Titanic: una storia ancora tutta da raccontare
Nostra intervista al ricercatore Claudio Bossi, grande studioso della storia dell’ “Inaffondabile”, in giro per il mondo per continue conferenze, che sabato 2 febbraio sarà su Rai1.
Tanti i misteri che ancora avvolgono la tragica vicenda del transatlantico più famoso del mondo.
-di Giovanna Angelino-
Abbiamo incontrato Claudio Bossi, scrittore e grande studioso della storia del Titanic.
Claudio ha fatto della sua passione un vero stile di vita; infatti, spesso è impegnato in conferenze in giro per il mondo, scrive libri e promuove numerose ricerche storiche che impegnano gran parte del suo tempo.
Da alcuni giorni è rientrato proprio dal Sea City Museum a Southampton; nel museo è ospitato il modello interattivo del Titanic ed è proprio qui che Claudio ha tenuto una bellissima conferenza sulla storia del Titanic.
Lo scrittore ci ha rilasciato un’interessante intervista, lanciando un fascio di luce, almeno in parte, sulla complessa vicenda. Bossi ci ha rivelato in che modo si svolge una ricerca storica, raccontandoci piccoli e grandi aneddoti, che lasciano solo immaginare il grande mistero che accompagnerà per sempre la storia del transatlantico più famoso del mondo.
Ricordiamo che il Titanic salpò dal porto di Southampton (Inghilterra) il 10 aprile del 1912 diretto a New York con a bordo 2.227 persone e che nella notte fra il 14 e il 15 aprile, a seguito all’urto con un iceberg, la nave naufragò.
Tanto è stato scritto su questa storia, ma il mistero avvolge ancora oggi “L’Inaffondabile” e molte sono le teorie e le supposizioni. Bisogna considerare che negli archivi reali d’Inghilterra sono conservati documenti che riguardano il Titanic ancora coperti da segreto.
La prima domanda è d’obbligo.
-Come e quando è iniziato il suo interesse per il Titanic, quali sono le prime ricerche che ha effettuato e perché questa storia lo ha affascinato tanto.
«L’interesse di un bimbo per quella storia in età adulta si è trasformata in una vera e propria ossessione: dovevo sapere di più e sapere più di quanto ne sapevano gli altri su questa magnifica e tragica storia.
Tutto ebbe inizio nel 1985, anno in cui è stato trovato il relitto della nave. Le mie prime ricerche si sono svolte frequentando le emeroteche della zona dove abito (Varese -ndr) e quando ciò non mi è stato sufficiente mi sono recato là dove il Titanic era stato costruito; quindi ho svolto ricerche negli archivi irlandesi di Belfast; in seguito da dove il Titanic era partito per il suo primo e ultimo viaggio, quindi archivi inglesi di Kew, Londra. E quando anche questo non mi è bastato ho compiuto il grande balzo recandomi a New York e Washington, quindi valicando la soglia dei National Archives statunitensi. Infine ho consultato gli archivi canadesi di Halifax, Nuova Scozia, città dove sono sepolte le spoglie di poco più di 300 persone recuperate dal luogo del naufragio. Mi sono sempre chiesto come mai ci furono così tanti passeggeri maschi di prima classe sopravvissuti e il loro numero fu addirittura superiore ai bambini morti di terza classe. La spiegazione che ho dato a me stesso è stata che la vecchia regola “Prima le donne e i bambini!” non è stata rispettata. Ecco, questa differenziazione sociale, che è la caratteristica predominante della vicenda del Titanic, è stato il movente che mi ha indotto ad occuparmi e a scrivere di questa storia».
-In che modo svolge le sue ricerche, qual è il modus operandi, ovvero parte da un dettaglio? Quali sono i passaggi e gli agganci di cui uno storico non può fare a meno. In pratica come si svolge una ricerca storica?
«Leggere, leggere e ancora leggere. Tutto parte da un fatto accaduto, poi si analizzano tutti i dettagli e gli aspetti associati alla vicenda presa in esame. Nel caso specifico, quindi del Titanic, ho potuto prendere in considerazione un vasto repertorio d’archivio, dai documenti della White Star Line (la compagnia marittima), dal materiale in possesso di Harland & Wolff (i cantieri navali che costruirono la nave), per non parlare degli immensi e voluminosi fascicoli redatti dalle commissioni d’inchiesta istituite subito dopo il disastro. Il tutto senza dimenticare la ricca fonte di documentazione giornalistica che fece seguito al naufragio del transatlantico.
L’abilità del mio lavoro sta nel mettere insieme tutti i pezzi, con assoluto rigore cronologico, per non “depistare” i potenziali lettori e infine cercare di “interpretare” quello che è stato già scritto, compreso quello tra le righe.
Il mestiere dello storico è il mestiere dello scrivere ed è bello farlo per gli accademici come per i lettori di tutti i giorni. L’importante è cercare di scrivere bene, di essere convincenti, di trovare di volta in volta il modo più adatto per raccontare».
-Io sono ex collezionista di francobolli e per un periodo mi sono avvicinata, da semplice appassionata, anche alla Storia Postale; da mie ricerche personali so che sa bordo del Titanic vi era anche un ufficio postale nel quale lavoravano cinque funzionari, i quali morirono tutti nel naufragio. Sa dirmi altro sull’aspetto “postale” del Titanic?
«Partiamo innanzitutto dal nome: il nominativo esatto della nave era Royal Mail Steamer Titanic (Piroscafo di Posta Reale Titanic). Quindi era una RMS: una nave adibita anche al trasporto della regia posta. A bordo della nave vennero caricati complessivamente oltre 3000 “mailbags”.
Curioso è il fatto che, al porto di Queenstown (oggi Cobh) in Irlanda, ultimo approdo del Titanic prima di volgere la prua verso l’Oceano Atlantico, nell’atto di scaricare qualcuno di questi sacchi un membro dell’equipaggio si era nascosto in quel mucchio di posta e aveva disertato. Possiamo solo immaginare la felicità di quell’uomo, qualche giorno dopo, per aver compiuto quel gesto.
Poi l’ufficio postale dove operavano, come hai detto giustamente, cinque impiegati (tre americani e due inglesi) occupava un reparto importante della nave, soprattutto per la sua prestigiosa funzione. Mi piace ricordare che proprio quella fatidica notte era il compleanno di uno di questi uomini. Il locale della posta fu uno dei primi a subire il flusso dell’acqua penetrata nello scafo a seguito dello scontro con la montagna di ghiaccio».
-In realtà il Titanic aveva due navi gemelle, costruite nello stesso periodo che facevano parte di un unico progetto; ha fatto ricerche anche sull’Olympic e sul Britannic?
«Credetemi, c’è tanto di quel materiale da leggere, analizzare, comprendere e sviluppare sul Titanic che, al di là di una mera informazione sulle altre due gemelle, non avrei il tempo per poter prendere in esame quelle navi, che pur ebbero un ruolo di rilievo».
-Le sue ricerche si concentrano in modo particolare sulle persone imbarcate sulla nave e sulle loro storie. L’aspetto umano, al di là della tragedia, è forse quello che colpisce di più; in particolare cosa hanno in comune, secondo lei, le storie di chi si è imbarcato sul Titanic?
«E’ il caso innanzitutto di ricordare che quella nave era stata concepita per essere adibita al trasporto emigranti, un traffico allora assai redditizio per le compagnie marittime. Il Titanic rappresentava un piccolo microcosmo della società dell’epoca. A bordo c’erano nababbi, disposti a spendere una fortuna per quel viaggio, fino al più diseredato dei poveracci. Antipodi umani che non ebbero neppure il tempo di confrontarsi, perché qualche giorno dopo la partenza tutti (i più fortunati) si sarebbero trovati a galleggiare nelle acque del Nord Atlantico. Qui, tra i gelidi flutti dell’oceano, i milioni degli uni valevano quanto le tasche bucate degli altri».
-Sul Titanic si viaggiava in tre classi distinte, tanto che fin da subito il transatlantico è sembrato essere una fotografia fedele di quel periodo storico e soprattutto delle classi sociali esistenti all’epoca. Quanti erano gli italiani a bordo, è riuscito a ricostruire le loro storie?
«Vorrei aggiungere un doloroso particolare: forse le vittime italiane furono anche di più di quelle dichiarate e riscontrate. C’è da ritenere infatti che alcuni camerieri italiani vennero trasferiti all’ultimo momento dalla nave gemella Olympic al Titanic, senza che il loro nome venisse registrato.
Premesso questo, affermo che dall’elenco delle persone imbarcate non tutti coloro che avevano nomi e cognomi di chiara dizione italiana corrispondevano a cittadini italiani; affermo che gli italiani, da me certificati, a bordo della nave erano 40. Trentuno di loro erano camerieri al servizio di Luigi Gatti, quindi un italiano, gestore dei ristoranti di gran lusso di prima classe. Il Gatti volle assumere a tutti i costi professionisti di alto livello e di cui già conosceva le capacità.Decise così di ingaggiare perlopiù giovani che avevano intrapreso una brillante carriera nei migliori ristoranti di Londra. Tutti scomparvero nel naufragio perché il loro turno per l’accesso alle barche di salvataggio fu consentito solo dopo quello degli altri passeggeri, quindi il personale di bordo fu ben lontano da effettive possibilità di salvezza.
Nove erano veri e propri passeggeri. Di questi ultimi possiamo dire che, per cercare di guadagnarsi la pagnotta, a un certo punto della loro esistenza, avevano sentito forte l’attrattiva di potersi fare una nuova vita in America. Solamente in 3 sopravvissero all’affondamento.
Nella maggioranza dei casi i nostri connazionali erano giovani, se non giovanissimi, che non ebbero un futuro».
-Quello che rappresenta il Titanic da tanti punti di vista lo possiamo solo immaginare; molti hanno conosciuto la sua storia guardando alcuni film, come ad esempio quello più recente scritto e diretto da James Cameron. In quella pellicola abbiamo potuto ammirare gli interni di lusso, le cabine, l’equipaggiamento in dotazione, come erano organizzate le classi, ma quella nave, oltre al mistero e ai numerosi dubbi che ancora non si sciolgono è qualcosa di più. A Southampton sono arrivate persone da diversi paesi per imbarcarsi: potenti industriali e anche disperati; quanti altri aspetti ancora ci sono oltre agli arredi, alle scialuppe e a passeggeri diversi per etnia ed estrazione sociale?
«Il Titanic rappresentava, in misura uguale sia come progetti sia come costruzione, il risultato della grande esperienza di una delle più importanti società armatoriali e di uno dei cantieri navali tra i più preparati da un punto di vista scientifico a livello mondiale. Rappresentava tutto quello che capacità di precisione e di conoscenza potevano escogitare per renderlo immune da qualunque disastro. Sul Titanic ci sono state e ci sono ancora numerose correnti di pensiero; vi è anche chi addirittura mette in dubbio che la nave sia mai partita».
-So che è di ritorno dall’Inghilterra per due conferenze; ci può raccontare qualcosa di questa esperienza? Qual è il tipo di pubblico che ha incontrato?
«Non è la prima volta che mi reco all’estero per delle conferenze. Fuori dall’Italia l’argomento che interessa di più è la storia dei nostri italiani, da dove venivano, cosa facevano, perché erano sul Titanic, e via discorrendo.
Sempre ho riscontrato un positivo e partecipe atteggiamento da parte del pubblico presente, forse e anche perché composto in massima parte da nostri connazionali che risiedono o si trovano lì per lavoro. Forse coloro che assistono alle mie conferenze sono entusiasti che a raccontare quelle vicende sia un italiano. Alcuni, tra i più giovani, non nascondono poi la vaga speranza che qualcuno di queste persone, che presero la via del mare oltre un secolo fa, provenisse proprio dalla loro stessa località d’origine. Non a caso sovente mi chiedono “non è che, per caso, a bordo c’era qualcuno originario di…?”».
Salutiamo e ringraziamo Claudio Bossi (che sabato 2 febbraio, alle ore 16.40, sarà ospite su Rai1 nel programma “ItaliaSì!”) per l’importante lavoro che svolge, per l’autorevolezza con la quale rappresenta l’Italia nel mondo e per il contributo alla ricerca e alla ricostruzione di un pezzo di storia fra i più avvincenti di tutti i tempi.
Giovanna Angelino
©Corriere di San Nicola
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