L’uscita di emergenza
"Andare a vivere oltre confine può essere anche la soluzione concreta a un avvenire precario. Il trasferimento all’estero sarà tutt’altro che una sconfitta.La sola sconfitta è la mancanza di un futuro"
(Francesco Discanno, University of Cambridge Examiner)
La situazione italiana è ancora lontana da un effettivo miglioramento. E’ inutile mentire: il nostro vagone non ce la fa ad agganciare il treno della ripresa economica che da qualche altra parte ha ripreso a marciare. E la crisi economica è diventata sconfitta sociale. Guardiamoci intorno: quante persone che conosciamo hanno perso il lavoro? E soprattutto, quanti giovani non riescono a trovare una prima occupazione? Con un titolo enfatico - “La generazione perduta dell’Italia: la crisi costringe i giovani italiani a
trasferirsi all’estero” - un articolo del giornale tedesco Der Spiegel aveva descritto bene lo stato delle cose già più di un anno fa. La giornalista usava giustamente un accento drammatico: “La situazione in Italia sta diventando via via più disperata man mano che la crisi dell’euro prosegue. Ma è la gioventù del Paese il maggior perdente. Molti giovani, incapaci di ottenere lavori appropriati e quindi costretti ancora a casa con i loro genitori, sono spinti a trasferirsi all’estero nella speranza di una vita migliore”.
Toni esasperati, ma contenuti quanto mai veri! Altro che mammoni, dunque. Più o meno allo stesso periodo risale un bel documentario italiano - Emergency Exit: docutrip - che si può trovare su Youtube. Il cortometraggio ritrae i destini incrociati di alcuni giovani che sono stati spinti ad emigrare in altri paesi, soprattutto europei. La regista attribuisce le colpe della diaspora a vent’anni di politica giovanile dissennata, senza distinzione di colori. E sottolinea che il 90% dei migranti ha nel proprio bagaglio una particolare specializzazione che aggiungerebbe valore alla società italiana se solo venisse utilizzata in patria. Questi giovani vanno via per una serie di ragioni, viene spiegato, ma nessuno in Italia sembra desiderare di ascoltarli o curarsi di loro. Infine, è di un paio di anni fa un interessante film italo-tedesco intitolato “Italy: love it or leave it”. Il lungometraggio si occupa delle scelte personali (ma con implicazioni politiche) dei giovani, i quali si domandano se debbano amare l’Italia ovvero abbandonarla. Rispolverati i suddetti files, è doveroso chiedersi se da allora le cose siano migliorate o siano rimaste le stesse. Spiace doverlo rimarcare, soprattutto per chi coltiva delle giuste speranze, ma le cose sono persino peggiorate. I giovani disoccupati sono aumentati: da circa uno ogni tre occupati a quasi uno ogni due occupati. E, nel breve periodo, il numero dei nostri migranti qualificati e’ salito da 60 mila a 75 mila, aumentando dunque del 25 %.
Quanti giovani casertani sono partiti negli ultimi tempi? Molti. Ne conosco un
nutrito drappello anch’io. Salvatore, architetto, è da poco a Lugano. Saverio, pizzaiolo diplomato e vincitore di concorsi di abilità artigiana, vive da un paio d’anni ad Edinburgo. Sara, graziosa interprete, si è stabilita da alcuni mesi a Lancaster. Claudio, intraprendente supervisor, è a Londra da tre anni. Rosa, stilista, ha aperto un negozio nella stessa metropoli, ad Oxford Street.
Il fenomeno viene chiamato della “nuova mobilità” o della “generazione Europa”. Non solo, quindi, fuga di “cervelli”, ma anche fuga di “normali” ragazzi in gamba, laureati o in possesso di una particolare qualificazione, che vanno via dal nostro Paese per affermare i propri meriti. Si tratta in ogni caso di cittadini che sono divisi fra una vita obbligata all’estero, pur foriera di soddisfazioni professionali, e il senso di nostalgia o privazione che inevitabilmente la lontananza dalla terra natia porta con sé. Nelle scorse settimane mi è capitato di seguire in televisione l’intervista ad una giovane ricercatrice italiana emigrata all’estero. La studiosa spiegava di aver dato all’Italia molte possibilità di trattenerla, quasi personificando il nostro Paese, ma che l’Italia non l’aveva voluta. La sua voce era rotta dalla commozione mentre sottolineava che il suo trasferimento a Londra, senza altra possibilità di scelta, era per sempre. Ma di una cosa lei era certa e anche orgogliosa: aver deciso.
A questo punto è doveroso chiedersi: perché resistere al trend demografico? Perchè lottare contro i mulini a vento, pur di restare? Grazie all’accordo di Shengen l’universo dei nostri giovani non è più confinato solo all’Italia, ma è grande quanto tutta l’Europa! Pensate a quanti, in forza dei progetti Erasmus, hanno studiato con entusiasmo fuori dall’Italia e sarebbero pronti a ripetere l’esperienza. Se i nostri politici non sono in grado di investire nei nostri ragazzi, vuol dire che stanno condannando alla arretratezza il nostro Paese. I politici non dovrebbero chiedersi solo cosa l’Italia può fare oggi per i nostri giovani, ma anche e soprattutto cosa i nostri giovani potranno fare domani per l’Italia!
La verità è che grazie alla flessibilità, moderna specializzazione della più semplice arte di arrangiarsi dei loro nonni, i nostri giovani stanno ottenendo buone affermazioni oltre confine. Ebbene, continuino a farlo. Si dotino preliminarmente di una idonea cassetta degli attrezzi per lavorare (qualifica riconosciuta della lingua inglese, patente dell’economia, etc) e partano. Allarghino i propri orizzonti. Richiamino i loro coetanei ed amici.
Avanti c’è posto. Andare a vivere oltre confine è solo “l’uscita di emergenza” o anche la soluzione concreta a un avvenire precario? Siatene certi: il trasferimento all’estero sarà tutt’altro che una sconfitta. La sola sconfitta è la mancanza di un futuro.
Francesco Discanno, University of Cambridge Examiner
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