Olimpia Casarino, "comunicare nonostante l'afasia" - PARTE SECONDA
Il Corriere di San Nicola incontra la nota scrittrice napoletana residente da anni a San Nicola la Strada, fondatrice di un blog dai grandi contenuti umanitari. Impegnata in importanti iniziative con Medici senza frontiere, Emergency e Associazione Italiana Afasici, devolve i diritti d’autore e il ricavato dalle vendite dei suoi libri ad associazioni che lottano contro la fame nel mondo e per la tutela dei diritti umani.
(PARTE SECONDA)
Leggi pure:
Olimpia Casarino, “comunicare nonostante l’afasia” - PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
La Casarino è napoletana residente a San Nicola la Strada da più di vent’anni. Ci racconta il suo rapporto di amore-odio con Napoli, la sua città natale, e il suo impatto con San Nicola la Strada. Racconta di aver assistito nel corso dei decenni alla trasformazione in “cementificio” di una realtà un tempo bucolicanota esclusivamente per il «passaggio delle pecore». Ricorda l’inizio della prima fase di modernizzazione coincidente con la nascita del moderno centro commerciale a Capodrise, “I Giardini del Sole“, attrattiva turistica anche per i napoletani, fino all’epilogo del cementificio, con costruzione di case e parchi privati a tutto spiano, a scapito del verde pubblico. Senza parlare del graduale impoverimento delle piccole imprese e delle attività locali, di cui molte sono scomparse.
«San Nicola, ‘città della pace’- ci dice- non è stata certo risparmiata dalla speculazione edilizia né appare immune da processi degenerativi nel campo delle opere sociali, della sanità e nella gestione dei rifiuti: tanto da far rientrare anche San Nicola, con il suo mostro Lo Uttaro, nella tragedia delle morti per “ecocidio“ caratterizzante la “terra dei fuochi“. L’architettura urbana non è concepita in funzione dei bisogni primari dei cittadini ma è asservita agli interessi degli speculatori edilizi. San Nicola è piena di barriere architettoniche, finanche nelle chiese principali con scale ripide e mal tenute che provocano cadute rovinose dei fedeli e delle persone con disabilità. La gestione comunale non ha mai garantito né la manutenzione ordinaria né quella straordinaria. Pochi esempi rendono l’idea: buche nelle strade non riparate che danneggiano le auto e provocano allagamenti vistosi quando piove, marciapiedi troppo stretti, spesso interrotti, e con alberi all’interno che rendono difficile il passaggio dei pedoni, tanto che i ciclisti, numerosissimi a San Nicola e le mamme con i passeggini sono costretti a circolare in mezzo alle strade; per non parlare della difficoltà estrema dei disabili in carrozzina. L ‘assenza di piste ciclabili (di fatto l’unica pista praticabile - e non per tutto il suo percorso - è quella esistente sul Viale Carlo III), è causa di incidenti spesso mortali. Per non parlare della scarsa manutenzione dei pochissimi parchi pubblici mal tenuti, unico polmone di verde indispensabile per i cittadini costretti a vivere in un cementificio. Il degrado più vergognoso si può osservare nel cimitero dove avvengono di continuo furti, saccheggi e atti vandalici sulle tombe all’aperto. La mancata sorveglianza e la pessima o nulla manutenzione degli spazi esterni e dei “cappelloni“, sempre sudici e spesso senza acqua nei lavandini dei piani, costringono le persone a portare l’occorrente da casa per pulire pavimenti e tombe dei loro cari. Gli ascensori dei cappelloni sono spesso fuori uso. Quando morì mio padre dovettero trasportare a piedi fino al quarto piano la bara sballottolando la salma…e a piedi dovettero trasportare perfino gli attrezzi pesantissimi e il cemento per la tumulazione! Assurda e inconcepibile è la permanente chiusura al pubblico dei pochi bagni (compresi quelli per disabili) per mancanza d’acqua e di fondi per le riparazioni! Mi appresto a fare una denuncia al Comune in quanto persona con disabilità, privata perfino del mio diritto di visitare i miei cari defunti finanche nella solennità dei morti».
La Casarino racconta questi fatti con le lacrime agli occhi e piena di rabbia.
Indica come emblematica la storia della Piscina comunale di San Nicola la Strada. Giudica illuminante l’articolo di Davide Fusco del 3 giugno 2017 su Caserta Zon dal titolo: “San Nicola la Strada, Piscina Comunale: oltre 4 milioni di euro spesi e poi?”.
L’articolo (un preciso riassunto delle ultime vicende legate alla questione della piscina comunale, alle quali, come a tutte le altre accadute sin dai tempi ormai lontani della inaugurazione della struttura, il Corriere di San Nicola ha dedicato centinaia di articoli, dossier, interviste, videointerviste e puntate del programma radiofonico su Rcn "L'Occhio su San Nicola" ideato e condotto da Nicola Ciaramella - ndd) parte dall’interrogazione alla giunta Marotta del M5S di S.N.L.S. del 25 maggio 2017 sulla questione “piscina comunale“ e ne ripercorre la storia partendo dalla presentazione della struttura il 10 maggio 2011 da parte dell’allora sindaco Pascariello alla cittadinanza e alle istituzioni. La gestione della piscina veniva, poi, affidata all’AGISAC (Agenzia Comunale) ma i cittadini non poterono accedervi per la mancanza dell’allacciamento elettrico e del gas. «La giunta Delli Paoli -si legge nell’interrogazione - dapprima s’impegnava a concretizzare la gestione AGISAC con l’assegnazione delle corsie alle associazioni di settore per poi stoppare la procedura e indire un bando pubblico, vinto dalla società ASD NUOTATORI CAMPANI di San Cipriano d’Aversa, gestita dai Cesaro, arrestati quest’anno, e fratelli dell’on. Luigi Cesaro, noto come “Gigino ‘a purpetta“, ex autista di Raffele Cutolo, come dal boss dichiarato nel 2011 in un’intercettazione. Nel 2015 poi, l’amministrazione Marotta revocava l’affidamento dell’appalto per la mancata presentazione del certificato antimafia da parte dei Cesaro. Il 25 maggio 2017, poi, in sede consiliare il sindaco rispondeva che la piscina è funzionale dal punto di vista strutturale ma che ad oggi il conferimento dell’agibilità non è stato effettuato perché va rilasciato dagli appositi ispettori, dopo la messa in funzione. Volendo affidare la piscina a privati e essendo l’importo dell’appalto superiore a centomila euro, l’amministrazione deve stipulare una convenzione con una stazione appaltatrice esterna, che il comune aveva individuato nella S.U.A. (Stazione Unica Appaltante) della Prefettura, che tre mesi fa ha rifiutato di sottoscrivere la convenzione. Da allora, l’amministrazione non ha provveduto ad affidare la convenzione ad un altro ente».
Morale della favola:
«Per la piscina sono stati spesi 4 milioni di euro (di cui 2,5 comunali e 1,5 frutto di finanziamenti europei) con Pascariello cui vanno sommati i 40mila euro spesi con Marotta per riparare i danni per atti vandalici. Intanto pare ripetersi il solito copione: oggi come con Delli Paoli, l’amministrazione continua a non realizzare la messa in funzione, accampando scuse, basate su cavilli burocratici. La piscina, poi, oltre a non funzionare, è esposta ancora a atti vandalici, perché sprovvista di custodia e per il sistema di videosorveglianza, che, pur essendoci, non è in funzione, finendo col determinare il lievitare di spese di riparazione per una struttura mai utilizzata».
Quando si tocca l’argomento cultura, la critica assume toni ancora più amari: «Un respiro culturale monco, asfittico. Con poche persone benestanti che negli anni hanno condizionato la vita e la cultura del paese in modo minimale, non aperto all’esterno. Nel 1995, anno del mio trasferimento a San Nicola, mi stupii di non trovare neanche un cinema, un teatro o una libreria e nessuna attività sportiva. Il teatro continua a non esserci, come le librerie: l’unico è di fatto il ‘teatro piccolo’ vicino alla Chiesa di Lourdes (che non è neppure nel territorio di San Nicola) che apre solo di rado. Il teatro Plauto, quello costruito con l’amministrazione Pascariello, dotato di una splendida acustica, è scarsamente utilizzato. Nella vicina Caserta pullulano compagnie teatrali e laboratori di teatro che, se ci fossero, a San Nicola potrebbero coinvolgere i giovani e i tanti disabili in quanto spazi idonei alla condivisione e al lavoro creativo su di sé. In Italia sono note e largamente diffuse le terapie che usano il teatro come forma di rieducazione e di attività creativa. Per i disabili sannicolesi non c’è niente: né case famiglia dove possono stare in gruppo, occuparsi utilmente e vivere insieme lontano dai familiari, né spazi di condivisione e gruppi di auto-aiuto, gruppi di sostegno per familiari, né luoghi di cultura quali biblioteche realmente fruibili, cineforum, mostre, cinema e teatro, né forme di avviamento al lavoro come accade invece per i portatori della sindrome down…solo i pellegrinaggi a Lourdes o a Pompei o in altre località dove esistono santuari organizzati periodicamente dalle Chiese locali».
La Casarino testimonia delle tante e ottime iniziative rivolte al sociale, decollate a Napoli, che, proposte a San Nicola la Strada, puntualmente, muoiono.
La scrittrice anticipa un contenuto della sua prossima pubblicazione che evocherà l’irrealizzato progetto di un centro di ascolto per i tossicodipendenti e familiari, ideato dal defunto Don Oreste Farina e mai concretizzato per mancanza di volontari.
«Le tantissime iniziative e i progetti di utilità sociale avviati con molte difficoltà dal compianto e combattivo Don Oreste Farina, “servo di tutti“, missionario di strada nonché mio padre spirituale, - ci racconta- si sono tutti esauriti dopo un certo tempo per mancanza di spazi idonei, per boicottaggio (come l’incendio misterioso alla Mensa della Fratellanza che ne decretò la chiusura definitiva), per assenza di volontari e per gelosie interne. Don Oreste è stato sempre un padre per tutti; il conforto e il sostegno per tantissimi immigrati clandestini e non che ospitava nelle stanze della chiesa nella parte superiore e che difendeva dall’intolleranza che vedeva, per gli ammalati e le persone anziane o sole che visitava con frequenza e che erano abbandonate dalle istituzioni. Organizzava processioni, eventi sociali, feste parrocchiali di raccolta fondi da destinare ai poveri, marce di protesta per i rifiuti tossici e Messe sulle discariche per aggregare la comunità e coinvolgerla sempre più nella solidarietà. Per insufficienza di spazio in una comunità di diecimila anime in costante crescita, era costretto a celebrare Messe e Prime Comunioni all’aperto, nella piazza della Rotonda di fronte alla piccola chiesa, fucina di un pullulare di iniziative e progetti. Sindaci e costruttori avevano assicurato a Don Oreste il terreno per la costruzione della nuova chiesa, di cui era già pronto il progetto dell’architetto Mastroianni. Doveva essere una chiesa grande, con molti spazi di utilità sociale: un teatro, un centro di accoglienza per anziani, l’oratorio, la Mensa della Fratellanza, il servizio sanitario e di assistenza a extracomunitari, immigrati, persone indigenti ecc. Invece il terreno destinato alla costruzione della chiesa è stato utilizzato per costruzioni private. Don Oreste ha lottato fino alla fine contro la corruzione, gli scandali, l’arroganza, la presunzione, la disonestà e l’ipocrisia. Ha condotto una estenuante battaglia per la nuova chiesa e fino all'ultimo ha sperato nella realizzazione del suo sogno. Sperava di essere portato da morto nella Chiesa nuova è invece la sua bara è finita nella piccola cappella settecentesca con 80 posti a sedere della piccola chiesa Santa Maria della Pietà dove ha svolto per 25 anni (dagli inizi degli anni 1990 alla fine del 2014 e anche dopo ancorché fosse gravemente malato) il suo servizio con infaticabile entusiasmo in difesa dei diritti dei più deboli, per l’affermazione della giustizia e la promozione della solidarietà».
Casarino ci parla anche della sua (drammatica) esperienza con l’A.DI.SA., approfondendo le dinamiche affrontate nella prima parte dell’articolo: «Dopo il mio trasferimento a San Nicola, per integrarmi e rendermi utile con la mia formazione olistica, chiesi a Don Oreste Farina e al parroco Don Pasquale Lunato, di Santa Maria degli Angeli se esistessero associazioni di volontariato con cui prendere contatto».
Subentrata nelle sinergie locali, l’autrice ha esperienza dell’associazione per i disabili: «Fui contattata subito dal gruppo direttivo dell’A.DI.SA. (Associazione disabili sannicolesi) sostenuta dal Comune, che si occupava dei pochi disabili (quelli che frequentavano la sede malsana concessa in uso dal Comune, ai quali era affidata l’apertura e la chiusura dei locali). Il nuovo presidente- succeduto al disabile che aveva diretto l’associazione per molti anni- era un medico che lavorava in una struttura ospedaliera di trattamento e cura per tossicodipendenti».
L’esperienza con l’associazione presenta luci e ombre. Da una parte un’ottima energia potenziale dei membri tutelati, dall’altra la mancanza di orientamento di chi avrebbe dovuto tentare differenti approcci. L’autrice ci testimonia situazioni bizzarre, strane, che gettano forti interrogativi concernenti la reale finalità dell’iniziativa sociale: «Iniziò la mia avventura nel volontariato, con i disabili che mi si affezionarono subito perché erano attratti dal mio approccio, fondato sull’integrazione sociale e sulla condivisione di esperienze di vita, di malattia, di gruppi di auto-aiuto e di attività orientate alla libera ’espressione creativa’. Nell’esperienza di volontariato fu coinvolto anche mio marito, nonostante i molteplici impegni professionali e di insegnamento universitario. Rimasi allibita dal comportamento paternalistico della presidenza. I disabili venivano trattati a suon di scappellotti sulla testa (erano in massima parte operati al cervello o con gravi problemi neurologici) e affettuose manate sulle spalle. I loro compiti erano l’apertura e la chiusura della sede, umida e cadente e la presenza negli orari di apertura al pubblico. Venivano utilizzati principalmente per andare al bar a ordinare e portare caffè e per stare a fare niente, se non parlare tra di loro. Unico svago offerto un calciobalilla».
Il racconto della Casarino pone in evidenzia l’intreccio di situazione (non sempre felice) prodotte nell’incontro tra i “normali” e i “disabili”. Subentra il problema politico, le criticità economiche e vari spiacevoli indizi: «Ho sempre provato una sensazione di fastidio per l’etichetta “disabile”, che, in qualche modo, dà una connotazione limitante della persona che è solo “diversamente abile”; ma anche questa definizione comporta una comparazione con un livello di normalità che si presuppone sia più elevato in una persona definita “normale”, e quindi implica un giudizio di valore. Più profondamente conosco le persone cosiddette “normali” e più scopro le loro estrema povertà di spirito, e loro incredibili limitazioni e pregiudizi di ogni tipo. Solo chi ha il privilegio di stare a contatto con le persone che la società etichetta come disabili, è testimone diretto della loro ricchezza interiore, della loro creatività, della forza di volontà, del coraggio, della loro capacità di dare e sostenere umanamente i “normali”. Purtroppo, sulla disabilità si fanno speculazioni di vario genere: economiche e politiche. Quello che viene calpestato è il loro diritto a riconquistare un posto nella società che li esclude dalla vita lavorativa e, ancora peggio, alla vita di relazioni sociali ricche e stimolanti».
Nel corso di un duro e altalenante processo integrativo e tutelante, tra successi relativi e pochi risultati ottenuti con grande fatica, la realtà associativa sannicolese deve fare i conti coi propri limiti organizzativi e – soprattutto – intenzionali: «Le poche foto pubblicate nel videolibro “La parola e l’immagine”, nel mio blog, testimoniano i pochi momenti (salvati dal boicottaggio permanente della presidenza) della ricca e molteplice attività estesa anche ai comuni vicini: cineforum con proiezione di film sui temi della solidarietà, dei diritti, della malattia ecc.; laboratori di creatività, gruppi di ascolto e di auto-aiuto, contatti con residenti nelle case famiglia presenti nelle realtà più avanzate; escursioni culturali nelle gite fuori porta (consistenti prevalentemente in grandi abbuffate) nella costruzione della rete sociale di rapporti umani, fondata sul rispetto della persona e sul portare alla luce in tutte le forme possibili, la loro versatilità. L’esperienza di un anno di lavoro è stata avversata, proprio quando stava producendo i suoi frutti -attraverso la dialettica nata dal lavoro in gruppo- nella crescita dell’autostima, nella rottura del “muro del silenzio” che vedeva finalmente esprimersi liberamente quanti di loro avevano taciuto perché si sentivano dire sempre “stai zitto”,” non dire sciocchezze”».
Dagli ostacoli, ormai consuetudine radicata, la Casarino vede e racconta un epilogo che sfocia nell’assurdità. Piove sul bagnato, in un modo che coniuga il ridicolo e il tragico: «I successivi tentativi di strumentalizzazione politica dell’associazione, segnarono la fine di quell’esperienza, che mi è rimasta nel cuore lasciandomi dentro un’amarezza per quelle persone “normali” che hanno definito - bollandoli addirittura come “miei amanti “- quei ragazzi diventati uomini, capaci di pensare con la propria testa e di rivendicare i loro diritti ignorati e calpestati da chi avrebbe dovuto rappresentarli con forza. Il colpo di grazia è venuto proprio da quelle persone “normali”, professionalmente dotate, in apparenza, di strumenti per la tutela e la crescita delle persone solo fisicamente più provate. Si sono rivelate manipolatrici dei sentimenti e della dignità delle persone».
L’autrice spiega così il successivo rifiuto di tornare alla vita associativa sannicolese, iniziando dai problemi legati all’amministrazione comunale, finendo coi problemi quotidiani, riflesso dell’attenzione politica a certi temi: «Quando, tempo dopo, il Comune di San Nicola mi propose di riprendere l’attività, rifiutai perché volevo restare libera con i miei ragazzi da condizionamenti e da strumentalizzazioni politiche. D’altra parte l’esperienza dei rapporti con l’amministrazione comunale non era stata certo incoraggiante. Quando il Comune doveva intervenire per ripulire la sede e fornire materiale per l’attività era sempre latitante per burocrazia o eterna mancanza di fondi. Le tute da ginnastica, tappetini per attività all’aperto e il materiale per disegno e pittura furono acquistati con i magri fondi dell’associazione integrati da alcuni soci».
Mentre l’associazione sannicolese “galleggia”, gli altri centri della provincia manifestano una laboriosa e vivace attività, che fa a pugni con la realtà locale. Cavilli burocratici auto-imposti concorrono a frenare le possibilità di miglioramento: «Il proiettore e lo schermo per il cineforum gratuito aperto al pubblico furono portati dai disabili di Maddaloni (che paradossalmente avrebbero dovuto essere esclusi dalle attività riservate ai disabili sannicolesi per una assurda norma del regolamento o dello Statuto!). I dibattiti del cineforum erano sempre interrotti per privilegiare le abbuffate in sede dei soci “normali” o la visione collettiva delle partite di calcio con grande delusione dei ragazzi che volevano esprimere il loro pensiero e confrontarsi pubblicamente».
Emblematico è un altro caso espresso dalla Casarino: «Nelle gite fuori porta organizzate dalla presidenza, le escursioni finivano sempre al ristorante con grandi bevute e canti, unica proposta di svago. I soci “normali” passeggiavano prima e dopo consumando gelati e caffè al bar, mentre i disabili seguivano me e mio marito interessati ai beni culturali e alla loro storia».
Dall’impegno sociale per la disabilità, l’autrice passa ad altre forme di volontariato e partecipazione, familiarizzando anche con altri aspetti della realtà provinciale. Ci troviamo a cavallo tra l’impegno religioso e l’assistenza ai bisognosi: «Superando la delusione e l’amarezza provata nell’esperienza del volontariato, cercai di essere socialmente altrimenti utile al prossimo, di dare la voce a chi non parla, di amare chi è solo e disperato o brancola nelle tenebre cercando aiuto. Lavorai a casa con un gruppo di adolescenti e di giovani (maschi e femmine) con problematiche affettive o di relazione. Nel tempo, li coinvolsi nel volontariato parlando loro di Madre Teresa di Calcutta e delle suore del suo Ordine che operavano a Napoli a cui davamo il ricavato dalla vendita dei lavoretti creativi realizzati dalla scuola di shiatsu (che frequentavo, ovviamente a Napoli). Madre Teresa era diventata il nostro modello e i poveri da raggiungere la nostra meta. Sapevo che c’erano molti poveri e immigrati in costante crescita alla Mensa della Fratellanza creata da Don Oreste Farina in cui servivano volontari. Dopo aver contattato le persone che facevano servizio alla Mensa, regalai ai miei aspiranti volontari dei grembiuli bianchi e ci presentammo in gruppo nelle cucine offrendo il nostro aiuto. Incontrammo difficoltà di altro tipo. Ci dissero che era pericoloso il servizio in sala; andare a portare i vassoi con le pietanze ai tavoli che pericolo era? Ci limitammo a preparare i vassoi, a trasportare pesi e a pulire pentoloni e pavimenti. I ragazzi restarono molto delusi. Volevano conoscere e “incontrare” i poveri, entrare in relazione con loro. Solo una di loro, una ragazza del gruppo, continuò l’esperienza con me. Potemmo così osservare il comportamento diverso dei frequentatori abituali della mensa. I poveri di San Nicola avevano spesso pretese, si lamentavano delle pietanze o di quando non trovavano i dolci (regalati da un supermercato). Solo un senegalese, un immigrato anziano che faceva il venditore ambulante e veniva sempre alla Mensa, era solito ringraziare. Veniva in cucina a riportare il vassoio vuoto, ringraziando e benedicendo tutti i volontari per il servizio svolto con amore. Le differenze culturali condizionano anche il comportamento e il modo di essere poveri».
Olimpia Casarino ha particolarmente a cuore che certi fatti siano conosciuti da tutta la cittadina, quando si trovano a un passo dallo scivolare nell’oblio dei decenni trascorsi. Comprendere cosa è effettivamente accaduto significa anche leggere il presente con una maggiore lucidità, quindi possibile di miglioramento, con la consapevolezza di un problema non ignorato.
Il rapporto di Olimpia Casarino con le diverse realtà del volontariato sociale assunse negli anni successivi altre forme, collegandosi ad associazioni, anche di rilevanza nazionale: in particolare come Presidente della Sezione campana dell’ A.IT.A. Onlus (Associazione Italiana Afasici). La storia delle vicende del volontariato nell’A.IT.A. Campania e dei rapporti con le istituzioni negli anni 2000-2005 è narrata nel libro di denuncia “Storie di afasia”(2016) e nei numerosi interventi a convegni, riprodotti nel blog
https://olimpiacasarino.wordpress.com
Per la verità – precisa la Casarino – le attività promosse dall’ A.IT.A. campana tra il 2001 e il 2003 videro in più occasioni il sostegno e la partecipazione del Comune di San Nicola. Anche dopo lo scioglimento della Sezione campana dell’A.IT.A. la Casarino ha continuato a essere un punto di riferimento per gli afasici, non solo campani, e tuttora lo è.
Antonio Dentice d’Accadia
Indirizzo blog:
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