"Giovani e Chiesa a confronto: quale religione?" PARTE II
In esclusiva sul “Corriere di San Nicola” il quarto libro del saggista sannicolese ANTONIO SERINO: “Viaggio nelle difficoltà, nelle possibilità di dialogo e nelle prospettive di confronto tra due realtà complementari ma fondamentali per la società”.
-PARTE SECONDA (La crisi della famiglia)-
Nell’aprile del 2021, Antonio Serino ci autorizzò, in esclusiva, a pubblicare, a puntate, “WORKING PROGRESS”, il suo primo lavoro letterario (una “raccolta di riflessioni che non costituiscono e né vogliono auto valutarsi in alcun modo quale strumento su cui basarsi per eseguire analisi sociologiche, psicologiche o, per di più psico-religiose, ma hanno il solo scopo di contribuire o, se si vuole, di dar forza a far meglio comprendere come meditazioni e riflessioni, basate su concetti e principi fondamentali, in questo caso quelli cristiani, possano contribuire a trasformare la propria vita, migliorandola e, contemporaneamente, a portare benefici all’intera società".
Il 30 dicembre 2022, in occasione dell'incontro "Cara famiglia, ti amo" promosso ed organizzato dal giornalista Nicola Ciaramella (direttore del “Corriere di San Nicola”) nell'ambito delle manifestazioni relative all'XI Presepe Vivente dell'Associazione Cattolica N. S. di Lourdes, fu la volta della presentazione ufficiale del secondo libro del saggista sannicolese, dal titolo “CARA FAMIGLIA”, che dice tutto, spiega tutto e coinvolge tutti in un appassionante excursus sulla storia, sui valori e sullo “status” attuale della cellula primaria e vitale della società.
A luglio 2023, la sintesi delle lezioni e degli incontri tenuti da Serino nell’ambito delle attività del gruppo “FAMIGLIA BETANIA” di Santa Maria degli Angeli nel primo semestre dell’anno.
Settembre 2023. Glielo abbiamo sempre detto, sin dal primo momento, e glielo abbiamo ripetuto: “Caro Antonio, tu hai avuto da Qualcuno il dono prezioso di saper contribuire a diffondere le parole più belle, gli ideali più belli, quelli che sono stati creati per fare il mondo più bello. Hai l’obbligo, il dovere di non fermarti e di regalarlo agli altri”.
Siamo gioiosi, dunque, che il “Corriere di San Nicola” può pregiarsi di pubblicare, dopo i primi tre di cui abbiamo detto, il quarto libro di Antonio Serino. La nostra platea di lettori è vasta, possiamo anche noi contribuire a diffondere qualcosa di cosi bello.
Sì. Bello. Perché altri aggettivi non esistono. I paroloni d’occasione che spesso si usano quando non si sente dentro ciò che si dona, ci spaventano. Scegliamo l’umiltà. La semplicità. L’ amore. Bastano queste tre parole che sono stampate nel cuore e nell’animo di chi ha scritto questi libri per capire cosa può esserci dentro.
Lo abbiamo letto. Ora lo porgiamo a chi vorrà seguirci. Abbiamo chiesto all’autore, e subito ottenuto, di pubblicare sul nostro giornale “GIOVANI E CHIESA A CONFRONTO: QUALE RELIGIONE?” in diverse puntate. Non molte. Quante ne bastano per accendere l’animo dei …curiosi. Sì, perché, in fondo, se andiamo bene a vedere e a pensare, molti cristiani sono ancora tutti un po’ curiosi… La strada per raggiungere la certezza è per molti ancora lunga… Serino e noi, tutti granellini piccoli piccoli e quasi insignificanti della sabbia della fede, ci proviamo. La speranza che ci anima è tantissima. Non possiamo tenercela dentro. Non possiamo assolutamente permettere che si possa disperdere. Ciascuno di noi (Serino che scrive, il "Corriere di San Nicola" che diffonde) ha l’obbligo di dare il proprio contributo per far conoscere una cosa bella. Affinché essa possa assurgere ad alimento utile per tutti coloro che se ne vorranno cibare.
Serino ci ha anche promesso che prossimamente ne parleremo in video conferenza. Per accorciare ancora di più la distanza tra il "narratore" ed il lettore. Proveremo anche a fare questo. Sperando di essere tutti all'altezza di questo delicato compito che appartiene ai volontari del dialogo.
(Nicola Ciaramella)
ANTONIO SERINO è nato a San Nicola la Strada, dove tuttora vive. E’ laureato in Scienze dell'Economia e Gestione delle Imprese. La sua esperienza formativa ha naturalmente matrice cattolica perché fin da piccolo la sua famiglia era composta da persone cattoliche, particolarmente attive nella parrocchia. Per questo motivo ha partecipato alle varie associazioni cattoliche presenti.
Ha mosso i primi passi nell’Azione Cattolica per poi passare alla vita della Parrocchia fino al Movimento Giovanile Missionario, promosso e curato dal carissimo Direttore Diocesano Don Antonio Pasquariello. In questo Movimento, unitamente a tanti altri amici, ha contribuito all’animazione locale mediante raccolte fondi, mostre di oggetti di artigianato africano, nonché attività oratoriali per bambini.
Ha fatto parte ed ancora annovera la sua presenza in associazioni culturali e religiose, in quanto fermo assertore che la coesione sia uno strumento basilare per la crescita sociale e solidale.
Da circa trent’anni è componente del Consiglio degli Affari Economici della Parrocchia, di cui conosce la difficile gestione economico patrimoniale.
Dal 2019 coordina il gruppo Famiglia Betania, fortemente voluto dal già parroco di Santa Maria degli Angeli, Don Franco Catrame, un insieme di famiglie che studia le esortazioni apostoliche firmate da Papa Francesco, necessarie alla famiglia di oggi per comprendere e vivere in un modo più consapevole la vita odierna.
Dal 2020 collabora con il "Corriere di San Nicola".
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Leggi PARTE PRIMA
https://www.corrieredisannicola.it/arte-cultura-e-spettacoli/notizie/arte-cultura-e-spettacoli/giovani-e-chiesa-a-confronto-quale-religione
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LA CRISI DELLA FAMIGLIA
- MEMORIA DEGLI INSEGNAMENTI
- IL PASSAGGIO
- IL RAPPORTO TRA I GIOVANI E LA RELIGIONE
- I GIOVANI DI FRONTE ALLA PROPOSTA RELIGIOSA
MEMORIA DEGLI INSEGNAMENTI
Papa Francesco ritorna sovente sull’argomento relativo alle “colonizzazioni culturali” con le quali sono sistematicamente sabotate le libertà, di qualsiasi genere, alle generazioni che si apprestano ad acquisire la propria autonomia in seno alla società che, invece, li vuole solo addomesticare. In altre parole, si costruisce un sistema di educazione basato sul ricatto morale. Lo Stato fornisce tutto il materiale occorrente ai giovani per stare al passo coi tempi ma, in cambio, deve ricevere dagli organi preposti una adeguata corrispondenza al servizio offerto: quindi una educazione civica degna dell’ideologia in quel momento al potere, oppure una educazione religiosa secondo le disposizioni più aderenti alle proprie necessità, ecc. ecc. In tal modo s’implementa l’indottrinamento indiretto della mentalità giovanile che trasforma le proprie ambizioni e convinzioni in altrettante ed inservibili ma molto convenienti al sistema sociale o alla propria realtà sociale in cui vive. E’ così tante volte annotiamo l’abbandono degli insegnamenti ricevuti in seno alla propria famiglia, siano essi di natura civile o religiosa che, comunque, in passato tanto bene hanno fatto alla propria fanciullezza. Vengono a perdersi tanti modi di fare, tanti atteggiamenti che hanno sempre fatto piacere eseguire ed al loro posto ci si adatta alle nuove “necessità”, non proprie ma della comunità globale, che non sa che farsene di determinati valori ma che richiede ben altro per i propri scopi istituzionali. Ma dato che ciò che a noi interessa è l’aspetto esclusivamente religioso, allora evidenziamo come nell’ultimo cinquantennio la religiosità sia stata minata dalle nuove concezioni, dalle rivendicazioni sociali o politiche che hanno letteralmente abbattuto lo status imposto dalla Chiesa per sostituirlo con l’applicazione dei parametri civili e sociali più corrispondenti alle necessità del momento. E’ in questa delicatissima fase che abbiamo assistito all’inizio della fine. La cosiddetta “memoria” è stata relegata al solo ricordo nostalgico dei bei momenti in cui la famiglia viveva “coscientemente ed adeguatamente” la propria realtà di piccola società. In quest’epoca così bistrattata dagli usi e costumi non provenienti da nessuna istituzione religiosa, i cristiani hanno perso o, se vogliamo, hanno abbandonato il proprio originale “senso vitale” per adeguarsi più facilmente e supinamente alle mode ed alle meraviglie contemporanee. In tal modo il cristiano ha lasciato quella piccola vita contemplativa cui con tanto fervore aveva aderito fin da piccolo per accodarsi come un numero qualsiasi alla fila interminabile di seguaci della modernità. E’ stato così, dunque, che la chiesa è rimasta orfana sia di grandi che di piccoli eroi che, come il Profeta Elia, pur essendo dediti alla vita di comunione spirituale non disdegnava di redarguire il re o la regina per i loro misfatti. Come più volte ha affermato Papa Francesco, oggi la Chiesa ha bisogno di credenti che, pur essendo intercalati in un dato contesto storico, non demordono di dire il proprio NO allorquando devono esprimere la propria fede su questioni vitali e contro natura. Il cristiano, dunque, dovrebbe vivere con tranquillità la sua “dicotonia” per cui deve obbedire alle leggi di Gesù Cristo ma deve anche intervenire ai bisogni dei propri fratelli, e ciò lo deve attuare predisponendosi all’occorrenza mediante la preghiera che è l’unica forza con cui il cristiano viene investito da Dio Padre per affrontare le difficoltà che va ad incontrare quotidianamente sulla propria strada. Cosa desiderano allora i giovani di oggi dalla Chiesa? Per le loro gravi deficienze formative, i giovani hanno bisogno innanzitutto di validi educatori, che grazie alle loro preparazione, alla forza coinvolgente ed alle capacità derivanti dalle esperienze acquisite potranno seguirli autenticamente nella ricerca della interiorità di ognuno. La prova di ciò è il resoconto espresso da un lavoro redatto dalla CEI che ha rivelato come studenti liceali di Milano abbiano avuto l’opportunità di confrontarsi con disposizioni ed orientamenti proposti dall’episcopato, affrontando temi relativi all’educazione ed alla Chiesa, intesa come raffigurazione di discepola, madre e maestra: si tratta di due elaborati che consentono agli adulti di approfondire la conoscenza del mondo giovanile e di poterne meglio comprendere i bisogni esistenziali. I principi derivanti dallo studio Hanno permesso di individuare nella concezione giovanile una divergenza netta nella visione della Chiesa come istituzione e come comunità cattolica quindi, mentre per alcune tematiche la Chiesa potrebbe dare senz’altro una mano per comprendere valori forti e importanti, dall’altra parte, per aspetti o problematiche più attinenti l’intimo o, se vogliamo, l’individualismo di ognuno, allora la Chiesa non è nelle capacità di esprimere il valore giusto da impartire ai propri fedeli ma, piuttosto, sarebbe compito di un apposito specialista. Si tratta di flussi informativi che i giovani recepiscono ogni giorno dai mass media, da correnti culturali di parte o da fonti del tutto inattendibili: si tratta, cioé di dati molto soggettivi che si prestano con ampia possibilità a destabilizzare l’opinione dei giovani. Ecco perché nasce la necessità di una educazione di base, inculcata da esperti della comunicazione e della formazione, in grado di sovvertire la rete di informazioni che frequentemente assillano i giovani, Ma gli stessi risultati esposti mostrano come sia evidente la richiesta dei giovani che desiderano di voler essere aiutati o coadiuvati da adulti ma che siano in sintonia con loro e che possano fornire adeguata coerenza con quello che dicono o propongono, senza scendere nelle provocazioni. Lo studio della CEI però mostra anche una peculiare difficoltà nella impossibilità di impartire una accurata educazione perché i giovani, coinvolti in un contesto attuale privo di grandi valori educativi, si allontanano dalla Chiesa che invece risulta essere un notevole mezzo di educazione. La Chiesa è impressa nella mentalità dei giovani come immagine antiquata, non per nulla aderente alle necessità ed alle concezioni moderne. In definitiva l’indagine commissionata dalla CEI ha permesso di scoprire un mondo giovanile attento, curioso, critico sui grandi perché della vita, quindi individui che rivelano la loro sensibilità nella voglia di capire e intendere nel senso più ampio quei valori sani che preparano a diventare adulti nella società. E’ per queste fondate motivazioni che i preparatori dovranno essere ricchi di umanità, maestri, testimoni e compagni di strada, disposti a incontrarli, ad ascoltarli a ridestare le domande sul senso della vita e sul loro futuro. E l'educatore guida attraverso non tanto con le parole, ma attraverso quell'esperienza che mette in luce come l'educatore, sotto l'azione dello Spirito, viva la sua vita cristiana.
IL PASSAGGIONon si vuole qui trattare l’argomento fede nella sua più ampia concezione cristiana, ma se ne vuole solo evidenziare la sua fondamentale importanza, specie nei casi in cui essa diventa fulcro dell’azione individuale nel contesto sociale. In quel caso, infatti, la fede da meditare, rappresentare e vivere è quella su cui il cristiano dovrebbe basarsi per porre le fondamenta della propria vita; perciò non dovrebbe coronare sogni o ambizioni ma tendere a veri e propri impegni. La verità e la realtà, purtroppo, non sono proprio così aderenti a questo fattore tant’è che anche Papa Francesco ha più volte espresso il proprio cruccio che la vita espressa dal cristiano di oggi invece non è adeguatamente in simbiosi con la propria coscienza e le proprie responsabilità circa il bene ed il male; è come se affermassimo che la nostra religiosità non coinvolge la nostra comune vita, relegandola ad una sola esperienza di esistenza amorfa, priva di qualsiasi significato. Cristo vuole che la religione sia la Strada da percorrere nel contesto sociale in cui il cristiano, col proprio esempio, deve riuscire a sviluppare un nuovo modo corretto e soddisfacente di modello di vita sano e coerente. E’ lo stesso Gesù Cristo che redarguisce i sacerdoti del suo tempo, dichiarandoli colpevoli di vivere la proprie esperienza di fede con una mentalità di sola facciata, avulsa dalla consapevolezza che li investe nella diretta imputazione delle colpe per il mancato esercizio della propria funzione religiosa. Eppure, nonostante tutto ciò, il Signore Dio, nella Sua infinita Misericordia, acconsente di ripensarci e con pazienza illimitata aspetta che l’uomo si ravveda dalla propria intransigenza e dall’allontanamento cui ha aderito in passato, per riavvicinarsi a Lui e riprendersi la propria libertà e, con rammarico per l’offesa perpetrata, gli si possa riportare l’ognuno sorridente Sì al Suo paterno abbraccio paterno. E’ pur vero che questa inversione di tendenza comporta un enorme sacrificio o, se vogliamo, un abbandono delle facilità della vita che, mascherate da vistose grazie della società contemporanea, finora hanno consentito un transito vitale caratterizzato da insensibilità e pressapochismo di parecchi cristiani che, pur professandosi tali, non effettivamente o lealmente praticano la religione come dettato dai canoni ordinari. Ma la conversione cui tutti i cristiani sono deputati ad affrontare è un processo di vera e propria purificazione, che alla propria conclusione porrà l’Amore e la Gioia al posto dell’egoismo e delle dure incrostazioni cui aveva deputato il proprio sentimentalismo. Per questo motivo il Santo Padre consiglia di affidarsi a Cristo non per ottenere doni semplicemente materiali ma per ricevere quella grazia con cui ritornare miti e docili sotto la protezione dello Spirito Santo, votato allo scioglimento dei cuori ed all’azione del pentimento. Se abbiamo la costanza di porci continuamente sotto esame di coscienza, potremo delineare il processo che ha comportato l’abbandono delle bellezze spirituali a favore di quelle espresse dalla modernità. Partiamo dall’assunto che l’uomo non può essere in alcun modo felice o gioioso se non riesce a incrementare i propri rapporti in seno all’amicizia o agli affetti: è una simbiosi fondamentale che lega l’uomo al suo destino. Nel momento in cui l’uomo non ha o non riesce a costruirsi questi legami o bisogni fondamentali dovrà volgere necessariamente il proprio sguardo ed i propri interessi verso altri fattori che definiremmo “surrogati” che potranno riempire lo spazio o il vuoto dovuto alla carenza di quel primario genere di amore. Così l’uomo non fa altro che eseguire un “passaggio” molto più facile e semplice: si rifugia in quelle circostanze più immediate, costituite da elementi quali ambizioni, possesso, sesso, fama di potere e via via su questa strada. Ma come notiamo, si tratta di elementi astratti che, in quanto tali, sono caratterizzati da caducità e facile decadimento ma che, però sono talmente pericolosi in quanto all’occorrenza accecano chi vi si sottopone. Si tratta di accomodamenti che risiedono tutti al di fuori dell’essere personale e che, pertanto, molto frequentemente sono modificati da elementi e forze esterne, che non hanno niente non in linea con i principi dell’uomo. Chi cerca in queste forme “estemporanee” di felicità o appagamento ben presto si accorgerà dell’eufemismo che l’ha coinvolto e che molto presto lo lascerà, relegandolo ad un deluso spettatore di una felicità inappropriata. Le luci sfavillanti che hanno attratto l’attenzione dell’uomo lo lasceranno presto al buio lasciandogli solo lo spazio per far tentativi di approdo a qualche appoggio che possa sostenerlo nella circostanza, pur rimanendo nel suo animo la consapevolezza che l’oscurità in cui si ritrova non gli consente in alcun modo di ritrovare la luce che gli illumini la strada per ritornare alla base. Solo la sua forza di volontà, associata all’aiuto di altri - o di Altro – gli consentirà di ritrovare la strada giusta, libera da intoppi caratterizzati da facili ingerenze con le quali si deviano i sentieri che conducono alla vera felicità.
IL RAPPORTO TRA GIOVANI E RELIGIONECome abbiamo già avuto modo di accennare, la fede dovrebbe essere uno degli argomenti più discussi all’interno della famiglia, se non per altro perché essa per prima produce gli effetti causali della nascita dei valori sociali e religiosi del giovane. Più volte considerata come la base fondamentale per la costituzione sociale la Fede oggi è relegata a semplice argomento da trattare ogni qualvolta si riscontri un aperto contrasto con le vicissitudini e le contrapposizioni imposte dalla attuale società. Quindi, diremmo che è divenuto un fattore non importante per l’organizzazione e la strutturazione della famiglia. Oggi è tanto evidente come non si parli più all’interno delle mura domestiche di religione, di chiesa e, figuriamoci, di catechismo. Eppure Papa Giovanni Paolo II ha per tanto tempo chiesto alle autorità preposte alla Costituzione dello Statuto Europeo, il riconoscimento imprescindibile dell’opera cristiana per la elaborazione e la costruzione dei fondamenti sociali europei. Oggi i giovani dovrebbero sapere che quegli sporadici eventi familiari che riuniscono tutto il contesto generazione di una famiglia, in occasione di qualche matrimonio, di comunione o altro rito non costituiscono il momento culminante per vivere la propria Fede perché la Fede necessita di una vera convivenza, di una condivisione globale e non solo concettuale, dei valori cristiani. Infatti, come si nota frequentemente, l’esercizio della Fede altro non è che il seguito a imposizioni avute in passato, quando l’educazione era trasmessa solo sulla base di concetti empirici. Ancora una volta vi è la responsabilità di chi in quei momenti era interlocutore per insegnare ai giovani. Facendo riferimento alla sua preparazione, alla sua affidabilità, alla sua convinzione il giovane avrebbe potuto apprendere i valori che danno certezza alla propria formazione personale. Solo quando è venuto a mancare il sostegno della famiglia si è incominciato ad assistere alla degenerazione dei rapporti tra giovani e la collettività e solo ritornando in seno ad essa si possono ricreare le medesime condizioni di partenza. A parere personale non valgono tanto i richiami degli studiosi, degli organi che provvedono o meglio, che dovrebbero intervenire ed adeguatamente, quanto l’urgenza da parte dei genitori di riposizionare le proprie funzioni nel contesto familiare. Sarebbe bene ritornare dove si era interrotto la linea di comunicazione così come si era abbandonata l’idea di disporsi verso i figli concependo la necessità di adeguare la comunicazione in base alla personalità di ogni figlio che in tal modo riesce a percepire l’intimità del rapporto figliare, culturale, religioso, e professionale. Così proseguendo il giovane si apre alla discussione, al colloquio, al confronto, esponendo i propri “ma” i suoi “se” e recependo gli insegnamenti che forti dell’esperienza da cui provengono gli forniranno le cognizioni precise, esatte e necessarie per affrontare sia le questioni semplici che quelle più impegnative. Appare abbastanza facile rilevare che negli argomenti trattati dai giovani è presente una presa di posizione alquanto disaffezionata nei confronti delle istituzioni religiose, per diversi motivi, che possono essere veri o meno, giusti o non giusti, ma che comportano quasi inevitabilmente il rigetto di qualsiasi proposta avanzata dagli organi religiosi imputati, rifiutando non solo le pratiche religiose ma anche la stessa partecipazione attiva alla vita parrocchiale, alle cerimonie ed ai riti, ritenuti elementi di interesse solo celebrativo, non fondamentali per la propria concezione e quindi meno importanti per la propria vita. Ciò non esclude il verificarsi di dubbi ed incertezze – e qui si va sul serio – su tematiche dottrinali elaborate ed inculcate dalle istituzioni ecclesiali. Perché, allora, questa durezza e questo pesante rifiuto? Dall’esame dei dati riportati dalle indagini condotte emergono alcuni punti molto delicati. Il primo è quello che riguarda la credibilità delle istituzioni ecclesiali, che nell’orizzonte temporale sociale hanno avuto una minore importanza durante le fasi della costruzione della civiltà sociale pre-industriale ma che oggi assumono una posizione di assoluta importanza nella costruzione di una civiltà industriale paritetica. Tra i giovani serpeggia un atteggiamento critico verso queste istituzioni che, invece, dovrebbero essere considerate come quell’organismo che tende a identificare una religiosità certa ed univoca, al passo con i tempi, certa che gli orientamenti espressi non rivelassero contrasti con le necessità e la modernizzazione. Questo evidente stato di opposizione lo si avverte maggiormente nella disapprovazione che i giovani esprimono verso la tenuta dei valori tradizionali di cui la Chiesa è da sempre promotrice. L’elemento che tiene accesa la speranza verso una “riapertura” delle proprie concezioni verso la chiesa è che, fortunatamente, questo stato di cose non causa per forza l’abbandono dei giovani a tutte le forme di religiosità tant’è che essi non si chiudono a riccio verso la Fede. Ma per potersi esprimere essi hanno bisogno di certezze da parte di chi hanno di fronte, per questo cercano aperture mentali con le istituzioni religiose per cui alle proprie domande vogliono risposte credibili scevre da riserve mentali. Allorquando vengono meno tali condizioni, si verifica un lento e graduale allontanamento dai personaggi ritenuti di” collegamento ” con quelle concezioni per cui mettono in scena un continuo spopolamento delle chiese in quanto i giovani, pur ritenendo sempre di far parte della formazione religiosa, ritengono di potersi costruire ad hoc un modo di dialogare con il proprio intimo, rapportandolo alla forza divina, creatrice ed ispiratrice, a cui potersi rivolgere in qualsiasi momento di difficoltà. Infatti, pur essendo in aperto contrasto con gli enti religiosi essi si proiettano verso altre forme di religione, più accomodanti, più coinvolgenti, che tenderebbero a modernizzare e ad allineare la propria Fede con le proprie necessità. In tal modo essi cercano di costruirsi una alternativa alle imposizioni restrittive e meno sociali di quelle adottate dalla Chiesa, intercalandovi fondamenti e parametri non oppressi dalla burocrazia e più affini ad esperienze vitali. E’ in questo contesto che i evidenziano l’avvicinarsi a sistemi religiosi personali che propongono pratiche esoteriche, in genere meditative.
I GIOVANI DI FRONTE ALLA PROPOSTA RELIGIOSAL’annosa guerra tra giovani e matusa, oltre che dalle concezioni puramente innovative e strategiche esposte dal mondo dei giovani adulti, si basa anche su concetti e pregiudizi che vanno al di là di tali supposizioni. In realtà, ciò che maggiormente fa paura ai giovani è la totale diffidenza che i più maturi hanno nei loro riguardi, oltre alle prese di posizione inerenti una improbabile preparazione ad accogliere e discutere problematiche che sono state votate ad essere districate dai soggetti più anziani perché, si vuole nella mentalità comune, che essi siano dotati di più esperienza e che tale esperienza formi preparazione ed efficienza nel risolvere le questioni di qualsiasi genere. D’altra parte le posizioni assunte dai giovani non sono del tutto fantastiche, non sono proprio utopistiche anzi, grazie ad un mondo che va in continua evoluzione e, perciò, anche gli studi e le culture a cui gli stessi giovani si approcciano diventano apportatrici di benefici all’intera società. Dall’altro lato riscontriamo una barriera posta dai più grandi che, però, dall’alto della propria finta coerenza, impugnano non già gli interventi richiesti dai giovani, ma la loro stessa presenza, giudicata frettolosa, talvolta discutibile ma comunque sempre e comunque inaffidabile. Riportando questo concetto all’interno della diatriba giovani – chiesa, c’è da segnalare come questo confronto sia da valutare con attenzione perché in esso vi sono parametri con cui i giovani e non tanto gli anziani esprimono soluzioni ai problemi connessi con la Chiesa. Va rilevato che in questo contesto il mondo giovanile è avvantaggiato perché nella ricerca e individuazione dei problemi che hanno in essere con la Chiesa essi scoprono quelle modalità con cui si potrebbero porre rimedi e salvare quindi un rapporto deteriorato, se non del tutto cancellato. Essi, infatti, sentono la necessità di non stare con le mani in mano e di partecipare al confronto, alla costruzione di una linea programmatica che investa indifferentemente tutti, senza alcuna riserva o remora. In questo agire sta tutto la loro naturale energia: essere in prima linea in maniera collettiva li rende forti nell’agire e nell’ottenere i risultati. Quindi, se valutiamo la loro singola sfera d’azione possono mostrare qualche forma di debolezza o di inefficienza, ma presi come forza collettiva o comunitaria capovolgono le attese e prestano il lato migliore. Nell’esprimere le nostre opinioni a livello teologico dobbiamo quindi tenere conto del momento in cui la Chiesa percorre la sua storia e del momento in cui i giovani, nel sentirsi chiamati a rispondere alle necessità della chiesa si lanciano nell’avventura forti della loro sola veemenza che li caratterizza. Nell’evolversi delle contestazioni giovanili è naturale far confluire anche questo genere di reazione verso l’apparato ecclesiale. D’altra parte è doveroso rapportare anche nel campo religioso la tipologia di contestazioni così come avanzate in tutti i campi di interesse dei giovani. Quindi è assodato che vi è contestazione anche nella Chiesa ma qui, già nelle documentazioni conclusive del Concilio Vaticano II riscontriamo nuovi modelli guida e nuovi programmi dottrinali che presupponevano la rivalutazione della concezione giovanile e pretendevano perciò già una assidua nonché preponderante azione di questa larga componente della società moderna. Infatti è imprescindibile, si legge in tali documenti, fare a meno di questa forza lavoro, di questa energia nuova e graffiante che può apportare solo positività alla vita futura della Chiesa. Il neo che pregiudica questo connubio invece, è di natura strettamente funzionale in quanto mancano (al momento) ancora i programmi operativi in grado di assorbire quelle idee-forza come princìpi animatori di nuove e concrete strutture. Ciò è dovuto al ritardo, notevole, nel trasformare le linee dottrinali in nuove leggi canoniche, nel ritardo ad investire in strutture operative ma ancor più sentita è la difficoltà che la Chiesa riscontra nel prendere coscienza delle variazioni che avvengono nel sociale e trattarle con la debita considerazione. E’ in questo caso che sorge la contestazione vera e propria diretta non alla componente ecclesiastica ma all’intero sistema - Chiesa. Di conseguenza, se un sistema è minato già alla base da un forte pregiudizio, il suo operato non può tenere testa ai propri valori esposti, figuriamoci a quelli evangelici. Pertanto è necessario procedere ad una ristrutturazione delle procedure, delle valutazioni, rivedere quelle che sono le prerogative di nuovi assetti componentistici della Chiesa moderna, ricostruire le basi per un avvenire più adeguato alle circostanze proposte dalle nuove leve della società, imbastire nuovi tipi di rapporti e di dialoghi con tutte le forze interne della Chiesa. Costruire o rimodulare la Chiesa secondo queste nuove linee programmatiche riporta al richiamo dell'impegno sociale derivante dalla fede nel Vangelo, nel senso che per i giovani la fede deve diventare uno stimolo a vivere ogni giorno come se fosse un working progress, e non è giusto e non adeguato avere o realizzare un progresso in qualsiasi settore se questo non è parallelamente accompagnato dall’ umanizzazione dell’intera società. Da qui l’accusa alla Chiesa di essere socia del capitalismo, al comparto bancario, al settore finanziario, ai quali garantisce la copertura morale, divenendo in tal modo una delle strutture portanti del sistema capitalista, facendosi anche complice dello sfruttamento che il capitalismo oggi compie. Al contrario e direi peggio ancora, una Chiesa che tende a non sporcarsi le mani, nel senso di non compromettersi per difendere i più deboli e gli oppressi, è una Chiesa non vera, che ha già tradito una parte della sua essenza, la sua missione. Occorre anche cambiare i modi dell'esercizio dell'autorità che nella Chiesa attuale risentono ancora parecchio dell'influsso di un certo ordinamento politico-sociale ormai superato. Sia l'autorità che l'obbedienza non sono degli assoluti, ma sono al servizio della scoperta e dell'adeguamento alla volontà di Dio per il singolo e per la comunità. A questo fine occorre relativizzare l'arbitrio del singolo, anche del singolo superiore o pastore, che non può essere competente in tutti i problemi che si pongono alle singole comunità. La complessità di questi problemi esige una collaborazione franca e leale tra i pastori e il resto del popolo di Dio. Quali sono gli orientamenti, i pensieri, le deduzioni e gli eventuali pareri che il mondo giovanile presenta ai vertici ecclesiastici affinché il cammino percorso unitariamente da Chiesa e gioventù possa riprendere? Il punto di partenza è che innanzitutto la Chiesa debba necessariamente “scendere” dal piedistallo, farsi partecipe della vita quotidiana della massa sociale, partecipare alle vicissitudini che quotidianamente assorbono la vita dell’uomo, solidarizzare con lui e accompagnarlo nelle difficili scelte da opzionare. Questo significa, in sintesi, rinnovare il proprio modus operandi, trasformare l’attuale atteggiamento che preclude ogni tipo di dialogo e di confronto, specie con chi non è della stessa opinione. D’altra parte il criterio del Rinnovamento è già insito nella stessa natura della Chiesa, in particolare nei dettami del Vangelo che con il suo contenuto ha modificato il modo di leggere i fatti, ha cambiato l’atteggiamento dell’uomo verso i propri simili e in particolar modo verso chi era stato sempre posto ai margini della società. Qual è la risposta che la Chiesa presenta a tale quesito? A ciò la Chiesa oggi risponde rispolverando i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II nei quali riprende la funzione critico – costruttiva del rinnovamento teologico, intesa come l’opportunità da parte della Chiesa di porre le basi per una sana riflessione scientifica sulla figura di Gesù Cristo che irrompe sulla scena della vita terrestre per portare a tutti gli uomini il messaggio salvifico di Dio Padre. Quindi, mentre con Gesù la Parola di Dio è scesa sulla Terra per penetrare nella vita di ogni singolo individuo per riportarlo a parametri più congeniali per una esistenza modesta e serena la Chiesa oggi affronta senza mezzi termini, con audacia e coraggio i quesiti e le difficoltà che il mondo evidenzia. Dobbiamo però procedere ad una considerazione più ampia di quella prospettata. Va precisato e confermato, infatti, che il rinnovamento non è stato proposto per il singolo individuo ma a tutto il popolo di Dio e quindi quella riflessione di cui stiamo accennando deve essere intesa come esposta a tutti i fedeli. Il mondo teologico, allora deve porre attenzione a tutto ciò che arriva dal lato dei fedeli che unitariamente rappresentano il senso della necessità della Missione evangelizzatrice della Chiesa. Ma il Concilio Vaticano II non contiene solo questo. Tra le sue disposizioni, infatti, si annovera con molta sollecitudine la necessità di modificare, o integrare a seconda dei casi, anche il proprio assetto gerarchico – istituzionale, assumendo come base concettuale che il punto fondamentale è la considerazione dell’uomo in quanto responsabile dell’azione comunitaria della Chiesa. In realtà dobbiamo evidenziare come in questo caso sia stato proprio questo punto di partenza, abbiamo detto abbastanza importante per l’evoluzione dei cambiamenti, a non essere stato pienamente condiviso da tutte le componenti ecclesiastiche che, fino ad ora, non hanno analizzato adeguatamente questa tesi, causando ripercussioni nello strato sociale dei fedeli, specie in quelli giovanili. Dall’indagine emerge che vi è una fetta di giovani che preferisce optare per una visione ateistica intesa come tesi alternativa alla religione ma proprio all’esatto opposto di quanto ci siamo finora occupati, e in opposizione a quanto qui riportato, le indagini condotte annotano anche come persista una larga fetta di giovani che, seppur in contrasto, lieve, moderato o grave, con gli organi religiosi, presenti un maggior e fattivo interesse – talvolta anche come sistema di confronto - per le argomentazioni religiose. Ci domandiamo allora quali siano gli aspetti che necessariamente i giovani ritengono da rivalutare ed aggiornare. Una fetta di questi giovani accetta il messaggio cristiano nella sua globale esigenza anche soprannaturale per cui Cristo è riconosciuto sia per la sua figura umana che in quella divina per cui l’impegno giovanile profuso diventa omni presenzialista, nel senso che vede il proprio interesse politico, sociale, professionale o culturale motivato da una base essenzialmente cristiana. Tuttavia, è stato messo in risalto come vi sia anche una parte del settore giovanile che, pur riconoscendo il grande valore dato dal contributo della Chiesa alla formazione di nuove civiltà si esprime in modo critico verso i vertici religiosi, in quanto ritenuti incapaci o inefficienti nei confronti delle reali esigenze di tanti popoli che attendono, con maggiore necessità, una giusta considerazione nel panorama della paventata globalizzazione. Ancora una volta, quindi, assistiamo ad una scelta negativa dei giovani verso gli organi rappresentativi che, certamente per colpe non imputabili direttamente al proprio operato, sono bersagliati dagli addebiti mossi dai giovani che, invece, attendono sempre non solo l’operatività di chi è preposto a tanto, ma anche all’immediatezza degli interventi, visto che i vistosi ritardi sono imputabili sono all’immobilismo delle gerarchie ecclesiastiche, indifferenti alle sofferenze di tanti popoli soccombenti. Quindi, in definitiva, il sentore che è avvertito da questa schiera di giovani è che il messaggio cristiano proposto non sia accompagnato dalla sua effettiva realizzazione mediante l’attuazione delle opere fondamentali per rappresentare ai popoli la concretizzazione della carità di quel messaggio. Si tratta di una posizione che fortunatamente è in via di “ripensamento” visto che larga parte giovanile sta riorganizzando le proprie idee, ponendo la differenza sopra richiamata come ipotizzabile oppure reale e quindi non ascrivibile al concetto cristiano trasmesso dalla Chiesa. La considerazione che la Chiesa pone oggi circa la mentalità giovanile è talmente importante che predispone un percorso catecumenale ad hoc, adatto ad accompagnare la formazione – prima sociale e poi di fede - nei ragazzi a partire dalla fanciullezza, prevedendo quindi, un accompagnamento consapevole, educativo e formativo adeguato all’età del ragazzo. Questo genere di percorso catecumenale generalmente tende a trasformare un frequentante della Chiesa in un soggetto capace di dire «io credo». Gli adulti hanno l’obbligo di sviluppare piccoli gesti con i quali i ragazzi gradatamente ricevono la loro emancipazione. Così questi piccoli gesti di emancipazione vanno espressi progressivamente, ad ogni cambio di passo, in sintonia sia con il loro sviluppo interiore che con quello fisico. «Accompagnare un adolescente nel cammino di fede, significa fare di tutto per creare le condizioni di un incontro con Cristo, una proposta di andare alla sequela di Cristo. Insomma, si tratta di aiutarlo a rispondere alla richiesta di Cristo”. Le decisioni che sono alla loro portata potranno aver l’effetto di strutturare e rilanciare le forze e le energie per alti scopi. Sarà necessario pertanto che gli adulti siano sempre presenti nelle azioni dei giovani, li accompagnino in ogni dove, e sarà necessario raggiungerli nei luoghi che loro frequentano a maggior ragione che sempre meno saranno i ragazzi che frequenteranno la Chiesa. Un tipo di educazione impartito dall’alto non potrà invece mai essere adeguato alla circostanza, perché i giovani vogliono inseguire sempre di più i propri ideali ed i propri sogni ed essere in prima linea quando si tratta delle proprie incombenze. Per gli adulti, quindi, riuscire ad entrare nei loro caratteri e nelle loro modalità di gestione, utilizzando magari anche gli aggiornatissimi strumenti multimediali, non può che aiutare a inserirsi in un nuovo modo di annunciare con gli strumenti del nostro tempo. Alla fine, quindi, i giovani che hanno deciso di investire sul proprio futuro, costruito su solide basi costituite dai valori antichi - ma portanti - e dalle indicazioni provenienti da quegli adulti che si prestano a fargli da garanti per quel futuro, rimarranno nel contesto ecclesiale, apportando le proprie esperienze non più per il proprio bene, ma all’insegna della condivisione con i suoi posteri ai quali potrà dare sicuro beneficio. Quelli che, al contrario, inesorabilmente cercheranno nuove avventure si sganceranno dalla propria originaria composizione familiare o dalla comitiva loro presenza, per trovare nuovi approdi. Le domande che noi adulti abbiamo l’obbligo di porci sono semplici, ma non intuitive: quali sono gli argomenti che hanno portato alla risoluzione del rapporto dei giovani con la vita comunitaria? E noi adulti che assistiamo a questo difficile momento di transizione, ci poniamo mai il perché di queste scelte? Ci domandiamo mai di cosa hanno bisogno (o che avevano bisogno prima di quella dannosa scelta) questi giovani divenuti insofferenti? Cosa si nota per prima cosa nella loro intima profondità? Da quanto ci è dato di sapere le risposte fornite conducono alla necessità di pensare ad un loro futuro positivo, ad una esistenza costruita su basi concrete, non fatte di precariato, di mancanze di risorse di qualsiasi genere, patrimoniali, finanziarie, non afflitte da crisi epidemiche o guerrafondaie e per pervenire a questi obiettivi essi hanno pur sempre presente una sola cosa: per il loro presente, la sola ed attuale esistenza, non si devono affidare al futuro, non devono porre le basi su promesse o circostanze più o meno attendibili, non vogliono propendere per un domani incerto. E’ ovvio che proprio in questa fase si rende indispensabile per loro una guida, qualcuno che possa aiutarli nelle loro decisioni senza però imporre una determinata condotta di vita, una sorta di educatore – tutor che, innanzitutto deve essere qualificato ed affidabile e che sia in grado di poter ristabilire in quegli animi scossi un ordine di valori ricevuti nel tempo. Occorre dare affermazioni esistenziali, certezze, punti di confronto e di riferimento. E’ pur vero che i giovani di oggi hanno un pesante onere da sopportare: sono contrapposti da un mondo che non dà grandi aspettative, in nessun settore e, peggio ancora, in particolare in quello formativo – educativo. Nelle ricerche affrontate, però, emerge una speranza: un dato che indica molto positivamente che una percentuale di giovani ritengono la Chiesa unico interlocutore dotato di un buon sistema educativo, anche se non sempre è possibile confrontarsi con operatori pastorali all’altezza delle aspettative. La Chiesa sta cercando di spogliarsi di quella veste antiquata che l’ha relegata ad una posizione marginale rispetto agli Enti che possono competere per lo sviluppo formativo dei giovani, e per questo lavora assiduamente al miglioramento della comunicazione, al coinvolgimento ed all’aggregazione. Le Giornate che celebrano da decenni la Gioventù e quelle dedicate all’assetto familiare, fortemente volute da Papa Giovanni Paolo II e da Papa Francesco vanno in questa direzione, allo scopo di far sì che le necessità di queste piccole formazioni domestiche diventino un fulcro per la società, una leva per nuovi movimenti innovativi che abbiano lo scopo di riportare alla base della Chiesa i valori per i quali è stata fondata. Oggi ci si è accorto finalmente che i giovani non solo non sono restii ad impegnarsi, ma sono anche pronti ad assumersi le proprie responsabilità in seno a veri progetti di condivisione, di adesione, di speranza. Se diamo uno sguardo all’Italia, possiamo tirare un respiro di sollievo. Infatti, nonostante in Europa siano presenti lacune e malcontenti tra i giovani, così come risulta dall’indagine condotta tra i giovani con età dai 20 ai 30 anni, in Italia invece si può avvertire un poco di sollievo visto che i dati riscontrati sono alquanto positivi: infatti, si registra un’alta percentuale di credenti nonché una vasta partecipazione alle attività parrocchiali. Oggi, infatti, grazie ai numerosi eventi, cerimonie ed attività poste in essere dalla chiesa a partire dagli organi centrali per arrivare a quelli locali, c’è un maggior interesse quant’anche profondo, dei giovani verso le problematiche religiose. Negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, tali argomentazioni erano prerogative di una classe elitaria rappresentata dagli studenti universitari che, supportati anche dai partiti politici di allora creavano veri e propri movimenti di idee: oggi, questo genere di considerazione è propria della gente comune, del cosiddetto “popolino” in cui tutte le classi di cittadini intervengono e partecipano attivamente per la costruzione di una cosa comune o meglio ancora, di una casa comune. Obiettivo da porre al centro dell’interesse non è più quindi il concetto di credenza o meno in Dio ma è solo ed esclusivamente nel modo di vivere questo tipo di fede e la maggior parte dei giovani intervistati hanno dichiarato che la cosa che gli interessa è che ci sia il Cristo che si pone in primo piano e che diventa parte “intima” della propria esistenza. Per loro anche il concetto trinitario diventa meno critico, in quanto la Trinità Divina così come lo presenta la Chiesa non è talmente importante per i giovani, per i quali essa è comunque una fonte di attenzione costante per il significato espresso biblicamente per cui non ci si ritiene all’altezza di poterla obiettare in alcun modo. Tale confronto non è comparabile con quello con cui i giovani si relazionano con la figura di Cristo, mediante preghiera, riverenza, adorazione ed ammirazione. D’altro canto, anche altri giovani ritengono non eccessivamente impegnativa la preghiera con Cristo, se il proprio rapporto – confidenza è tenuto direttamente con Dio.
FINE PARTE SECONDA
continua...
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