Perché la camorra è “una montagna di merda”: e lo Stato che fa?
Appello dei parenti delle vittime di camorra in una lettera inviata al governo: “Da dieci anni siamo diventati ricorsi da bocciare”.
Nove anni fa Salvatore Barbaro era a bordo della sua auto, una Suzuki Swift bianca, lo stesso modello di un noto camorrista; é così che il giovane di Ercolano perse la vita al posto del malvivente...
Vi sono storie che vanno raccontate, anche se c’è chi già lo ha fatto tantissime volte. C’è il bisogno di raccontarle ancora un’altra volta al vicino di casa, a chi incontriamo per strada, ai figli, ai nipoti, ai nonni, ai genitori.
La camorra è, come dice un noto slogan, “una montagna di merda”, e questo ci deve entrare bene nella testa, nel respiro, nel sangue, nell’intelligenza, perché le vittime innocenti, compresi tanti bambini, sono troppe e bruciano sulle coscienze di tutti.
Siamo complici quando tiriamo a campare, siamo complici quando non denunciamo l’illegalità in tutte le sue forme e declinazioni, siamo complici quando restiamo muti davanti all’orrore. I camorristi dicono di avere un codice d’onore, si dispiacciono quando vengono uccisi bambini o quando a perdere la vita sono innocenti, colpevoli solo di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Onore? Voi ci credete?
Vi è un’altra questione, altrettanto spinosa: il risarcimento e la vicinanza alle famiglie delle vittime, le quali sono spesso dimenticate dalle istituzioni.
Succede troppo spesso in Italia: si gridano frasi forti, si recitano slogan vuoti, si decide e magari si agisce anche, ma raramente si pensa al dopo e alle vittime (perché quando viene ucciso un innocente la vittima non è solo lui ma anche chi resta).
Era il 13 novembre 2009 quando Salvatore Barbaro (nella foto) era a bordo della sua auto, una Suzuki Swift bianca, lo stesso modello di un noto camorrista; é così che il giovane di Ercolano perde la vita al posto del malvivente. La verità sul giovane è arrivata molto dopo, a seguito di anni di indagini; i funerali si svolsero con la presenza delle forze dell’ordine e un clima di paura, proprio come avviene quando muore un boss. Per molto tempo, infatti, si pensò che Salvatore fosse un delinquente. Per anni la sua famiglia ha vissuto con gli occhi puntati di chi nutriva dubbi sulla loro moralità; sono stati anni di fango, di tanta amarezza e solitudine.
Da ciò che poi è emerso, ad indagini terminate e grazie alla collaborazione dei pentiti, i sicari dovevano ricevere 3 mila euro per quel “lavoro”; invece (forse per il famoso codice d’onore) ne ricevettero solo 800; questo perché avevano sbagliato bersaglio.
Salvatore aveva 29 anni, era salumiere e cantante neomelodico, unico sostegno della famiglia; infatti, Giovanna, la madre, rimane vedova giovanissima; oggi, un’assurda legge non permette loro di essere risarciti per quell’atroce ingiustizia. La famiglia del giovane ucciso ha un lontano legame di parentela con alcuni individui pregiudicati; è questo il motivo per il quale la richiesta di risarcimento è stata rigettata.
Da pochi giorni è arrivata la notizia della condanna a 30 anni di carcere per l’esecutore materiale dell’omicidio di Salvatore; piccola consolazione.
“Cambino le leggi”: è l’appello dei parenti delle vittime di camorra in una lettera inviata al governo.
Ad ottobre scorso 14 parenti di vittime innocenti uccise dalla camorra hanno inviato una lettera al Presidente del Consiglio e ai due vice Premier, per chiedere un incontro: «Siamo mogli, figli, figlie, sorelle, fratelli, padri e madri di vittime innocenti della criminalità organizzata. I nostri familiari sono stati uccisi dalla camorra senza colpa, per uno scambio di persona o per essersi opposti ad essa, ed ora sono finiti nel tritacarne della burocrazia, vittime ulteriori di un trattamento discriminante».
Ad oggi, nessuna risposta.
I congiunti delle vittime sono impegnati in questa lotta fin dal 2008, anno nel quale la normativa è stata modificata diventando più restrittiva. Infatti, essa vieta il risarcimento alle famiglie che abbiano parenti e affini entro il quarto grado, nei cui confronti è in atto un procedimento penale o di prevenzione per mafia.
«Da dieci anni siamo diventati pratiche da rigettare e ricorsi da bocciare»: così denunciano i parenti delle vittime, che non hanno mai ricevuto nessun risarcimento dallo Stato.
Fra i firmatari di quella lettera anche Giovanna Scudo, mamma di Salvatore. L’appello, fra gli altri è stato sottoscritto dal sindaco di Casal di Principe, Renato Natale e dai referenti di “Libera” e del comitato Don Diana.
Giovanna Angelino
©Corriere di San Nicola
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