Il Titanic non è ancora affondato, riemerge con il “Picassas sopravvissuto”
A un anno dall’ultima intervista, il Professor Claudio Bossi ci racconta dei suoi studi e del suo nuovo libro.
Risale a circa un anno fa l’interessante intervista che il Professor Claudio Bossi, grande studioso delle vicende storiche del Titanic, ci concesse sulle pagine del Corriere di San Nicola; da allora sono arrivate nuove e interessanti novità, a completamento di un percorso che il Professore ha intrapreso tanti anni fa.
Innanzitutto, gli chiediamo se durante quest’anno ha aggiunto nuovi tasselli alla storia del Titanic, partecipato a convegni, completato nuove ricerche e studi.
«L’anno che si è appena chiuso mi ha visto assai impegnato sia in Italia sia all’estero fra conferenze e ricerche. Fortunatamente la mia attività di conferenziere non conosce pause. Questo però va a scapito di quello che mi piace fare di più, cioè le ricerche. A tal proposito aggiorno i gentili lettori del Corriere di San Nicola, che la mia perseveranza mi ha condotto a certificare che a bordo del Titanic vi erano altri due italiani, per cui passiamo dai trentotto già pubblicamente riconosciuti agli attuali quaranta. Singolare è anche il modo come ho potuto effettuare questa attestazione. Il discorso è molto lungo e non vorrei annoiare i lettori. Più o meno un anno fa mi trovavo a Burolo d’Ivrea, provincia di Torino, per l’inaugurazione di una via dedicata a un cameriere del Titanic che era originario di quella località. Il sindaco del posto, Franco Cominetto, mi chiese se ero a conoscenza di un ragazzo di Ivrea imbarcato sul celebre transatlantico. Gli risposi che avevo letto qualcosa sui giornali dell’epoca e sapevo che si chiamava Carlo Fey, originario di Fina di Ivrea. Quando effettuai indagini, intorno agli anni ’90 (internet era agli arbori…), guardai lo stradario cartaceo ma non vi era nessuna indicazione di quella località. Mi recai allora presso il Comune di Ivrea senza alcun risultato. Il sindaco Cominetto m’incalzò dicendo che probabilmente si trattativa di una storpiatura (cosa abituale a quei tempi) del toponimo di Tina, oggi frazione di Vestignè. Qualche giorno dopo, mi accertai che nessun Carlo Fey era registrato nel Comune di Vestignè. Chiesi allora di fare ulteriori ricerche, e questa volta consultai io stesso i registri, ma anche in quel caso non vi furono risultati. Nel frattempo una solerte impiegata, con una certa anzianità di servizio, s’intromise affermando che Tina, alla fine del XIX secolo (il Fey vi era nato nel 1893), faceva Comune a sé stante e che bisognava far ricerche negli archivi e tra le carte di quel Comune, oggi soppresso e non più indicato sulle cartine geografiche! Grazie al suggerimento dell’impiegata ecco apparire finalmente il Fey, dopo oltre un secolo trascorso nell’oblio. Più semplice è stato il “ritrovamento” dell’altro italiano, infatti, facendo ricerche per scrivere il mio ultimo libro, “Il picasass sopravvissuto al Titanic – La storia di Emilio Portaluppi”, sono ricorso alla consultazione degli archivi di Ellis Island, il principale porto d’accesso degli emigranti negli Stati Uniti in quegli anni. Ho aperto il fascicolo inerente all’anno 1903 (il Portaluppi sapevo che era emigrato in quell’anno) però la mano era corsa alla lettera R e non alla P. In modo del tutto casuale avevo letto di un tale S. Righini che, emigrato nel 1903 sul Palatia, doveva recarsi a New York presso la sorella sposata al signor Wenger. Seppi, in questo modo, che era un domestico originario di Pisignano di Cervia, provincia di Ravenna. Decisi di approfondire anche perché la mia mente aveva subito associato qualcosa alla lettura della parola Wenger, e anche perché sul tizio non avevo altri dati. Il ragazzo (aveva 29 anni) non figurava nell’elenco dei passeggeri perché maggiordomo di una facoltosa vedova americana e come tale era segnato sulla lista d’imbarco del Titanic come “Mrs. White and Servant”. A quei tempi i domestici personali degli aristocratici ospiti della nave non avevano neppure la dignità di un nome e cognome. Sapevo da altre mie ricerche di un Righini deceduto nella tragedia del Titanic. Ecco che nella distinta dei deceduti che il nome di Sante Righini era apparso, e, i dati di quell’italiano, partito alla ricerca di un lavoro e di fortuna in America, corrispondevano in tutto e per tutto. Purtroppo anche i suoi sogni di gloria erano finiti a fondo con il Titanic!».
-Professore, da tempo, quindi, lei si interessa delle storie dei sopravvissuti a quella tragedia e spesso ha pensato di scrivere qualcosa al riguardo; è ciò che è avvenuto nel suo ultimo libro? Ce ne parla?
«Sì, è quello che è successo in “Il picasass sopravvissuto al Titanic – La storia di Emilio Portaluppi”; questo, infatti, è il titolo del mio ultimo libro, disponibile nelle librerie dallo scorso 15 ottobre. Si tratta della vicenda che ha per protagonista uno dei tre italiani sopravvissuti al celebre naufragio che di mestiere faceva il picasass, cioè lo scalpellino. Attraverso le pagine del libro vi voglio invitare a leggere, oltre alla biografia del personaggio (davvero singolare) e alla storia del Titanic (ben nota, ma rivista dalla prospettiva del protagonista), anche la vicenda di un’emigrazione, che ha il sapore antico dei sentimenti, delle aspirazioni e di una serie di motivazioni che portarono al fenomeno migratorio, che interesserà moltissime persone. Si tratta di un libro dove i temi che maggiormente ricorrono sono la speranza e la nostalgia».
-Per il suo nuovo lavoro, da dove è partito e come ha ricostruito i passaggi di questa nuova storia?
«In pratica ho “giocato in casa” nel senso che essendo io stesso della provincia di Varese, come il protagonista della storia che racconto nel libro, è stato tutto più semplice. Anche se buona parte del materiale era già presente nel mio nutrito archivio, ho avuto il piacere di riassaporare il buon odore delle carte degli archivi, in questo caso gli archivi parrocchiali di Arcisate, gli archivi comunali sempre di Arcisate e gli archivi di Stato di Varese e Como. Per scrivere riguardo a questo personaggio, ho avuto l’enorme piacere di intervistare amici e persone che lo avevano conosciuto e farmi raccontare da loro stessi tutti i particolari della vicenda e disegnare anche il profilo di quest’uomo».
-Perché acquistare e leggere il “Il picasass sopravvissuto al Titanic – La storia di Emilio Portaluppi”?
«Nel mosaico delle storie vere che sono affiorate quella notte tragica tra il 14 e il 15 aprile del 1912, certamente una di queste ha portato James Cameron, il regista del celebre kolossal cinematografico Titanic, a immaginare qualcosa che assomiglia alla verità. E una di quelle appunto è la vita di quest’uomo che arrivava da Arcisate».
-Tutti abbiamo visto il film di James Cameron e con lui, forse abbiamo immaginato e sognato sulla tragica vicenda, dalle storie e dall’atmosfera di una nave che trasportava un mondo; ci hanno affascinato le sale, dove si consumavano cene per gente altolocata e ricca; secondo la sua esperienza, cosa e quanto c’è di vero nella finzione, qual è quella linea sottile che separa realtà e immaginazione?
«Sicuramente anche per le persone a bordo del “vero” Titanic doveva essere stata un’esperienza unica: tanta opulenza, tanto lusso e poi era bastata una montagna di ghiaccio a mandare a fondo tutto ciò. A me piace pensare che veramente la vita a bordo di quegli aristocratici dovesse essere proprio così, se non addirittura meglio, di come il regista l’ha rappresentata nel film. Dalla mia esperienza mi sono reso conto che quella nave trasportava la società di quell’epoca, fotografia di quella realtà, sprofondata all’improvviso negli abissi dell’oceano, come a provare la precarietà che contraddistingue la condizione umana. Tutta questa storia spinge a porsi delle domande sulla necessità delle vanità e delle apparenze, viviamo sospesi e tutto all’improvviso può andare a fondo, portandosi superbia e arroganza, e a volte una fatalità può portarci via anche le nostre speranze».
Giovanna Angelino
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