PALIO:
1° a)Vestito da cuoco;
b)Foulard riportante uno scorcio storico/artistico di Caiazzo.
2° a) Giacca e cappello da cuoco;
b)Scorcio storico/artistico di Caiazzo riportato su cartoncino.
3° a) Cappello da cuoco;
b)Scorcio storico/artistico di Caiazzo riportato su cartoncino.
o I classificati dal 4° al 10° (unica posizione di graduatoria) Riceveranno uno scorcio
storico/artistico di Caiazzo, riportato su un cartoncino.
▪ I premi saranno arricchiti con prodotti di eno/gastronomia donati dalle aziende
agricole di seguito riportate.
▪ Inoltre riceveranno la formella del concorso realizzata da ClaudiArt Ceramiche.
▪ Infine il Primo classificato riceverà una Creazione artistica di seta di San Leucio
realizzata da Creazioni Artistiche di Maria Antonietta Mauro.
o ALE.P.A. SOCIETÀ AGRICOLA SRL
Tel. 0823/868972 3355376164
Via Carpineto Barraccone
81013 Caiazzo (CE)
o CANTINA DI LISANDRO SOCIETÀ AGRICOLA PODERI BOSCO
Tel. 0823/867228
SP325
81010 Castelcampagnano (CE)
o AZIENDA AGRICOLA “LA SBECCIATRICE”
Cell. 3391216
Via Villa Santa Croce
81013 Piana di Monte Verna (CE)
o AZIENDA AGRICOLA “Il GIARDINO SEGRETO”
Cell. 3889392719
Via Villa Santa Croce, n. 141
81013 Piana di Monte Verna (CE)
o AZIENDA AGRICOLA MAZZARELLA
Cell. 3274074669
SP72, n.17
81012 Alvignano (CE)
o FATTORIA DELLA ROCCA
Cell. 340.85727037/ 340.3458373
Via Cicini Delle Saudine, 3
81013 Caiazzo (CE)
o MASSERIA PICCIRILLO
Tel. 0823.862886
Via Carpito, n. 1
81013 Caiazzo (CE)
o Creazioni Artistiche di Maria Antonietta Mauro
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Via Aulo Attilio Caiatino
81013 Caiazzo (CE)
o ClaudiArt Ceramiche
Via G.B. Cattabeni
81013 Caiazzo (CE)La serata di premiazione, si terrà a Caiazzo (CE), in data da stabilire.
Gli scrittori premiati verranno avvertiti telematicamente, via web o tramite posta.
Ogni autore è responsabile di quanto contenuto nei propri elaborati.
I brani non saranno in nessun modo restituiti.
I premi non ritirati saranno spediti ai vincitori, previo l’avvenuto accredito della tassa postale
corrispondente, sulla seguente:
POSTE PAY EVOLUTION INTESTATA A GIUSEPPE PEPE C.F.PPEGPP45H25B362M
IBAN IT43L0760105138203865503866
causale da indicare: “ritiro premio RACCONTO BREVE”
Ai sensi dell’art. 10 legge n.675 del 1996, si informa che i dati personali saranno utilizzati
unicamente ai fini del premio.
Responsabile del concorso:
Giuseppe Pepe Caiazzo (CE) 0823/868500 - 3387970379 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Segreteria Concorso:
Elisabetta Ponsillo 346.35.73.717
COMUNICATO STAMPA
Pubblicato da ©Corriere di San Nicola
PASQUA 2023 A SAN NICOLA LA STRADA
Come vivere la Santa Pasqua attimo per attimo: le date, i programmi, i messaggi ai fedeli
NIKIPEDIA
"TuttoSanNicola" l' Enciclopedia
di San Nicola
la Strada
fondata e diretta
da
Nicola Ciaramella
PROSSIMAMENTE ON LINE
OGNI CITTADINO PUO' SALVARE UN CITTADINOTutti gli articoli del "Corriere di San Nicola" sul progetto
"SAN NICOLA LA STRADA CARDIOPROTETTA"
Come possiamo salvare un bambino con le vie aeree ostruite da corpo estraneo
IMPARIAMO TUTTI QUESTE MANOVRE !
Cosa sapere e cosa fare PRIMA, DURANTE e DOPO un terremoto
-Buone pratiche di protezione civile a cura anche del Nucleo della Protezione Civile di San Nicola la Strada-
IL MIO REGALO ALLA MIA CITTA'
Dipingi on line la "tua" città"
Un “clic" quotidiano cominciato mercoledì 9 febbraio 2005...
IL VADEMECUM DELLA RACCOLTA DEI RIFIUTI
Tutto quanto bisogna sapere sulla raccolta dei rifiuti a San Nicola la Strada
Una città, il cuore, la mente...
L'
"Ode alla mia città"
composta da
Nicola Ciaramella
VIDEOFOTOTECA
Documenti filmati e fotografati per la storia e per l'attualità
-di Biagio Pace-
PAOLO CONTE, PILOTA (TUTTO sulla carriera del piccolo grande fenomeno del motociclismo casertano)
Una LUCE sempre accesa su DON ORESTE Gruppo Facebook "DON ORESTE NON E’ ANDATO VIA”: continua, senza pause, l’iniziativa creata da Nicola Ciaramella per mantenere sempre vivo il ricordo dello scomparso amatissimo parroco di Santa Maria della Pietà.
29.ma Festa del Tesseramento dell’Associazione N.S. di Lourdes
Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione.Un magnifico pomeriggio in Santa Maria degli Angeli all’insegna della fraternità, della fede e dell’amicizia nel nome della Santa Vergine, in attesa del 163.mo anniversario dell’Apparizione. 1
silenziosaMente-Rubrica a cura della D.ssa Graziella Vingelli, psicologa psicoterapeuta-
MISTICISMO -di Antonio Dentice-
*Cronaca del Sufismo Murid
*Cronaca del Taoismo
*Tradizioni sincretiche Sudamericane
*Cristianesimo
*Buddhismo e Induismo
GIUSEPPE STABILE,
talento canoro sannicolese La biografia artistica
FELICI DI OFFRIRE LE NOSTRE FOTO AEREE
Il nostro GRAZIE a quanti hanno scelto le nostre immagini dall'alto di San Nicola la Strada quali icone di siti internet e di gruppi facebook locali
TUTTO IL "DISSESTO FINANZIARIO" MOMENTO X MOMENTO Come si giunse al giorno più nero della storia amministrativa sannicolese e chi nulla fece per evitarlo
San Nicola la Strada SEMPRE nel cuore ...Una bellissima iniziativa per tutti i sannicolesi...